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Proroga contratto a termine: vale la data della firma?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34538/2024, ha stabilito che per una proroga del contratto a termine, la legge applicabile è quella in vigore alla data di decorrenza della proroga stessa, non quella della firma. La Corte ha inoltre ritenuto che l’utilizzo di contratti a termine per coprire esigenze stabili e durevoli costituisce frode alla legge, portando alla conversione del rapporto in tempo indeterminato.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Proroga Contratto a Termine: la Data di Efficacia Prevale su quella della Firma

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale in materia di diritto del lavoro: la proroga del contratto a termine e le regole da applicare in caso di modifiche legislative. La decisione chiarisce se, per determinare la normativa applicabile, conti la data in cui la proroga è stata firmata o quella in cui inizia a produrre i suoi effetti. Inoltre, la Corte si è espressa sull’abuso di tale strumento contrattuale per coprire esigenze aziendali stabili, configurandolo come frode alla legge.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una lavoratrice assunta da una grande società di servizi con un contratto a tempo determinato. Il rapporto di lavoro è stato oggetto di diverse proroghe. L’ultima di queste è stata comunicata alla lavoratrice il 24 ottobre 2018, con decorrenza dal 1° novembre 2018.

Il punto cruciale della controversia risiede nel fatto che, proprio il 31 ottobre 2018, entravano in vigore le nuove e più restrittive disposizioni del cosiddetto “Decreto Dignità” (d.l. 87/2018), che reintroducevano l’obbligo di specificare una causale per le proroghe successive a un certo periodo. La società, firmando l’accordo prima di tale data, riteneva di poter ancora applicare la normativa precedente, più permissiva. La lavoratrice ha invece impugnato la proroga, sostenendo che dovesse sottostare alle nuove regole, essendo divenuta efficace dopo la loro entrata in vigore, e che l’uso ripetuto di contratti a termine mirasse a coprire in modo fraudolento un fabbisogno di personale stabile.

La Proroga del Contratto a Termine e la Disciplina Transitoria

Il primo motivo di ricorso si è concentrato sull’interpretazione della norma transitoria del Decreto Dignità. La legge specificava che le nuove regole si applicavano ai contratti stipulati dopo la sua entrata in vigore, nonché “ai rinnovi e alle proroghe contrattuali successivi al 31 ottobre 2018”.

La Corte d’Appello aveva dato ragione all’azienda, ritenendo che lo scambio di consensi avvenuto il 24 ottobre fosse sufficiente a collocare l’atto sotto l’ombrello della vecchia disciplina. La Cassazione ha ribaltato questa visione, fornendo un’interpretazione decisiva. Per i giudici, il legislatore ha volutamente distinto tra “stipula” di nuovi contratti e “proroghe/rinnovi” di contratti esistenti. Per questi ultimi, ciò che rileva non è il momento della firma, ma il momento in cui l’atto produce i suoi effetti sulla durata del rapporto. Poiché la proroga in questione decorreva dal 1° novembre 2018, era a tutti gli effetti “successiva” alla data limite del 31 ottobre e, pertanto, avrebbe dovuto rispettare la nuova disciplina, inclusa la necessità di una causale specifica.

L’Abuso del Contratto a Termine e la Frode alla Legge

Il secondo punto affrontato dalla Corte riguarda la legittimità della causale addotta dall’azienda per l’assunzione iniziale, ovvero la necessità di “coprire le prestazioni straordinarie e di flessibilità operativa” dovute a “ritardi nelle lavorazioni causate dalle condotte di sciopero del personale dipendente”.

La Cassazione ha affermato un principio fondamentale: il contratto a tempo indeterminato è la forma comune del rapporto di lavoro. Il ricorso al contratto a termine è un’eccezione, ammessa solo per esigenze di natura genuinamente temporanea e non per far fronte a necessità ordinarie e stabili dell’attività d’impresa. Utilizzare questo strumento per coprire carenze croniche di organico o esigenze durevoli, come quelle indicate dall’azienda, rappresenta un’elusione deliberata della disciplina protettiva del lavoro. Questo comportamento, secondo la Corte, integra una vera e propria frode alla legge (art. 1344 c.c.), in quanto si utilizza uno strumento formalmente lecito (il contratto a termine) per raggiungere un risultato illecito (evitare assunzioni stabili per fabbisogni permanenti).

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su una chiara analisi letterale e logica delle norme.

Per quanto riguarda la disciplina transitoria, i giudici hanno sottolineato che la _ratio_ della norma era quella di modificare il contenuto e la durata delle prestazioni lavorative. Di conseguenza, è il momento in cui la modifica della durata diventa efficace (la decorrenza della proroga) a determinare la legge applicabile, non il momento in cui l’accordo viene siglato. Un’interpretazione diversa avrebbe permesso di eludere facilmente l’entrata in vigore della nuova legge, semplicemente anticipando la firma di proroghe future.

In merito alla frode alla legge, la Corte ha ribadito che l’accertamento di tale fattispecie si basa sulla verifica del risultato concreto perseguito dalle parti. Se, attraverso accordi contrattuali, si raggiunge un risultato vietato dalla legge (come mascherare un rapporto di lavoro stabile con una serie di contratti a termine), il contratto è illecito, nonostante l’apparente liceità del mezzo impiegato. La Corte ha concluso che l’atto compiuto dall’azienda, prorogando il contratto senza causale con decorrenza successiva all’entrata in vigore delle nuove norme, integrava un contratto in frode alla legge.

Conclusioni

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha stabilito due principi di grande importanza pratica:

1. Efficacia vs. Firma: Per le proroghe e i rinnovi dei contratti a termine, la normativa di riferimento è quella in vigore alla data di decorrenza della proroga/rinnovo, non quella della sua sottoscrizione.
2. Divieto di Abuso: L’utilizzo sistematico di contratti a termine per coprire esigenze stabili e ordinarie dell’azienda è illegittimo e costituisce frode alla legge, con conseguente nullità del termine e conversione del rapporto in tempo indeterminato.

La decisione, accogliendo il ricorso della lavoratrice e cassando la sentenza d’appello, rafforza le tutele contro l’uso precario e abusivo del lavoro a termine, riaffermando la centralità del contratto a tempo indeterminato come forma standard di impiego.

Per la proroga di un contratto a termine, quale data conta per applicare una nuova legge: quella della firma o quella di efficacia?
La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, rileva il momento in cui la proroga produce i suoi effetti, cioè la sua data di decorrenza, e non la data in cui l’accordo è stato firmato.

Utilizzare contratti a termine per coprire esigenze stabili e ordinarie dell’azienda è legittimo?
No. Secondo la sentenza, utilizzare contratti a termine per soddisfare esigenze stabili, durevoli e ordinarie dell’impresa, invece di ricorrere all’assunzione a tempo indeterminato, costituisce un’elusione della disciplina legale e integra un’ipotesi di frode alla legge.

Cosa succede se una proroga viene dichiarata illegittima perché stipulata in frode alla legge?
La sentenza chiarisce che una proroga illegittima, o comunque in violazione di norme imperative, porta alla nullità del termine apposto al contratto. La conseguenza principale è la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato a partire dalla data della proroga illegittima.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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