Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18404 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18404 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 23832-2019 proposto da:
NOME COGNOME, in proprio e quale amministratore unico e legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 205/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 06/03/2019 R.G.N. 1018/2015;
R.G.N. 23832/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/04/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
l a Corte d’Appello di Catania, in parziale riforma di sentenza del Tribunale di Ragusa che aveva rigettato le originarie domande di NOME COGNOME, condannava NOME COGNOME, in proprio e quale legale appresentante della RAGIONE_SOCIALE, al pagamento in favore dell’appellante della somma di € 28.912,31, oltre accessori;
la Corte distrettuale, in particolare, riesaminate le prove testimoniali e documentali raccolte in primo grado e disposta CTU contabile, osservava che era emerso che l’appellante NOME COGNOME, terminato il periodo di praticantato, aveva continuato a frequentare lo studio dell’appellato (coniuge della sorella deceduta nel maggio 2008), curando pratiche affidatele dall’appellato medesimo, con orario di lavoro mattutino dal lunedì al venerdì e due pomeriggi a settimana, da dicembre 2006 a luglio 2009; che tale attività era stata svolta in regime di subordinazione, caratterizzato dal vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro inerente alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non soltanto al loro risultato; che si era verificato licenziamento orale inefficace, con conseguente diritto della dipendente al risarcimento dei danni, nei limiti dell’indennità sostitutiva del preavviso, come specif icamente chiesto con il ricorso introduttivo del giudizio; che spettava alla lavoratrice la somma sopra indicata, come calcolata dall’ausiliare, detratto il percepito, a titolo di retribuzione ordinaria, 13a mensilità, quota di 14a mensilità solamente per
il periodo regolarizzato da febbraio a luglio 2009, indennità di mancato preavviso, TFR; che non era fondata l’eccezione dell’appellato NOME COGNOME di carenza di legittimazione passiva in proprio, rimanendo egli tenuto all’adempimento delle obbligazioni retributive per cui è causa senza separazione del proprio patrimonio da quello sociale, non beneficiando della responsabilità limitata per mancata dimostrazione dell’assolvimento degli oneri pubblicitari relativi alla natura uninominale della RAGIONE_SOCIALE ai sensi degli artt. 2462, comma 2, e 2470 c.c.;
3. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre il dr. COGNOME, Il proprio e quale amministratore unico e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, con sei motivi, illustrati da memoria; resiste la dr.ssa COGNOME con controricorso; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. parte ricorrente, con il primo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 112 c.p.c., sostenendo che è stata ritenuta dalla Corte di merito la sussistenza della responsabilità patrimoniale solidale del profess ionista e della RAGIONE_SOCIALE da lui amministrata sull’unico presupposto non dedotto in precedenza del mancato adempimento agli oneri pubblicitari imposti alle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a responsabilità limitata dall’art. 2470 c.c., con conseguente responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2462, comma 2, c.c.;
2. con il secondo motivo, deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.), in relazione al ritenuto mancato adempimento
degli oneri pubblicitari imposti alle RAGIONE_SOCIALE a responsabilità limitata dall’art. 2470 c.c.;
3. con il terzo motivo, deduce violazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), sostenendo che, in base alla produzione documentale che attestava la natura pluripersonale della RAGIONE_SOCIALE, era onere della ricorrente in primo grado e successivamente appellante dare prova della sussistenza delle condizioni previste dall’art. 2462 c.c. che estendono in via eccezionale la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE di capitali al socio;
con il quarto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2462, comma 2, c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), sostenendo erronea ricognizione della fattispecie in quella astratta prevista da tale norma, comunque senza accertamento di inesistente stato di insolvenza;
i suddetti quattro motivi, da trattare congiuntamente per connessione, non sono ammissibili, perché non decisivi e rispetto alla fattispecie ed eccentrici rispetto alla complessiva ratio decidendi della sentenza impugnata (perché focalizzati su un aspetto argomentativo della sentenza gravata secondario e non centrale);
la domanda della lavoratrice, e il conseguente accertamento giudiziale, sono infatti basati sull’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato pluriennale non regolarizzato, salvo che per alcuni mesi, alle dipendenze del dr. COGNOME, quale professionista e quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE;
come esattamente rilevato nel controricorso, la questione della legittimazione passiva non solidale (con separazione del patrimonio personale da quello sociale), affrontata nell’ultima parte della sentenza gravata, può riguardare esclusivamente le spettanze relative al periodo di lavoro regolarizzato con la RAGIONE_SOCIALE, mentre il datore di lavoro non ha fornito elementi
da cui detta separazione emerga con chiarezza con riguardo a tutto il periodo di lavoro (seguito a periodo di praticantato professionale, collegato alla persona del professionista), tenendo conto della domanda originaria di accertamento di responsabilità solidale per tutto il periodo dedotto; non deve essere obliterato, altresì, che, nella misura in cui viene introdotta una richiesta una rivalutazione delle prove sul punto, questa, concernente il merito, è inammissibile in sede di legittimità;
8. con il quinto motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c., 132 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per errata individuazione degli elementi a comprova della subordinazione;
9. il motivo non è fondato;
10. la valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito;
11. pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il
giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Cass. n. 22846/2022);
12. la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 14434/2015, n. 11959/2023);
13. la sentenza gravata è conforme a questo iter logicoaccertativo, dando essa conto, con motivazione adeguata e congrua, che resiste alle censure operate in questa sede di legittimità, degli indici di subordinazione rilevanti in fatto (postazione di lavoro all’interno dello studio professionale, assenza di clientela propria, orario di lavoro fisso, cura delle pratiche datoriali), per come emersi dall’istruttoria documentale e testimoniale, e caratterizzanti nella fattispecie concreta il vincolo di soggezione personale del prestatore di lavoro al potere di direttivo del datore di lavoro, nella forma attenuata propria delle prestazioni intellettuali, con ulteriore conferma della subordinazione, a contrario, derivante dall’assenza di elementi da cui desumere una collaborazione autonoma;
14. con il sesto motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1325, 1334, 1350, 2725 c.c.; si contesta la valutazione delle prove operata dalla sentenza gravata in ordine all’esistenza di lettera di dimissioni della lavoratrice (non prodotta in giudizio, ma la cui esistenza era stata riferita da un testimone), assumendo che le dimissioni
volontarie non sono un atto a forma vincolata insuscettibile di prova mediante dichiarazioni testimoniali;
il motivo non è fondato;
la Corte di merito, in realtà, non ha affermato che le dimissioni sono a forma vincolata, ma ha ritenuto, nel merito, non idonea a suffragare la tesi datoriale la singola deposizione testimoniale sull’esistenza di dimissioni della lavoratrice, in assenza di prova scritta del recesso del lavoratore (secondo l’ id quod plerumque accidit ); ha, cioè, compiuto una valutazione nel merito delle prove in ordine alla circostanza contestata, valutazione (di idoneità dimostrativa o meno di un elemento probatorio) incensurabile in questa sede, che non costituisce un terzo grado di merito;
il ricorso, pertanto, deve nel suo complesso essere respinto;
in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 9 aprile 2024.