Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4046 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 4046 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5727/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata in Roma, presso l’RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso l’indirizzo pec registri di giustizia del medesimo
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 274/2022, depositata il 5.10.2022, RG NUMERO_DOCUMENTO;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi gli AVV_NOTAIO per la ricorrente e NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Ancona, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha annullato il licenziamento disciplinare irrogato dalla Provincia di Ancona nei confronti di NOME COGNOME, ritenendo che il ‘ contesto fattuale ‘, quale emerso dall’istruttoria, fosse tale per cui nell’ambito dell’ente non vi era stata alcuna distinzione tra il responsabile della struttura, che aveva dato avvio al procedimento disciplinare, e l’Ufficio per i procedimenti disciplinari, così risultando violato l’art. 55 -bis , co. 4, d. lgs. n. 165 del 2001, nel testo applicabile ratione temporis .
La Provincia di Ancona ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui la RAGIONE_SOCIALE ha opposto difese con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 55 -bis , co. 1 e 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, sostenendo che la Corte, decidendo nei termini di cui sopra, si sarebbe posta in contraddizione con la giurisprudenza della S.C., secondo cui il principio di terzietà tra responsabile della struttura ove presta servizio il dipendente e dirigente dell’Ufficio di procedimenti disciplinari postula solo la distinzione sul piano organizzativo tra detto Ufficio e la predetta struttura.
Il secondo motivo assume l’omesso esame di un fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.), consistente nella sicura distinzione, sul piano organizzativo, tra Ufficio per i procedimenti disciplinari e struttura ove operava la dipendente.
Il terzo motivo richiama in rubrica ancora l’art. 360 n. 5 c.p.c. ed assume la ricorrenza di una motivazione apparente, in quanto sviluppata ribadendo in modo tautologico che, ove il titolare dell’Ufficio per i procedimenti disciplinari sia anche dirigente del settore ove opera il dipendente, si realizzerebbe per tale sola ed esclusiva ragione la violazione del principio di ‘terzietà’, in tal modo però non spiegando perché la Provincia non avrebbe assicurato la necessaria distinzione organizzativa.
Il quarto motivo infine assume la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 -bis , co. 9ter , del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 21 -octies della L. n. 241 del 1990 e con esso si sostiene che il vizio avrebbe portata meramente formale e dunque esso potrebbe al più integrare un’irrilevante irregolarità procedurale.
I motivi vanno esaminati congiuntamente e sono nel loro insieme da disattendere.
3. Deve premettersi come costituisca ius receptum quello per cui in tema di sanzioni disciplinari nel pubblico impiego, il responsabile della struttura ed il soggetto competente ad irrogare la sanzione, quest’ultimo da individuarsi a cura di ciascuna amministrazione e secondo il proprio ordinamento, devono essere distinti, ex art. 55bis del d.lgs. n. 165 del 2001 ratione temporis vigente, al fine di garantire che, in relazione alle sanzioni di maggiore gravità, tutte le fasi del procedimento vengano condotte da un soggetto terzo, in condizioni di serenità ed imparzialità di giudizio e con il sufficiente distacco dalla struttura lavorativa alla quale è addetto il dipendente; la necessità di tale distinzione viene meno solo ove si realizzi la duplice condizione che l’infrazione rilevata sia fra quelle di minore gravità ed il responsabile della struttura rivesta la qualifica di dirigente (Cass. 27 dicembre 2021, n. 41568; Cass. 29 luglio 2019, n. 20417) ed è stato sottolineato il carattere imperativo del principio di terzietà e della conseguente distinzione sul piano organizzativo tra l’ufficio per i procedimenti disciplinari e
la struttura nella quale opera il dipendente (Cass. 31 luglio 2019, n. 20721; Cass. 25 ottobre 2017 n. 25379).
