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Procedimento disciplinare: chi può irrogare sanzioni?

Un dipendente di un ente pubblico, sanzionato con la sospensione dal servizio, aveva ottenuto l’annullamento della sanzione in Corte d’Appello perché irrogata dal suo diretto superiore, ritenuto incompetente. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando la legittimità della delega di funzioni disciplinari al superiore gerarchico. L’ordinanza chiarisce che il principio di terzietà nel procedimento disciplinare attiene alla distinzione organizzativa tra uffici e non implica un’incompatibilità personale del dirigente, consolidando un importante principio sulla gestione delle sanzioni nel pubblico impiego.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Procedimento Disciplinare: La Cassazione Chiarisce i Poteri del Dirigente

La gestione del procedimento disciplinare nel pubblico impiego è una materia complessa, dove il rispetto delle garanzie formali è essenziale per la validità delle sanzioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce su un aspetto cruciale: la competenza a irrogare la sanzione e i limiti del principio di terzietà. La pronuncia chiarisce che il superiore gerarchico può legittimamente condurre il procedimento, se delegato, senza che ciò costituisca una violazione delle norme.

Il Caso: Sanzione Annullata per Incompetenza

Un agente di polizia municipale veniva sanzionato da un Comune con la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 40 giorni. L’agente impugnava il provvedimento, che veniva annullato sia in primo grado sia dalla Corte d’Appello.

Il motivo della nullità, secondo i giudici di merito, risiedeva nell’incompetenza del soggetto che aveva irrogato la sanzione: il Comandante del Corpo di Polizia Municipale. Sebbene quest’ultimo avesse agito su delega del Segretario Generale (responsabile dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari), la Corte d’Appello riteneva che la sua posizione di diretto superiore gerarchico del dipendente violasse il principio di terzietà. Tale principio, secondo l’interpretazione dei giudici, è posto a garanzia del lavoratore e richiede che le fasi del procedimento siano condotte da un soggetto terzo sia rispetto al lavoratore sia rispetto al capo della sua struttura.

La Questione del Procedimento Disciplinare in Cassazione

L’ente comunale ha proposto ricorso in Cassazione, contestando l’interpretazione della Corte territoriale. Secondo il Comune, la normativa (in particolare l’art. 55-bis del d.lgs. 165/2001) concede all’amministrazione la libertà di individuare la composizione dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Inoltre, non esisterebbe un obbligo di astensione automatico per il soggetto delegato che rivesta anche il ruolo di responsabile della struttura cui appartiene il dipendente incolpato. Il ricorso mirava a dimostrare che la procedura seguita era formalmente corretta e che la sanzione non era viziata da incompetenza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Comune, cassando la sentenza d’appello e fornendo un’interpretazione dirimente del principio di terzietà. Gli Ermellini hanno stabilito che l’interpretazione della Corte d’Appello era errata.

Il principio di terzietà, su cui si fonda la necessità di un apposito ufficio per i procedimenti disciplinari, postula una distinzione sul piano organizzativo tra tale ufficio e la struttura in cui opera il dipendente. Non deve essere confuso con l’imparzialità tipica di un organo giudicante, che solo un soggetto completamente estraneo all’amministrazione potrebbe garantire.

La Corte ha chiarito che:
1. La Terzietà è Organizzativa: L’esigenza di legge è soddisfatta quando l’ufficio disciplinare è strutturalmente distinto dall’ufficio di appartenenza del dipendente.
2. La Delega è Legittima: Un dirigente responsabile dell’ufficio disciplinare può legittimamente delegare le sue funzioni a un altro dirigente, anche se quest’ultimo è il capo della struttura del lavoratore sanzionato. Questo rientra nei normali poteri organizzativi attribuiti ai dirigenti.
3. Nessun Obbligo di Astensione: Non esiste una norma che imponga un obbligo di astensione al dirigente delegato solo perché è anche il superiore gerarchico del dipendente. Un conflitto di interessi non può essere presunto, ma deve essere provato in concreto.

Le Conclusioni

La sentenza rafforza un principio di flessibilità organizzativa per le pubbliche amministrazioni nella gestione dei procedimenti disciplinari. Viene chiarito che la garanzia per il dipendente risiede nella separazione formale tra gli uffici e non nell’assoluta estraneità personale del soggetto che conduce il procedimento. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: le amministrazioni possono delegare le funzioni disciplinari con maggiore sicurezza, a condizione che la delega sia formalmente corretta e l’ufficio disciplinare sia stato correttamente istituito come entità a sé stante. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio di diritto.

Può il superiore gerarchico di un dipendente pubblico condurre il procedimento disciplinare a suo carico?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il superiore può condurre il procedimento se agisce su delega del responsabile dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari. La sua posizione gerarchica non costituisce di per sé una causa di incompatibilità o di nullità della sanzione.

Cosa significa il principio di “terzietà” nel procedimento disciplinare secondo la Cassazione?
Il principio di “terzietà” richiede una distinzione a livello organizzativo tra l’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari e la struttura in cui lavora il dipendente. Non va confuso con l’imparzialità assoluta richiesta a un giudice, ma si realizza garantendo che la gestione sia affidata a un ufficio strutturalmente separato.

La delega della funzione disciplinare a un dirigente che è anche capo del dipendente è sempre legittima?
Sì, secondo quanto stabilito in questa ordinanza, la delega è legittima in quanto rientra nei poteri organizzativi dei dirigenti. La legge non prevede un obbligo automatico di astensione in questa ipotesi, e un eventuale conflitto di interessi non può essere semplicemente presunto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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