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Procedimento disciplinare: quando inizia il termine?

Un dirigente pubblico è stato sanzionato per aver svolto un’attività extra-lavorativa non comunicata durante l’orario di servizio. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, chiarendo un punto fondamentale sul procedimento disciplinare pubblico impiego: il termine per la contestazione decorre dalla ricezione formale degli atti da parte dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD) e non dalla conoscenza informale che possano averne i suoi singoli membri. La sentenza ribadisce l’impossibilità per la Cassazione di riesaminare i fatti del processo.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Procedimento Disciplinare Pubblico Impiego: Quando Scatta il Termine?

La gestione dei tempi è un elemento cruciale in qualsiasi procedura legale, e il procedimento disciplinare pubblico impiego non fa eccezione. La tempestività della contestazione di un addebito è fondamentale per garantire sia il diritto di difesa del lavoratore sia l’efficacia dell’azione dell’amministrazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento decisivo su un aspetto chiave: il momento esatto da cui inizia a decorrere il termine per avviare l’azione disciplinare. Analizziamo il caso per comprendere le implicazioni pratiche di questa pronuncia.

I fatti del caso: la sanzione al dirigente

Un dirigente della Polizia Municipale veniva sanzionato dal proprio Comune con una multa di 500 euro. L’addebito contestato era di aver tenuto un corso di formazione presso la Scuola regionale della Pubblica Amministrazione durante l’orario di servizio, senza averne dato preventiva comunicazione scritta all’ente. Per di più, per il trasporto si era avvalso di un’auto di servizio guidata da una collega, distolta dai suoi compiti istituzionali.

La difesa del dipendente e i motivi del ricorso

Il dirigente impugnava la sanzione, sostenendo che una comunicazione informale ci fosse stata e che, comunque, per quel tipo di attività formativa non fosse necessaria un’autorizzazione formale. In secondo luogo, e questo è il punto centrale della questione, eccepiva la tardività della contestazione. A suo avviso, il termine di 40 giorni per l’avvio del procedimento sarebbe dovuto decorrere dal momento in cui il dirigente delle Risorse Umane, che era anche presidente dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD), aveva ricevuto l’esposto originario, e non dalla successiva data di trasmissione formale degli atti all’UPD stesso.

La decisione nel procedimento disciplinare pubblico impiego

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le ragioni del dirigente. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la validità della sanzione e offrendo importanti principi di diritto.

L’inammissibilità della rivalutazione dei fatti

In primo luogo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale del giudizio di legittimità: la Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove del processo. Il ricorrente, nel sostenere di aver comunicato informalmente la sua assenza, stava chiedendo una nuova valutazione delle testimonianze, un compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Corte d’Appello aveva già stabilito che, a prescindere dalla necessità o meno di un’autorizzazione, il regolamento interno richiedeva quantomeno una comunicazione preventiva, che non era stata effettuata.

La decorrenza del termine per la contestazione

Il punto più significativo della decisione riguarda la decorrenza dei termini. La Cassazione ha stabilito che, per garantire certezza e oggettività, il dies a quo (il giorno di partenza) del termine per la contestazione disciplinare coincide con la data in cui la notizia dell’infrazione perviene formalmente all’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD) in quanto organo collegiale. È irrilevante che un singolo componente dell’ufficio, anche se ne fosse il presidente, ne sia venuto a conoscenza in un momento precedente e in via informale. La conoscenza deve essere ufficializzata attraverso la protocollazione e la trasmissione formale all’ufficio competente.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base dell’esigenza di certezza giuridica, che tutela sia il dipendente che l’Amministrazione. Individuare il termine iniziale in un atto formale e oggettivamente verificabile, come la ricezione degli atti da parte dell’UPD, impedisce incertezze e contestazioni. L’acquisizione della notizia da parte di un singolo membro non è sufficiente, poiché è l’organo nel suo complesso a dover attivare la procedura. Questo indirizzo, ha sottolineato la Corte, è consolidato e serve a garantire che l’UPD riceva una ‘notizia di infrazione’ completa e strutturata, tale da consentirgli di avviare correttamente il procedimento.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio cardine del procedimento disciplinare pubblico impiego: la formalità e la certezza dei tempi procedurali. Per le pubbliche amministrazioni, emerge la necessità di avere procedure chiare per la trasmissione degli atti all’UPD. Per i dipendenti, viene confermato che il termine a garanzia del loro diritto di difesa decorre da un momento certo e tracciabile. La conoscenza ‘personale’ o ‘informale’ di un fatto da parte di un dirigente non ha valore ai fini procedurali, contando solo la comunicazione formale all’organo competente.

Da quando decorre il termine per avviare un procedimento disciplinare nel pubblico impiego?
Il termine di 40 giorni per la contestazione dell’addebito decorre dalla data in cui la notizia dell’infrazione viene formalmente ricevuta dall’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD) come organo collegiale, e non da momenti antecedenti di conoscenza informale.

La conoscenza informale di un illecito da parte del capo del personale, che è anche presidente dell’UPD, fa scattare i termini del procedimento?
No. Secondo la Corte, la conoscenza acquisita da un singolo componente dell’UPD, anche se ne è il presidente, è irrilevante ai fini della decorrenza del termine. Ciò che conta è il momento in cui l’ufficio, nella sua veste istituzionale e complessiva, riceve formalmente gli atti.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle risultanze probatorie (come le testimonianze). Il suo compito è giudicare la corretta applicazione delle norme di diritto (giudizio di legittimità), non riesaminare il merito della controversia, che è di competenza dei giudici dei gradi precedenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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