Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19052 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19052 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20394-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1341/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/07/2019 R.G.N. 5051/2012; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N.20394/2020
COGNOME
Rep.
Ud.08/04/2025
CC
Rilevato che
La Corte di appello di Napoli, pronunziando sull’appello principale di NOME COGNOME e sull’appello incidentale di Intesa Sanpaolo s.p.a., in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha condannato Intesa Sanpaolo s.p.a. al pagamento in favore di NOME COGNOME delle differenze economiche maturate in ragione del superiore inquadramento spettante dal 10.4.2001 allorquando l’odierno controricorrente era stato distaccato presso la SIM Banconapoli RAGIONE_SOCIALE Soklan (da ora RAGIONE_SOCIALE con nomina di Direttore generale – alla risoluzione del rapporto di lavoro, differenze da liquidare in separata sede unitamente agli accessori.
Per quel che ancora rileva, la Corte distrettuale ha confermato il diritto del dipendente alla qualifica dirigenziale in relazione al periodo dedotto e le differenze connesse ed escluso il decorrere della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro, osservando che al fine della stabilità del rapporto, in base a consolidati principi di diritto, occorreva fare riferimento non già alla qualifica (di Quadro) formalmente riconosciuta all’epoca al COGNOME bensì alla qualifica rivendicata in giudizio e, quindi a quella dirigenziale, per la quale, come noto, era da escludere il regime di stabilità reale.
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Intesa Sanpaolo s.p.a. sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., previa prospettazione della questione di legittimità costituzionale degli artt. 62-72 Legge n. 98/2013, di conversione con modifiche del D.L. n. 69/2013 in relazione ai parametri costituzionali degli artt. 102, comma 1 e 106 commi 1 e 2 Cost. per essere il Collegio che ha deciso la controversia composto da un giudice Ausiliario (relatore della causa).
Le censure formulate con il primo motivo di ricorso sono superate, come viene dato atto in memoria dalla medesima parte ricorrente, dalla sentenza costituzionale n. 41 del 2021 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 106, primo e secondo comma, Cost., gli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del d.l. n. 69 del 2013, conv., con modif., in legge n. 98 del 2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del d.lgs. n. 116 del 2017; la temporanea tollerabilità costituzionale delle norme richiamate rende pertanto infondate le censure articolate con il motivo in esame.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, comma 1 c.c. in relazione all’art. 2103 c.c. avuto riguardo all’art. 2 c.c.n.l. 1° dicembre 2000 per il settore del credito; la sentenza impugnata è censurata per avere pretermesso l’elemento letterale nell’interpreta re la clausola collettiva concernente la qualifica dirigenziale; secondo il dato testuale della previsione in oggetto, infatti, per il
riconoscimento delle mansioni dirigenziali occorreva la esplicita qualificazione in tale senso proveniente dalla parte datoriale.
Con il terzo motivo deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2 c.c.n.l. dirigenti del credito del 1.12.2000, disposizione che asserisce pretermessa in relazione alla individuazione dei presupposti per il riconoscimento della qualifica superiore di dirigente.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione sono infondati.
5.1. La Corte di appello ha confermato l’accertamento di prime cure in ordine alla natura dirigenziale delle mansioni espletate dal COGNOME, richiamando il contenuto della delibera di distacco adottata dal CDA di Banco di Napoli (poi divenuto Banco di Napoli s.p.a. e quindi fuso per incorporazione dapprima in Sanpaolo IMI e da ultimo in Intesa Sanpaolo s.p.a.); ha poi valorizzato la circostanza che il ruolo ricoperto dal COGNOME era stato in passato svolto da dipendente con qualifica dirigenziale, la complessità della struttura diretta, per numero di unità addette (circa 60), gli aspetti di autonomia gestionale connessi alla gestione del personale, all’andamento della attività di carattere amministrativo e di organizzazione dell’attività di lavoro e il coordinamento, il fatto che il ruolo di Direttore Generale ricoperto dal COGNOME aveva comportato il coordinamento di 6/7 dirigenti della società.
