Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18911 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18911 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18760-2022 proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COMUNE DI CIVITANOVA MARCHE UFFICIO PROCEDIMENTI DISCIPLINARI – VII SETTORE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 124/2022 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 30/05/2022 R.G.N. 135/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N.18760/2022
Ud 05/06/2025
Cron. Rep. CC
RILEVATO CHE:
1. con sentenza del 30 maggio 2022 la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Macerata che aveva rigettato il ricorso di NOME COGNOME contro la sanzione conservativa di euro 500 di multa irrogata dal Comune di Civitanova Marche, presso il quale prestava servizio in qualità di dirigente e come comandante della Polizia Municipale;
la sanzione era stata applicata per avere il COGNOME, senza preventiva comunicazione scritta all’amministrazione, tenuto (in data 4/10/2016) un corso di formazione -presso la Scuola regionale di formazione della P.A. -in orario di servizio, avvalendosi, ai fini del trasporto, dell’automobile d’ufficio condotta da una collega;
2. la Corte territoriale osservava che il regolamento sugli incarichi di cui alla delibera n. 334/2014 stabiliva, all’articolo 5, che quelli ‘ esterni ‘ richiedevano, per il loro espletamento, quanto meno la comunicazione scritta al dirigente del settore di appartenenza e al dirigente del personale, con divieto comunque di assolverli con interferenze sui compiti di ufficio e/o con utilizzo di materiali mezzi o strumenti dell’amministrazione;
osservava che i termini endoprocedimentali, come quello di trasmissione della segnalazione al responsabile UPD, avevano natura meramente ordinatoria, sicché non rilevavano salvo vi fosse pregiudizio del diritto di difesa (qui non vulnerato); era pacifico, peraltro, che la contestazione del 30 marzo 2017 fosse stata rispettosa del termine di 40 giorni (qui decorrente dal 21 febbraio 2017);
tale termine era correlato alla (maggiore) gravità della sanzione come valutabile ex ante in relazione alle condotte di falsa attestazione
della presenza in servizio, arbitrario abbandono del servizio distrazione o sottrazione di beni di pertinenza dell’ufficio, illeciti per cui era previsto in astratto il licenziamento disciplinare ex art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001;
la Corte anconetana aggiungeva che il COGNOME aveva utilizzato l’auto di servizio ponendo il pedaggio a carico dell’amministrazione per raggiungere da Civitanova Marche, sua sede di servizio, Ancona per l’ espletamento dell’ incarico di docenza e che si era fatto accompagnare da una collega distolta dai compiti istituzionali;
la fattispecie, ricondotta dall’amministrazione all’art. 7 co. 4 del CCNL 22.2.2010, recante ‘ Codice disciplinare per la dirigenza degli enti locali ‘ , contemplava la sanzione della multa per l’inosservanza di direttive e disposizioni di servizio e per condotta non conforme ai principi di correttezza nei confronti dei dipendenti;
contro la sentenza ricorre per cassazione il lavoratore con due motivi, resistiti con controricorso (illustrato da memoria) dell’amministrazione comunale.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 7 co. 4 del CCNL di riferimento; secondo il ricorrente il dictum della pronuncia sarebbe contrario alle risultanze probatorie e alla stessa disciplina di settore, non tenendo conto della circostanza che era intervenuta comunicazione della trasferta da parte dell’incolpato e della stessa deposizione del Sindaco, il quale aveva detto di essere stato anche lui avvertito informalmente dello spostamento ad Ancona;
in ogni caso, si censura la sentenza per non essersi avveduta del fatto che non era necessaria, ex art. 5 co. 1 ultimo trattino del Regolamento sugli incarichi del personale del Comune, l’autorizzazione per le attività
c.d. para-istituzionali riconducibili alle categorie di cui all’articolo 53 comma 6 TUPI, come appunto l’attività di formazione diretta ai dipendenti della pubblica amministrazione nonché di docenza e ricerca scientifica;