Conclusione che va qui ribadita, tenuto conto che l’incidenza significativa che le sanzioni disciplinari ‘maggiori’ hanno sul rapporto di lavoro giustifica il riconoscimento di tale imperatività, quale espressione del riflesso di valori giuridici fondamentali (Cass., S.U., 22 febbraio 2023, n. 5542), il che, al di là di ogni altra considerazione, toglie comunque rilievo al richiamo a norme sul procedimento amministrativo (art. 21octies L. n. 241 del 1990), certamente fuori gioco per la specialità, oltre che per la diversità della materia, non concernente in alcun modo attività di esercizio discrezionale di potestà amministrative, cui si riferisce quel corpo normativo.
Ciò posto, la Corte territoriale ha accertato in fatto che il AVV_NOTAIO NOME COGNOME era il dirigente sovraordinato alla dipendente e che egli svolse anche l’attività istruttoria finalizzata ad accertare la falsità delle tre certificazioni mediche illegittimamente addotte dalla lavoratrice a giustificazione delle assenze.
Al contempo, è emerso che, in base al Regolamento dell’ente, l’Ufficio per i procedimenti disciplinari era individuato come monocratico, in capo al dirigente del personale ed in concreto impersonato dallo stesso AVV_NOTAIO, cui erano affiancati, ma con mere funzioni di supporto, un altro dipendente ed un legale.
La conseguente affermazione della Corte territoriale in ordine alla coincidenza tra responsabile della struttura e titolare dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, non è dunque per nulla una conclusione tautologica, come addotto nei motivi, ma semplicemente la conseguenza necessitata del fatto che non vi era distinzione, nell’ente, tra le due figure.
È dunque sterile argomentare -come fa il ricorso -su una presunta distinzione organizzativa astratta tra le diverse figure,
perché quello che conta non è certo il dato formale, ma l’immedesimarsi illegittimo nella stessa persona – in concreto e nel caso di specie – delle due figure.
Così come è irrilevante il fatto che il Regolamento non prevedesse criteri di sostituzione del titolare dell’UPD, per il caso in cui si determinassero incompatibilità, assenze o altri impedimenti, perché la norma di legge in ordine alla terzietà del preposto a quella funzione necessariamente prevale, imponendo l’adozione delle opportune misure atte a sopperire, rispetto alle previsioni in ipotesi non conformi o carenti dell’atto organizzativo generale interno.
Per analoghe ragioni non può essere rilevante, come osservato giustamente dalla Corte territoriale, il fatto che presso la Provincia di Ancona vi fosse un unico dirigente e che quindi giocoforza quest’ultimo avesse operato sia come superiore gerarchico della dipendente, sia come titolare (monocratico) dell’ufficio per i procedimenti disciplinari.
È ben vero che, come precisato da Cass. 29 luglio 2019, n. 20417, ‘ questa Corte (Cass. 16706/2018, 11160/2018, 5317/2017, 22487/2016, 17215/2016), ha già interpretato la disposizione che qui viene in rilievo ed ha affermato che il legislatore, nel richiedere la previa individuazione dell’UPD, non ha imposto modifiche strutturali finalizzate alla ‘istituzione’ dell’ufficio stesso ‘ e che anzi ‘ attraverso il richiamo all’ordinamento proprio di ciascuna, ha inteso sottolineare la necessità di procedere alla individuazione dell’UPD, coniugando il rispetto della finalità sopra indicata con le esigenze organizzative di ciascun ente ‘.
Tuttavia, va comunque salvaguardata l’esigenza di evitare che la cognizione disciplinare avvenga, di fatto, nell’ambito dell’ufficio di appartenenza del lavoratore, ossia in un contesto nel quale lo stesso dirigente dell’ufficio ha un coinvolgimento diretto con il responsabile dell’infrazione disciplinare, restando altrimenti
compromessa la terzietà imposta dal legislatore per l’applicazione delle sanzioni di maggiore rilievo.
Al di là della possibilità di sopperire altrimenti (la Corte territoriale indica ad es. l’ipotesi della stipula di convenzioni con altri enti locali, ex art. 30 del d. lgs. n. 267 del 2000, ma altre soluzioni sono ipotizzabili, come l’incarico al Segretario dell’ente), in ogni caso le garanzie per il dipendente, a fronte di procedimenti destinati ad incidere sul rapporto di lavoro, non possono dunque essere vanificate.
Alla reiezione del ricorso per cassazione segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del grado.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 dicembre