Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15687 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 15687 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1067/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO -ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Dirigente generale pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO presso lo studio del dott. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO RAGIONE_SOCIALE n. 217/2018 depositata il 18/10/2018, RG n. 47/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME e NOME COGNOME, ciascuno medico titolare di incarico trimestrale di convenzione per la continuità assistenziale con l’RAGIONE_SOCIALE, presso la sede del Comune di Castelgrande, hanno impugnato dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE i provvedimenti del RAGIONE_SOCIALE Arbitrale, con i quali veniva loro irrogata la sanzione pecuniaria pari alla riduzione del 20% di quanto mensilmente dovuto da parte della RAGIONE_SOCIALE per la durata di mesi cinque, cui facevano seguito le deliberazioni del Direttore generale.
Il Tribunale respingeva la domanda ritenendo la legittimità dei provvedimenti sia sotto il profilo formale, essendo stati adottati nel rispetto del termine di 180 giorni, sia sostanziale, essendo risultata provata la contestazione mossa ai due medici convenzionati.
La Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado.
Il giudice di appello ha affermato che il richiamo nella lettera di contestazione al comma 5 dell’art. 30 dell’Accordo collettivo nazionale del 23 marzo 2005 non vincolava l’Amministrazione all’applicazione del comma 4, relativo alle violazioni di natura o ccasione e alle relative sanzioni. Di talché, all’esito delle controdeduzioni l’RAGIONE_SOCIALE, ritenendo di non poter applicare il comma 4, ben aveva investito il RAGIONE_SOCIALE Arbitrale, ai sensi dei commi 7 e 11, che aveva convocato i due medici, dando la possibilità di discolparsi dall’addebito, con una difesa sostanzialmente rafforzata.
Il giudice di secondo grado ha affermato che il procedimento disciplinare si era concluso nel termine previsto di 180 giorni, atteso che rilevavano le deliberazioni conclusive del Direttore generale (intervenute il 2 dicembre 2015) e non la successiva comunicazione, e che sussisteva la proporzionalità delle sanzioni irrogate.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono i lavoratori prospettando due motivi di ricorso, assistiti da memoria.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotto il vizio di violazione di legge e del giusto procedimento con particolare riferimento all’art. 30 dell’Accordo collettivo nazionale del 23 marzo 2005.
I ricorrenti riportano il contenuto della suddetta disposizione contrattuale e deducono che per le violazioni di natura occasionale di cui al comma 4, trovava applicazione il procedimento di cui ai commi 5 e 6, con l’eventuale irrogazione delle sanzioni pr eviste dal medesimo comma 4 (richiamo verbale, richiamo con diffida per il reiterarsi delle infrazioni) da parte del Direttore generale.
Invece, il comma 7, del medesimo art. 30, disciplina le violazioni di maggiore gravità, che danno luogo alle sanzioni di riduzione del trattamento economico, alla sospensione o alla revoca del rapporto, che vengono irrogate all’esito di un diverso procedimento, da parte del RAGIONE_SOCIALE arbitrale.
Pertanto, per irrogare una delle sanzioni previste dal comma 7 dell’art. 30, come nella specie, l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto formulare in via preventiva la contestazione nelle forme e nei modi previsti da tale disposizione.
Nella specie, invece, nella lettera di contestazione vi era stato il richiamo al comma 5 dell’art. 30, che non era generico, ma indice dell’avvio di un procedimento ben determinato, che condizionava le sanzioni irrogabili.
Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di violazione del diritto di difesa e dei principi di correttezza e buona fede.
I ricorrenti illustrano le differenze tra il procedimento di cui al comma 5 e il procedimento di cui al comma 7.
Nel primo caso le giustificazioni vanno rese dinanzi al Direttore generale.
Nella seconda fattispecie, il RAGIONE_SOCIALE arbitrale convoca il medico a difesa, attribuendogli la possibilità di farsi assistere da un difensore e la convocazione non può intervenire prima di 20 giorni dall’invio della contestazione scritta.
Nella specie, i ricorrenti avevano reso senza difesa tecnica le proprie giustificazioni al Direttore generale nel giugno 2015. Con telegramma del 13 novembre 2015 venivano convocati per il martedì successivo, così ledendosi il proprio diritto di difesa, non avendo avuto a disposizione il termine minimo per munirsi di difensore.
La sentenza di appello, quindi, aveva violato i principi di specificità e immutabilità della contestazione, di trasparenza e lealtà, volti a garantire all’interessato una idonea a e piena difesa.
I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.
Gli stessi non sono fondati.