sussisteva, poi, vizio di motivazione del provvedimento impugnato e manifesta sproporzione della sanzione rispetto all’addebito ;
1.1 il motivo è inammissibile;
è utile rammentare che il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ma nei limiti fissati dalla disciplina applicabile ratione temporis ;
il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le più recenti, tra le tante, Cass. 12.9.2016 n. 17921; Cass. 11.1.2016 n. 195; Cass. 30.12.2015 n. 26110);
nel caso di specie, il ricorrente torna a prospettare la tesi difensiva, ritenuta non fondata dal giudice d’appello, che una comunicazione, seppure informale, v ‘era stata agli organi del Comune tentando così di avvalorare in questa sede la (sua) diversa lettura delle deposizioni testimoniali rispetto a quella fornita nella pronuncia impugnata;
le giustificazioni fornite dal COGNOME sono state soppesate dalla Corte anconetana, che le ha motivatamente disattese affermando che, comunque, sulla base del regolamento interno, se non occorreva l’autorizzazione, necessitava quanto meno la comunicazione preventiva qui non effettuata, sicché la censura, laddove si concentra sul profilo autorizzatorio, mostra di non cogliere il decisum sollecitando, nel suo ulteriore sviluppo argomentativo, un diverso giudizio sull’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito, (evidentemente) non consentito al giudice di legittimità;
con il secondo motivo si deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 115 e 166 c.p.c. e dell’articolo 55 bis commi 3-4 TUPI e si lamenta la decadenza della parte datoriale dall’esercizio del potere disciplinare;
si osserva in particolare che il termine di 40 giorni avrebbe dovuto decorrere dall’avvenuta conoscenza dell’originario esposto da parte di NOME COGNOME che era insieme dirigente delle Risorse umane e presidente dell’UPD (ufficio procedimenti disciplinari), sicché la ricezione della notizia da parte sua era di per sé idonea a far decorrere il termine di decadenza ex lege ;
la sentenza impugnata era viziata perché nessuna motivazione aveva dato sulle ragioni per cui il diritto di difesa del dipendente non aveva subito violazioni, oltre che per altri evidenti profili di legittimità non avendo essa colto gli elementi di contraddittorietà dell’iter disciplinare giacché perfino uno dei componenti dell’UPD, tale NOME COGNOME aveva dichiarato, nel verbale del 28 aprile 2017, che i termini per la contestazione non potevano che decorrere dalla data del 23 gennaio 2017 in difetto di attività istruttorie espletate;
in ogni caso, era stato violato il termine di 40 giorni previsto appena di decadenza in quanto la prima notizia dell’infrazione risaliva al 23 gennaio 2017, sicché era a tale momento e non alla successiva data (21.2.2017) di pervenimento della notizia all’UPD che si doveva far riferimento ai fini della valutazione della tempestività della contestazione del 30.3.2017;
2.1 il motivo è inammissibile per le stesse ragioni del punto che precede;
laddove, poi, la censura rievoca la vicenda dell’avvenuta conoscenza dell’esposto da parte del COGNOME sostenendo la carenza di motivazione della sentenza, mostra di non confrontarsi col decisum che sullo specifico aspetto evidenzia « Né puoi levare che la segnalazione era indirizzata oltre che al sindaco al segretario generale e anche al dirigente risorse umane dott. COGNOME che svolgeva altresì la funzione di presidente UPD, in quanto la norma per ancorare il decorso del termine per la contestazione a un fatto certo oggettivo fa riferimento alla trasmissione degli atti all’ufficio competente e non alla conoscenza che per altre ragioni i singoli componenti di tale ufficio possono avere dell’infrazione, circostanza che non rileva in alcun modo per la decorrenza dei termini in esame» (v. p. 6 sentenza);
nello statuire in tal senso, la Corte di merito si è uniformata all’indirizzo di questa Corte secondo cui ‘ In tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 55 bis comma 4 , secondo e terzo periodo, d.lgs. n. 165/01, la data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione -dalla quale decorre il termine entro il quale deve concludersi, a pena di decadenza dall’azione disciplinare, il relativo procedimento -coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all’ufficio per i procedimenti disciplinari o,
