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Progressione economica: diritto anche se in pensione

Un dipendente pubblico, andato in pensione durante una lunga procedura selettiva per la progressione economica, era stato escluso dalla graduatoria finale. La Corte di Cassazione ha accolto il suo ricorso, stabilendo che la cessazione dal servizio non può invalidare il diritto acquisito. La Corte ha chiarito che la progressione economica non serve solo a incentivare il lavoro futuro, ma anche a premiare la professionalità già maturata, e che l’amministrazione non può aggiungere requisiti non previsti, come la permanenza in servizio fino alla fine della selezione.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Progressione economica: Sì al diritto anche per chi va in pensione durante la selezione

Nel complesso mondo del pubblico impiego, le procedure per la progressione economica rappresentano un momento cruciale per la carriera di un dipendente. Ma cosa accade se un lavoratore matura i requisiti per la pensione e cessa il servizio mentre la procedura selettiva, spesso lunga e farraginosa, è ancora in corso? Perde il diritto all’avanzamento? Con la recente ordinanza n. 27448/2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara e fondamentale a tutela dei lavoratori.

I fatti del caso: l’esclusione dalla graduatoria

Un dipendente di un’agenzia fiscale, in servizio da anni, partecipava a una selezione per la progressione economica orizzontale. Nonostante fosse risultato in posizione utile in una prima graduatoria, veniva successivamente escluso con un provvedimento dell’amministrazione. La motivazione? L’essere cessato dal servizio per pensionamento prima dell’approvazione della graduatoria definitiva. L’amministrazione sosteneva che la finalità della progressione fosse quella di incentivare la produttività futura, scopo che non poteva essere raggiunto con un dipendente ormai in quiescenza.

La decisione della Corte d’Appello

Inizialmente, il Tribunale aveva dato ragione al lavoratore, ritenendo che l’unico requisito fosse il possesso delle condizioni al momento dell’avvio della procedura. Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado avevano accolto la tesi dell’amministrazione, affermando che quest’ultima avesse agito legittimamente nell’interpretare il bando e nell’escludere chi non fosse più in servizio, in quanto la progressione è legata a un incentivo per prestazioni future. Il lavoratore, non arrendendosi, proponeva quindi ricorso in Cassazione.

L’analisi della Cassazione sulla progressione economica

La Suprema Corte ha cassato la sentenza d’appello, accogliendo le ragioni del dipendente e stabilendo principi di diritto di notevole importanza. L’analisi dei giudici si è concentrata sulla natura e sulla finalità della progressione economica così come disciplinata dalla contrattazione collettiva.

La duplice finalità della progressione

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’Appello, la Cassazione ha evidenziato che la progressione economica non ha una sola funzione incentivante per il futuro. Essa assolve a una pluralità di scopi concorrenti:

1. Funzione Corrispettiva: Compensa la maggiore flessibilità richiesta ai dipendenti.
2. Funzione Premiale: Riconosce il grado di abilità professionale e l’esperienza già acquisita negli anni precedenti.
3. Funzione Incentivante: Promuove il miglioramento dell’efficienza dei servizi istituzionali.

Obliterare le prime due finalità, concentrandosi solo su quella incentivante, costituisce un’interpretazione errata e riduttiva della disciplina contrattuale.

Il requisito della permanenza in servizio: un vincolo non previsto

Il punto centrale della decisione è che né il bando di selezione né il contratto collettivo prevedevano, come requisito per ottenere il beneficio, la permanenza in servizio del dipendente fino alla data di approvazione della graduatoria finale. Introdurre a posteriori tale requisito significa aggiungere un elemento aleatorio, non previsto dalle parti collettive, che finisce per penalizzare ingiustamente il lavoratore a causa di ritardi procedurali imputabili esclusivamente all’amministrazione.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il diritto alla progressione matura nel momento in cui il dipendente soddisfa i requisiti previsti dal bando all’avvio della procedura. La successiva cessazione dal servizio è un evento che non può avere efficacia retroattiva e cancellare un diritto già entrato nel patrimonio del lavoratore. La retroattività stessa degli effetti economici della progressione (che decorrono, di norma, dal 1° gennaio dell’anno di riferimento) conferma che l’avanzamento è legato a prestazioni e professionalità già consolidate, e non solo a quelle future. Legare il diritto all’approvazione finale della graduatoria introdurrebbe una condizione meramente potestativa e casuale, legata ai tempi, spesso lunghi, della burocrazia.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito che un dipendente pubblico che partecipa a una selezione per la progressione economica e matura il diritto alla pensione prima della sua conclusione, non può essere escluso dalla graduatoria. Il diritto si perfeziona con il possesso dei requisiti richiesti all’inizio della procedura. Questa ordinanza rappresenta una vittoria importante per i diritti dei lavoratori pubblici, affermando che i ritardi della pubblica amministrazione non possono andare a detrimento di chi ha servito con professionalità e dedizione, meritando il giusto riconoscimento economico anche se prossimo alla pensione.

Un dipendente pubblico che va in pensione prima della fine di una selezione per la progressione economica perde il diritto al beneficio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il dipendente possedeva i requisiti al momento dell’avvio della procedura, la successiva cessazione dal servizio non può essere causa di esclusione, poiché il diritto si è già consolidato.

Qual è la finalità della progressione economica secondo la Corte?
La progressione ha una triplice finalità: corrispettiva (per la flessibilità richiesta), premiale (per la professionalità già acquisita) e incentivante (per le prestazioni future). Non è corretto considerare solo l’ultimo aspetto.

L’Amministrazione può aggiungere il requisito di essere in servizio al momento dell’approvazione della graduatoria se non è previsto dal bando o dal contratto collettivo?
No. La Corte ha stabilito che introdurre questo requisito a posteriori è illegittimo, in quanto inserisce un elemento aleatorio non previsto dalle fonti normative che finisce per penalizzare il dipendente a causa dei ritardi procedurali dell’amministrazione stessa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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