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Principio di terzietà: licenziamento pubblico nullo

La Corte di Cassazione ha confermato l’annullamento di un licenziamento disciplinare inflitto a una dipendente pubblica. La decisione si fonda sulla violazione del principio di terzietà, poiché il dirigente della struttura in cui operava la lavoratrice era la stessa persona a capo dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari. Secondo la Corte, questa coincidenza di ruoli compromette l’imparzialità richiesta dalla legge, rendendo nullo il procedimento e la sanzione irrogata.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Principio di Terzietà: La Cassazione Annulla un Licenziamento nel Pubblico Impiego

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza un caposaldo del diritto del lavoro pubblico: il principio di terzietà nei procedimenti disciplinari. Questa garanzia, che impone una netta separazione tra chi contesta l’illecito e chi giudica, non può essere sacrificata per esigenze organizzative. La pronuncia in esame ha annullato il licenziamento di una dipendente proprio perché l’ente pubblico non aveva rispettato questa regola fondamentale.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una dipendente di un Ente Pubblico Locale licenziata per motivi disciplinari. La Corte d’Appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva già annullato il licenziamento. La motivazione era chiara: nell’ambito dell’ente, non vi era alcuna distinzione tra il responsabile della struttura in cui lavorava la dipendente, che aveva avviato il procedimento, e il titolare dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari (UPD), che aveva il compito di gestirlo e concluderlo. In pratica, la stessa persona ricopriva entrambi i ruoli, agendo sia come ‘accusatore’ che come ‘giudice’. L’Ente ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la distinzione tra i due ruoli fosse garantita sul piano organizzativo e che la violazione fosse, al più, una mera irregolarità formale.

Il Principio di Terzietà come Garanzia Imperativa

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella natura del principio di terzietà, sancito dall’art. 55-bis del D.Lgs. 165/2001. La norma impone che, per le sanzioni di maggiore gravità (come il licenziamento), il soggetto competente a irrogare la sanzione sia distinto dal responsabile della struttura di appartenenza del dipendente.

Questa separazione non è un mero formalismo. Essa è posta a garanzia dell’imparzialità e della serenità di giudizio. Il procedimento disciplinare deve essere condotto da un soggetto terzo, con il necessario distacco dalla struttura lavorativa coinvolta. L’obiettivo è evitare che chi avvia il procedimento, magari perché direttamente coinvolto nei fatti, sia anche colui che ne determina l’esito. Si tratta di un’espressione di valori giuridici fondamentali che non può essere messa in secondo piano.

Le Esigenze Organizzative non Possono Prevalere

L’Ente ricorrente aveva tentato di giustificare la coincidenza dei ruoli adducendo esigenze organizzative, come la presenza di un unico dirigente in organico. La Cassazione ha respinto categoricamente questa argomentazione. Secondo i giudici, il carattere imperativo del principio di terzietà impone all’amministrazione di trovare soluzioni organizzative idonee a garantirlo. L’ente avrebbe potuto, ad esempio, stipulare convenzioni con altre amministrazioni locali o affidare l’incarico a figure dirigenziali diverse, come il Segretario dell’ente. L’impossibilità di assicurare le garanzie procedurali per il dipendente non può essere giustificata da carenze strutturali interne.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso presentati dall’Ente. In primo luogo, ha ribadito che la giurisprudenza è consolidata nel richiedere una distinzione effettiva e non solo formale o astratta tra l’ufficio del dipendente e l’UPD. Nel caso di specie, è stato accertato che lo stesso dirigente era contemporaneamente superiore gerarchico della lavoratrice e titolare monocratico dell’UPD. Questo ‘immedesimarsi illegittimo’ delle due figure nella stessa persona fisica ha compromesso irrimediabilmente la procedura.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che la violazione del principio di terzietà non costituisce una semplice irregolarità procedurale sanabile. Al contrario, essa rappresenta un vizio sostanziale che incide sulla validità stessa del procedimento e della sanzione finale. L’incidenza significativa delle sanzioni disciplinari maggiori sul rapporto di lavoro giustifica il rigore nell’applicazione di questa garanzia fondamentale.

Conclusioni

La sentenza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per la tutela dei lavoratori del settore pubblico. Il principio di terzietà è una garanzia non negoziabile che le amministrazioni sono tenute a rispettare scrupolosamente. La decisione chiarisce che le difficoltà organizzative interne non possono mai giustificare il sacrificio dell’imparzialità del procedimento disciplinare. Di conseguenza, ogni sanzione irrogata in violazione di questa netta separazione di ruoli è destinata ad essere annullata, con tutte le conseguenze del caso per l’amministrazione.

È valido un licenziamento disciplinare se il capo del dipendente è anche il responsabile del procedimento?
No, non è valido per le sanzioni di maggiore gravità. La Corte di Cassazione ha stabilito che la coincidenza tra il ruolo di responsabile della struttura e quello di titolare dell’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari viola il principio di terzietà, rendendo nullo l’intero procedimento e la sanzione irrogata.

Il principio di terzietà nel pubblico impiego può essere derogato per esigenze organizzative dell’ente, come la mancanza di dirigenti?
No. La Corte ha chiarito che le esigenze organizzative interne, come la presenza di un unico dirigente, non possono giustificare la violazione del principio di terzietà. L’amministrazione ha l’obbligo di adottare soluzioni alternative (es. convenzioni con altri enti) per garantire l’imparzialità del procedimento.

La violazione del principio di terzietà è solo un’irregolarità formale o un vizio sostanziale?
È un vizio sostanziale. La sentenza sottolinea che il mancato rispetto della distinzione tra i ruoli non è una mera irregolarità formale, ma una violazione di un principio imperativo posto a garanzia dell’imparzialità e del giusto procedimento. Tale vizio compromette la validità della sanzione disciplinare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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