È pacifico tra le parti (attesa la sostanziale conformità delle contestazione come riportata a pagg. 2 e 3 del ricorso, e a pag. 2 del controricorso) che a ciascuno dei ricorrenti veniva contestato con nota del 18 giugno 2015 che a seguito di controlli incrociati tra le richieste di liquidazione prevenute all’ARAGIONE_SOCIALE da parte dei medici di continuità assistenziale in servizio presso la sede di Castelgrande e le risultanze del registro della stessa sede, controllo che aveva riguardato i mesi di febbraio, marzo aprile e maggio 2015, si era constatato che la RAGIONE_SOCIALE in più occasioni aveva chiesto la liquidazione
di determinati turni mentre dal registro di continuità assistenziale era emerso che il medico in servizio era persona diversa dal richiedente la liquidazione.
Nella contestazione, come riportata da entrambe le odierne parti, non vi è alcun riferimento alla natura occasionale o alla maggiore gravità della condotta contestata.
Occorre rilevare che né il comma 4, né il comma 7 dell’art. 30 dell’Accordo tipizzano le fattispecie di illecito disciplinare ‘violazioni di natura occasionale ‘ e ‘le violazioni di maggiore gravità ‘ .
A loro volta, sia il comma 5 che il comma 1 1 dell’art. 30 dell’Accordo stabiliscono che l’ARAGIONE_SOCIALE contesta per iscritto l’addebito al medico, entro 30 giorni dal momento in cui ne viene a conoscenza.
Ai sensi del comma 5: ‘Il medico ha la possibilità di produrre le proprie controdeduzioni entro 20 giorni dalla data della contestazione e di essere sentito se lo richiede’.
Il comma 12 prevede: ‘La convocazione per la difesa non può avvenire prima che siano trascorsi 20 giorni dall’invio della contestazione scritta dell’addebito da parte della RAGIONE_SOCIALE‘.
Pertanto, come affermato correttamente dalla Corte d’Appello il richiamo contenuto nella comunicazione di avvio del procedimento disciplinare al comma 5, non vincolava l’Amministrazione alla erogazione delle sanzioni di cui al comma 4 -che avrebbe richiesto la qualificazione della condotta disciplinare come di natura occasionale nella contestazione – fermo restando che come avvenuto nella specie, rilevato che era emersa la maggiore gravità delle condotte contestate, si è fatta applicazione delle garanzie procedimentali previste quanto all’Autorità competente, il RAGIONE_SOCIALE arbitrale, e alla convocazione dinanzi allo stesso.
Né è fondata la censura relativa alla violazione delle garanzie di difesa, atteso che non è stata prospettata la lesione delle stesse in concreto.
Va osservato in proposito che è stato già affermato da questa Corte (Cass. 7 aprile 2021, 9313, Cass. 7 giugno 2019, 15515; Cass. 22 agosto 2016, n. 17245), tanto in ambito di lavoro privato quanto in ambito di lavoro pubblico privatizzato, che la sanzione della illegittimità del licenziamento in caso di violazione del termine posto per le difese del lavoratore viene sempre collegata alla deduzione di un pregiudizio subito nell’articolazione delle giustificazioni da fornire al datore di lavoro. Il pregiudizio determinato dal mancato rispetto del termine a difesa deve essere dedotto in concreto e non in via astratta.
Così è stato precisato (ancorché con riferimento al termine ed alle modalità per la convocazione a difesa disciplinati dall’art. 55bis del d.lgs. n. 150 del 2009), ponendosi proprio in evidenza la finalità di garanzia del diritto di difesa del lavoratore (Cass. 6 marzo 2019, n. 6555; Cass. 2 ottobre 208, n. 23895; Cass. 22 agosto 2016, n. 17245; Cass. 10 agosto 2016, n. 16900), che i vizi procedurali correlati all ‘ audizione del lavoratore possono dare luogo a nullità del procedimento, e della conseguente sanzione, solo ove sia dimostrato, dall’interessato, un pregiudizio al concreto esercizio del diritto di difesa, e non di per sé soli.
Va infine osservato che in sede di deposito di memoria PCT i ricorrenti hanno depositato copia sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale penale di RAGIONE_SOCIALE dell ‘8 novembre 2022, che tuttavia non reca attestazione di passaggio in giudicato, né peraltro la data della comunicazione di deposito al Procuratore generale, di talché si rileva il difetto di rilevanza per la mancanza della prova della irrevocabilità della stessa, che assorbe il vaglio di ammissibilità del deposito.
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio