Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19292 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19292 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9055-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 51/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 13/01/2021 R.G.N. 1573/2019;
Oggetto
R.G.N. 9055/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato il diritto di NOME COGNOME ad essere inquadrato nella qualifica dirigenziale e condannato la RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del dipendente della somma di € 113.107,00 a titolo di differenze retributive ( di cui € 12.799, 00 a titolo di MBO nella misura percentuale prevista per i dirigenti) oltre accessori.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 1 c.c.n.l. dirigenti aziende produttrici di beni e servizi del 25.11.2009 e dell’art. 2697 c.c. . In relazione al primo profilo di censura premette che in base alla norma collettiva gli elementi propri della categoria dirigenziale sono costituiti: a) dall’essere il ruolo di dirigente caratterizzato da elevato grado di professionalità, autonomia e discrezionalità; b) dalla titolarità di un potere decisionale estremamente ampio,
tale da consentire di incidere direttamente sul raggiungimento degli obiettivi e delle finalità aziendali; c) da un potere di rappresentanza e di decisione per tutta o per una parte autonoma dell’azienda. Evidenzia che il lavoratore subordinato con qualifica dirigenziale partecipa alla determinazione degli obiettivi dell’impresa ed alla promozione complessiva della politica aziendale; ha inoltre la piena rappresentanza dell’impresa o di un consistente ramo di essa. Sostiene quindi che l’ attività espletata dal COGNOME quale ricostruita dalla sentenza impugnata non era sussumibile nell’ambito della categoria dirigenziale, in particolare per difetto del necessario grado di autonomia decisionale essendo peraltro emerso che il COGNOME non si rapportava direttamente all’Amministratore delegato ma aveva un livello di controllo intermedio.
1.1. Sotto il secondo profilo (violazione dell’art. 2697 c.c. ) censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’istruttoria testimoniale avesse confermato che il Leschiera aveva ricoperto il ruolo di Direttore Commerciale RAGIONE_SOCIALE per l’I talia con i poteri propri di un dirigente.
Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 36 Cost., in relazione al principio di irriducibilità della retribuzione, censurando la sentenza impugnata per avere escluso la assorbibilità del superminimo, pacificamente corrisposto al Leschiera negli anni oggetto di causa.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
3.1. La Corte di merito ha premesso che in base alla previsione collettiva la qualifica dirigenziale spetta a colui che ricopre un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale, senza necessità del concorso nella individuazione degli obiettivi aziendali risultando sufficiente che il dirigente ne promuova la realizzazione; secondo la norma collettiva il dirigente poteva essere preposto anche ad un settore autonomo aziendale purché investito di attribuzioni che gli consentivano di realizzare, sia pure nell’osservanza di direttive programmatiche, un indirizzo ed un orientamento dell’azienda o di parte di essa, con assunzione della corrispondente responsabilità. Ha riscontrato le prescritte caratteristiche nell’attività espletata dal COGNOME che quale Direttore commerciale RAGIONE_SOCIALE per l’Italia era stato preposto ad un ufficio di rilievo, dedicato alla vendita di tecnologie di segnalamento nell’area geografica italiana, servizio di importanza strategica n ell’ambito dell’impresa, già di per se stesso implicante elevato grado di professionalità; le emergenze in atti avevano confermato altresì un’elevata autonomia seppure non assoluta.
3.2. La decisione è conforme a diritto. Si premette che l’art. 1 del contratto collettivo applicabile così recita: ‘ Sono dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistano le condizioni di subordinazione di cui all’art. 2094 del cod. civ. e che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli
obiettivi dell’impresa. 2. Rientrano sotto tale definizione, ad esempio, i direttori, i condirettori, coloro che sono posti con ampi poteri direttivi a capo di importanti servizi o uffici, gli institori ed i procuratori ai quali la procura conferisca in modo continuativo poteri di rappresentanza e di decisione per tutta o per una notevole parte dell’azienda. ‘.
3.3. A riguardo occorre in via di principio chiarire che secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità, al fine di stabilire l’esatto inquadramento del dipendente, se l’appartenenza alla categoria dei dirigenti è espressamente regolata dalla contrattazione collettiva, occorre far riferimento, non alla nozione legale di tale categoria, ma alle relative disposizioni della contrattazione ed il giudice ha l’obbligo di attenersi ai requisiti dalle medesime previsti, poiché esse – riflettendo la volontà della parti stipulanti e la loro specifica esperienza di settore – assumono valore vincolante e decisivo, tenendo altresì conto che in organizzazioni aziendali complesse è ammissibile – anche in riferimento alla prassi aziendale ed alla concreta organizzazione degli uffici – la previsione di una pluralità di dirigenti (a diversi livelli, con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia, che però facciano salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore (Cass. n. 8650/2005, Cass. n. 5608/1990). Il carattere vincolante delle pattuizioni collettive esclude pertanto che i requisiti indispensabili ai fini del riconoscimento della qualifica
dirigenziale possono essere individuati sulla base di un’astratta ricognizione delle caratteristiche della categoria dirigenziale sia pure derivata dalla norma codicistica.