5.2. A differenza di quanto sostenuto della società ricorrente, lo svolgimento di mansioni dirigenziali è stato dal giudice di seconde cure accertato non sulla base della mera circostanza che il predecessore del COGNOME era inquadrato come dirigente, e quindi senza effettiva verifica del carattere
dirigenziale o meno del contenuto dei compiti connessi al ruolo di Direttore Generale di SIM assegnati all’odierno controricorrente, ma sulla base di una pluralità di elementi fattuali ritenuti convergenti nel senso di connotare come di carattere dirigenziale i compiti svolti dal COGNOME nella veste sopraindicata; in particolare il giudice di appello ha tenuto conto della complessità della struttura alla quale era preposto il COGNOME, del numero di unità addette, dell’autonomia gestionale riconosciuta e del coordinamento di altri dirigenti, circostanza quest’ultima che anche in via di inferenza logica deponeva per la natura dirigenziale delle mansioni attribuite in ragione della posizione comunque sovraordinata del Direttore Generale rispetto agli altri dirigenti .
5.3. Tale accertamento non si pone in contrasto con la previsione del c.c.n.l. secondo la quale Ai fini del presente contratto sono dirigenti coloro i quali -sussistendo le condizioni di subordinazione di cui all’art. 2094 del codice civile ed in quanto ricoprano nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, di autonomia e di potere decisionale ed esplichino le loro funzioni di promozione, coordinamento e gestione generale al fine di realizzare gli obiettivi dell’azienda siano dalle rispettive aziende cui appartengono come tali qualificati.
5.4. Invero, ove interpretata nel senso della necessità, al fine del riconoscimento della qualifica dirigenziale, di qualificazione in tal senso proveniente dalla parte datoriale, come propugnato dall’odierna ricorrente, la clausola in questione non solo non risulterebbe rispondente a interesse
meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1321 c.c. ma sarebbe nulla per contrasto con norma imperativa.
5.5. Affermare la necessità del formale riconoscimento della qualifica dirigenziale da parte dell’azienda significa infatti attribuire rilievo decisivo ad un atto assolutamente discrezionale ed insindacabile del soggetto datore di lavoro; ciò in violazione del principio, inderogabile in danno del lavoratore, sancito dall’art. 2103 c.c. nel testo ratione temporis vigente in tema di diritto alla qualifica corrispondente alle mansioni effettivamente svolte (così Cass., n. 18165/2015 con riferimento all’interpretazione dell’art. 2 , medesimo c.c.n.l. 2002, e Cass. n. 5809/2010)
Con il quarto motivo di ricorso la società ricorrente deduc e violazione o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. nel testo risultante dalle sentenze n. 73/1966, n. 143/1969 e n. 174/1972 della Corte costituzionale, anche in relazione all’art. 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere, sulla base di una non corretta interpretazione della giurisprudenza costituzionale richiamata in rubrica, conferito rilevanza, nell’escludere il decorso della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro, alla qualifica rivendicata dal lavoratore anziché a quella di formale inquadramento ( assistita da stabilità reale) ed, in ogni caso, per non avere considerato gli specifici oneri di allegazione e prova a carico di questi in relazione alla sussistenza del metus riferita al momento in cui la pretesa avrebbe potuto essere fatta valere.
Il motivo è infondato alla luce di conformi precedenti di questa Corte, in relazione ai quali non vengono offerti elementi per una rimeditazione. In tali precedenti è stato affermato che
il regime di stabilità o meno del rapporto di lavoro, ai fini del decorso del termine prescrizionale, deve essere rapportato non alla qualifica formalmente attribuita al dipendente ma a quella effettivamente spettante;(Cass. 5809/2010, Cass., n. 2910/2084). A tale indirizzo il Collegio ritiene di dare continuità. Va infatti osservato che non può escludersi in linea di principio che il lavoratore, il quale intende rivendicare il diritto all’inquadramento come dirigente, possa sentirsi condizionato, in cors o di rapporto, nell’adottare un’iniziativa che lo vede comunque agire in contrapposizione alla parte datoriale ed il cui esito favorevole finirebbe per esporlo ad un regime meno garantito quanto alla stabilità del rapporto di lavoro.
Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite e la condanna del ricorrente al raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’ 8 aprile 2025
La Presidente Dott.ssa NOME COGNOME