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Qualificazione rapporto di lavoro: indici di subordinazione

La Corte di Cassazione interviene sulla qualificazione del rapporto di lavoro di una ricercatrice, inizialmente considerato autonomo dalla Corte d’Appello. La Suprema Corte cassa la decisione, sottolineando che per le attività intellettuali la subordinazione si valuta con un approccio globale, considerando indici come l’inserimento nell’organizzazione aziendale, la continuità e il coordinamento, anche in assenza di un orario di lavoro rigido. Viene inoltre affrontato il tema della liquidazione delle spese legali per la P.A. difesa da propri dipendenti.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Qualificazione del rapporto di lavoro: gli indici di subordinazione per i ricercatori

La corretta qualificazione del rapporto di lavoro rappresenta una delle questioni più dibattute nel diritto del lavoro, specialmente quando si tratta di professioni intellettuali caratterizzate da un’elevata autonomia. Con la sentenza n. 15955/2024, la Corte di Cassazione torna a fare chiarezza sui criteri da utilizzare per distinguere il lavoro autonomo da quello subordinato, in un caso che vedeva coinvolta una ricercatrice presso un ente pubblico.

I Fatti di Causa

Una ricercatrice aveva lavorato per anni presso un Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale sulla base di contratti di collaborazione. Il Tribunale di primo grado aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto, accertando il suo diritto al trattamento economico previsto per un ricercatore di terzo livello.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, la lavoratrice non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare la sua sottomissione al potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro. In particolare, la Corte territoriale aveva dato peso all’assenza di un orario di lavoro rigido e di controlli assidui, elementi ritenuti essenziali per configurare la subordinazione. La lavoratrice ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e la qualificazione del rapporto di lavoro

La Suprema Corte ha accolto le ragioni della lavoratrice, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nel principio, ormai consolidato, secondo cui la qualificazione del rapporto di lavoro non può basarsi su una valutazione atomistica e rigida dei singoli indici, ma richiede un’analisi globale e contestualizzata delle concrete modalità di svolgimento della prestazione.

Le Motivazioni

La Cassazione ha sviluppato il suo ragionamento su due assi principali: la specificità del lavoro intellettuale e l’errata applicazione dei criteri da parte della Corte d’Appello.

Gli Indici della Subordinazione nel Lavoro Intellettuale

La Corte ha ribadito che, in presenza di attività ad elevato contenuto intellettuale o professionale, l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive del datore di lavoro può essere meno evidente. In questi casi, per una corretta qualificazione del rapporto di lavoro, assumono un ruolo fondamentale i cosiddetti “criteri sussidiari”, che devono essere valutati nel loro complesso. Tali criteri includono:

* L’inserimento stabile e continuativo nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro.
* La continuità della prestazione nel tempo.
* Il coordinamento dell’attività con quella degli altri lavoratori.
* L’utilizzo di strumenti e postazioni di lavoro forniti dal datore.
* L’assenza di un rischio d’impresa in capo al lavoratore.
* La forma di retribuzione, tipicamente a cadenza fissa.

L’Errata Valutazione della Corte d’Appello

Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello ha errato nel considerare decisiva l’assenza di un orario di lavoro rigido e di controlli pervasivi. Così facendo, non ha tenuto conto delle peculiarità della professione di ricercatore, disciplinata da un Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) che prevede espressamente un orario di lavoro calcolato come media settimanale nel trimestre e riconosce un’ampia autonomia nella gestione del tempo e nello svolgimento dell’attività scientifica. Questa autonomia, prevista dalla contrattazione collettiva, non esclude di per sé la natura subordinata del rapporto.

La Corte territoriale, inoltre, non ha valutato adeguatamente gli elementi di fatto emersi, come l’impiego quotidiano della lavoratrice per cinque giorni a settimana, l’utilizzo di una postazione attrezzata fornita dall’ente e lo svolgimento di compiti all’interno di un’Area diretta da un dipendente di ruolo, sotto il coordinamento di preposti. Tutti questi elementi indicavano un inserimento funzionale nell’organizzazione dell’ente, tipico del lavoro subordinato.

La Questione Accessoria delle Spese Legali

Infine, la Cassazione ha accolto anche il motivo di ricorso relativo alla condanna alle spese legali del primo grado. Poiché il giudizio era iniziato nel 2011, non era applicabile la normativa successiva (introdotta nel 2012) che consente la liquidazione delle spese a favore delle Pubbliche Amministrazioni che si difendono in giudizio con propri dipendenti. Pertanto, la condanna era illegittima.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la qualificazione di un rapporto di lavoro deve andare oltre il nome formale dato al contratto (“nomen iuris”) e basarsi sulla realtà effettiva della prestazione. Per le professioni ad alta qualificazione, il giudice non deve cercare ossessivamente la prova di ordini diretti e controllo orario, ma deve compiere una valutazione complessiva di tutti gli indici che rivelano l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva altrui. Questa decisione costituisce un importante monito contro l’uso improprio di contratti di collaborazione per mascherare veri e propri rapporti di lavoro subordinato, garantendo una maggiore tutela ai lavoratori intellettuali.

Come si distingue un rapporto di lavoro subordinato da uno autonomo per un’attività intellettuale come quella di un ricercatore?
Non ci si può basare solo sui tradizionali indici come l’orario rigido o gli ordini continui. È necessaria una valutazione complessiva di indici “sussidiari”, come l’inserimento stabile nell’organizzazione del datore di lavoro, la continuità della prestazione, il coordinamento con altri lavoratori e l’assenza di un rischio d’impresa in capo al lavoratore.

Un orario di lavoro flessibile esclude automaticamente la subordinazione?
No. La sentenza chiarisce che, soprattutto per figure come i ricercatori, la cui disciplina contrattuale (CCNL) prevede un orario medio settimanale e autonomia nella gestione del tempo, la flessibilità oraria non è un elemento decisivo per escludere la natura subordinata del rapporto, ma una caratteristica della mansione stessa.

Il nome dato al contratto, ad esempio “contratto di collaborazione”, è vincolante per il giudice?
No, il nome che le parti danno al contratto (il cosiddetto “nomen iuris”) è solo uno degli elementi di valutazione. Ciò che prevale è l’effettivo modo in cui il rapporto si è svolto concretamente. Se i fatti dimostrano una reale subordinazione, il giudice deve riqualificare il rapporto a prescindere da come era stato definito nel contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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