3.4. Ciò posto, la interpretazione della Corte di merito in ordine ai presupposti per l’inquadramento nella qualifica dirigenziale tratti dalla norma collettiva è del tutto condivisibile; secondo quanto si evince dalla piana lettura dell’art. 1 c.c.n.l. c it. la qualifica dirigenziale, fermi i requisiti di elevata professionalità, autonomia e potere decisionale, può essere riconosciuta anche a coloro la cui attività sia funzionale alla realizzazione degli obiettivi dell’impresa, non richiedendosi anche che il dirigente concorra alla relativa definizione o determinazione. Né la declaratoria sembra imporre che il dirigente si rapporti esclusivamente con i vertici aziendali, senza ammettere un livello intermedio di interlocuzione, come pacifico nel caso di spec ie; non solo difetta infatti un’espressa previsione in tal senso ma la declaratoria laddove in via esemplificativa riconduce alla definizione di dirigenti coloro che sono posti con ampi poteri direttivi a capo di importanti servizi o uffici sembra limitarsi a richiedere solo la particolare rilevanza e importanza nell’ambito degli obiettivi aziendali della struttura diretta o condiretta senza esigere anche che tale struttura si ponga al vertice dell’organigramma aziendale. Tale approdo interpretativo risulta coerente con ripetute affermazioni di questa Corte la quale ha chiarito che negli assetti organizzativi delle imprese, se di rilevanti dimensioni, ben possono coesistere dirigenti di diverso livello (cfr. Cass. n. 12860
del 1988, conf. n. 14885 del 2000, v. pure Cass. n. 6393 del 1998) e che la previsione di una pluralità di dirigenti (a diversi livelli, con graduazione di compiti), tra loro coordinati, infatti è ammissibile in organizzazioni aziendali complesse, in riferimento a prassi aziendali ed alla concreta organizzazione degli uffici, purché sia fatta salva anche nel dirigente di grado inferiore un’ampia autonomia decisionale circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore (cfr. Cass. n. 8650 del 2005). 5.1. Come affermato da Cass. n. 8842 del 1987, con soluzione qui condivisa e ribadita, con riguardo alla qualifica di dirigente, pur essendo possibile, nell’ambito della stessa azienda, una pluralità di dirigenti, di diverso livello, tra loro legati da vincolo di gerarchia, deve però trattarsi di una dipendenza molto attenuata, in quanto caratterizzata da ampia autonomia nelle scelte decisionali del dirigente subordinato per la realizzazione degli obiettivi della impresa, sicché il vincolo gerarchico si traduce in un’attività di controllo o di coordinamento di direttive relative ad una sfera generalmente più limitata, facente capo al dirigente sovraordinato quale costituente tramite diretto della volontà dell’imprenditore (v. pure Cass. n. 1151 del 1998, n. 10285 del 1998) (Cass. n. 3981/2016).
3.5. In base alle considerazioni che precedono la sentenza impugnata si sottrae alle censure articolate con il motivo in esame avendo la Corte di merito verificato i presupposti di riconoscimento della qualifica dirigenziale sulla base della corretta interpretazione della declaratoria di riferimento e dei principi affermati dal giudice di
legittimità. L’accertamento del concreto ricorrere di tali requisiti appartiene inevitabilmente al giudizio di fatto riservato al giudice di merito di talché sotto questo profilo non sussiste il denunziato vizio di sussunzione.
3.6. La deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c. è infondata in quanto la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 / 2013, Cass. n. 13395/ 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sul dipendente.
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
4.1. La sentenza impugnata, pur dando atto che il superminimo, pacificamente erogato al Leschiera, è normalmente soggetto all’assorbimento nei miglioramenti retributivi contemplati dalla disciplina collettiva, ha osservato che secondo quanto emergente dalle buste paga, a fronte degli scatti di anzianità medio tempore maturati in favore del dipendente, tale assorbimento non si era mai verificato ed ha concluso che per volontà datoriale o prassi tale emolumento doveva considerarsi non assorbibile.
4.2. La decisione, a differenza di quanto assume parte ricorrente, non si pone in contrasto con il principio della normale assorbibilità del superminimo avendo la Corte di merito accertata la concreta sussistenza di un titolo che giustificava la deroga a tale assorbibilità, rappresentato dalla prassi aziendale o dalla volontà datoriale, e quindi da condotte destinate a riverberarsi sul piano del contratto individuale.
4.3. Tale ultimo profilo non risulta specificamente investito da censura atteso che la società ricorrente si limita a negare che tali conseguenze potessero trarsi dalle buste paga, sostanziandosi le ragioni di critica alla sentenza impugnata in un mero dissenso valutativo in ordine alla significatività probatoria del relativo contenuto, da reputarsi quale espressione di una volontà datoriale abdicativa rispetto alla possibilità di assorbimento.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna della ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 7.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 15 aprile