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Progressioni verticali: stop senza autorizzazione

La Corte di Cassazione ha negato il diritto all’inquadramento superiore a un gruppo di dipendenti pubblici in un caso di progressioni verticali. L’amministrazione aveva bandito 920 posti, ma l’autorizzazione era stata concessa solo per 460. La Corte ha stabilito che, in assenza di un’autorizzazione completa e a causa di una nuova legge (ius superveniens) che ha modificato le regole, i candidati idonei oltre il 460° posto non avevano maturato un diritto quesito all’assunzione, respingendo così il loro ricorso.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Progressioni Verticali nel Pubblico Impiego: Quando Nasce il Diritto all’Assunzione?

L’ordinanza n. 2162/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulle progressioni verticali nel pubblico impiego, chiarendo i presupposti necessari perché un candidato idoneo possa vantare un vero e proprio diritto all’assunzione. La vicenda analizza il delicato equilibrio tra le aspettative dei lavoratori, le decisioni della Pubblica Amministrazione e l’impatto di nuove normative.

I Fatti di Causa

La controversia nasce da una procedura di selezione interna indetta da un Ministero per il passaggio di personale dall’Area B all’Area C. L’Amministrazione aveva pianificato la copertura di 920 posti, ma aveva ottenuto l’autorizzazione formale solo per 460 di essi. Nonostante ciò, i bandi di selezione facevano riferimento al numero complessivo di 920 posti, specificando però che l’inquadramento dei candidati posizionati oltre il 460° posto sarebbe avvenuto solo dopo la concessione della successiva autorizzazione.

I lavoratori, risultati idonei ma collocati in graduatoria oltre la posizione 460, hanno agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del loro diritto all’inquadramento superiore. La loro richiesta si basava sull’idea che l’Amministrazione si fosse impegnata a coprire tutti i 920 posti e che il loro diritto fosse ormai “quesito”, cioè acquisito e non modificabile da eventi successivi.

A complicare il quadro è intervenuto il D.Lgs. n. 150/2009 (la cosiddetta “Riforma Brunetta”), che, a partire dal 1° gennaio 2010, ha modificato le regole per le progressioni di carriera, limitando fortemente le procedure interamente riservate al personale interno in favore dei concorsi pubblici. Poiché le graduatorie del caso in esame sono state approvate dopo tale data, si è posto il problema di quale normativa applicare.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle progressioni verticali

La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei giudici di merito, ha respinto il ricorso dei lavoratori. Secondo i giudici, i ricorrenti non avevano mai maturato un diritto soggettivo all’assunzione, poiché mancava un elemento essenziale: l’autorizzazione a coprire i posti per i quali concorrevano.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni principi cardine del diritto del lavoro pubblico:
1. Natura della progressione verticale: Il passaggio a un’area superiore non è una semplice promozione, ma è equiparato a una nuova assunzione. Come tale, richiede il rispetto di tutte le procedure previste per il reclutamento, inclusa la preventiva autorizzazione a coprire i posti.
2. L’autorizzazione è un presupposto indispensabile: L’atto con cui la Presidenza del Consiglio dei Ministri autorizza un’amministrazione a bandire posti e ad assumere personale non è una mera formalità. È una condizione di validità della procedura stessa, che garantisce la copertura finanziaria e la coerenza con il fabbisogno di personale. Senza di essa, l’amministrazione non ha il potere di assumere.
3. L’impatto dello ius superveniens: Il diritto all’assunzione si perfeziona solo quando la graduatoria viene approvata e il candidato si trova in posizione utile per un posto autorizzato. Nel caso di specie, al momento dell’entrata in vigore della riforma (1° gennaio 2010), non solo mancava l’autorizzazione per i posti oltre il 460°, ma le stesse graduatorie non erano state ancora approvate. Di conseguenza, i lavoratori non avevano un “diritto quesito” da proteggere contro la nuova legge.
4. Assenza di legittimo affidamento: La Corte ha escluso che i lavoratori potessero invocare il principio del legittimo affidamento. I bandi di concorso erano chiari nel subordinare l’assunzione per i posti aggiuntivi al rilascio di una futura autorizzazione. Questa condizione, mai avveratasi, rendeva l’aspettativa dei candidati una mera speranza, non un diritto giuridicamente tutelabile.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel pubblico impiego, le procedure di reclutamento e di progressioni verticali sono governate da un rigido principio di legalità e di controllo della spesa pubblica. La Pubblica Amministrazione non può creare obbligazioni vincolanti per l’assunzione se non ha preventivamente ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni. Per i lavoratori, la lezione è chiara: la partecipazione a una selezione, anche con esito positivo, non garantisce l’assunzione fino a quando l’intero iter procedurale, autorizzazioni incluse, non sia completato. Qualsiasi aspettativa basata su atti non ancora perfezionati rimane soggetta alle modifiche normative che possono intervenire nel frattempo.

Quando sorge il diritto all’assunzione per un candidato idoneo in una graduatoria di progressione verticale?
Il diritto all’assunzione sorge solo quando la graduatoria è formalmente approvata e il candidato si trova in una posizione utile per un posto che è stato specificamente autorizzato dagli organi competenti. La semplice idoneità non è sufficiente.

Una nuova legge (ius superveniens) può bloccare lo scorrimento di una graduatoria indetta con la normativa precedente?
Sì, una nuova legge può legittimamente impedire l’assunzione se, al momento della sua entrata in vigore, i candidati non hanno ancora maturato un diritto soggettivo pieno e perfetto. Nel caso esaminato, questo diritto non era sorto perché mancava l’autorizzazione per i posti e le graduatorie non erano ancora state approvate.

L’aver bandito un concorso per più posti di quelli autorizzati crea un legittimo affidamento nei candidati?
No. Se il bando di concorso subordina esplicitamente l’assunzione per i posti eccedenti al rilascio di una futura autorizzazione, non si crea alcun legittimo affidamento. I candidati sono consapevoli della natura condizionata della loro potenziale assunzione, che dipende da un evento futuro e incerto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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