se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora, la collegialità dell’UPD rilevando, infatti, non solo per i suoi provvedimenti ma anche per le sue conoscenze, e pertanto restando irrilevante la conoscenza acquisita non dall’Ufficio in sé, sede dell’organo collegiale, ma dai suoi singoli componenti ‘ (Cass. sez. L, Sentenza n. 16900 del 10/08/2016);
al richiamato indirizzo il Collegio ritiene di dare continuità, aggiungendo l’ulteriore considerazione che la conoscenza della notizia dei fatti disciplinarmente rilevanti, per essere correlata a una serie di attività da realizzarsi dall’organo (UPD) nella sua istituzionale consistenza, postula un’attività di ufficializzazione, anche attraverso un autonomo sistema di formale protocollazione, che è propria dell’Ufficio nel suo complesso, nella sua veste istituzionale, che prescinde dalle attività effettuate e/o ricevute dai singoli componenti dell’organo sia esso individuale o collegiale;
d’altronde, se esigenze di certezza sono a base della tutela del dipendente, le medesime esigenze vanno rispettate, per irrinunciabile simmetria, anche avuto riguardo alla posizione dell’Amministrazione, il che non può avvenire se non individuando in modo certo ed oggettivamente verificabile il dies a quo da cui far decorrere il termine di 40 gg. per la contestazione che viene qui in considerazione;
non vale poi ancorare, come fa il ricorrente, il termine per la contestazione d’addebito alla prima notizia dell’infrazione, rilevando solo il momento in cui la comunicazione perviene formalmente all’UPD;
questa Corte ha ripetutamente affermato, infatti, che il termine per la contestazione, sia prima che dopo le modifiche apportate all’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 dal d.lgs. n. 75 del 2017 (riforma c.d. Madia), va calcolato dal momento in cui l’UPD riceve gli atti dal responsabile della
struttura, e cioè riceve una ‘notizia di infrazione’ di contenuto tale da consentirgli di dare in modo corretto l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione (Cass. n. 11635 del 2021; Cass. n. 20730 del 2022; Cass. n. 10284 del 2023, Cass. n. 20235 del 2023 e Cass. n. 12068 del 2025);
anche nel regime anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 75 del 2017, si è costantemente ritenuto che in tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, l’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001, nell’indicare i tempi della contestazione, mentre impone al dirigente della struttura amministrativa di trasmettere «entro cinque giorni dalla notizia del fatto» gli atti all’ufficio disciplinare, prescrive a quest’ultimo (UPD), a pena di decadenza, di contestare l’addeb ito entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione degli atti, sicché va escluso che l’inosservanza del primo termine, che assolve ad una funzione meramente sollecitatoria, comporti, di per sé, l’illegittimità della sanzione inflitta, potendo assumere rilievo la sua violazione solo allorché la trasmissione degli atti venga differita in misura tale da ostacolare il diritto di difesa;
si è chiarito altresì nella giurisprudenza di legittimità che l’art. 55 bis, comma 4, d.lgs. cit., in considerazione della maggiore complessità degli accertamenti, riserva alla competenza dell’UPD l’applicazione di una sanzione più grave di quella prevista nel primo periodo del comma 1 (rimprovero verbale e sospensione dal servizio con privazione della retribuzione inferiore a dieci giorni), prevedendo, in tal caso, il raddoppio dei termini per la contestazione e per la conclusione del procedimento (Cass. n. 22075/2018);
in definitiva, alla luce delle considerazioni di cui sopra, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità che liquida in €. 4.000 ,00 per compensi oltre €. 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese gen. al 15% ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosi anticipatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte Suprema di