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Principio di soccombenza: spese legali e contumacia

Un avvocato, dopo aver vinto una causa per la liquidazione dei suoi compensi per il patrocinio a spese dello Stato, si è visto negare dal giudice il rimborso delle spese legali del giudizio di opposizione. La motivazione era la mancata costituzione in giudizio del Ministero convenuto. L’avvocato ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione del principio di soccombenza, secondo cui chi perde paga. La Corte di Cassazione, in via preliminare, ha rilevato un vizio di notifica del ricorso e ne ha ordinato la rinnovazione, rinviando la decisione nel merito.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Principio di Soccombenza: La Contumacia Non Giustifica la Compensazione delle Spese

Il principio di soccombenza, sancito dall’art. 91 del codice di procedura civile, è un pilastro del nostro ordinamento: chi perde una causa, paga le spese legali della parte vincitrice. Ma cosa accade se la parte soccombente non si presenta nemmeno in giudizio? Una recente ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire il tema, analizzando il caso di un avvocato che, pur avendo vinto, si è visto negare il rimborso delle spese a causa della “mancata opposizione” della controparte.

I Fatti del Caso: Una Vittoria a Metà

Un avvocato aveva assistito una persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Al termine del procedimento, il Tribunale rigettava la sua richiesta di liquidazione dei compensi professionali. L’avvocato era quindi costretto a intraprendere un nuovo giudizio di opposizione per vedere riconosciuto il proprio diritto.

L’opposizione veniva accolta integralmente e il Tribunale liquidava le somme dovute. Tuttavia, nella stessa ordinanza, il giudice non si pronunciava sulle spese legali del giudizio di opposizione, motivando la decisione con la “mancata opposizione” del Ministero della Giustizia, che non si era costituito in giudizio. In pratica, l’avvocato, pur avendo pienamente ragione, si trovava a dover sostenere i costi di un procedimento che era stato necessario solo a causa di un errore iniziale dell’amministrazione.

Il Ricorso in Cassazione e il Principio di Soccombenza

Ritenendo la decisione ingiusta e illegittima, il legale ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

1. Violazione del Principio di Soccombenza (Art. 91 c.p.c.): Il ricorrente ha sostenuto che negare il rimborso delle spese alla parte totalmente vittoriosa costituisce una violazione diretta di questa regola fondamentale. L’obiettivo del principio è proprio evitare che chi ha ragione subisca un danno economico per aver dovuto agire in giudizio.
2. Errata Applicazione della Compensazione delle Spese (Art. 92 c.p.c.): La legge consente al giudice di compensare le spese (cioè decidere che ogni parte paghi le proprie) solo in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni”, che devono essere esplicitamente indicate. La semplice contumacia (la mancata costituzione) della controparte non rientra in queste ragioni.
3. Violazione del Diritto di Difesa (Art. 24 Cost.): Non applicare correttamente il principio di soccombenza si traduce in un diniego di giustizia, perché costringe la parte vittoriosa a sostenere costi per ottenere il riconoscimento di un proprio diritto, vanificando in parte la vittoria stessa.

La Decisione (Preliminare) della Corte

La Corte di Cassazione, con la presente ordinanza, non è entrata nel merito della questione. Ha infatti rilevato un vizio procedurale: il ricorso era stato notificato all’Avvocatura distrettuale dello Stato anziché a quella Generale, come previsto dalla legge. Di conseguenza, ha sospeso il giudizio, ordinando al ricorrente di rinnovare la notifica all’indirizzo corretto entro 60 giorni. La causa verrà quindi trattata in una successiva udienza.

Le Motivazioni

Sebbene la Corte non si sia ancora pronunciata sul fondo, le argomentazioni del ricorrente, che la Cassazione dovrà valutare, sono solide e in linea con l’orientamento consolidato. La motivazione alla base del principio di soccombenza è quella di garantire la piena ed effettiva tutela dei diritti. Se un cittadino è costretto ad avviare un’azione legale per far valere una propria pretesa fondata, e alla fine vince, deve essere integralmente ristorato dei costi sostenuti. Lasciare a suo carico le spese legali significherebbe infliggergli un danno patrimoniale ingiusto, rendendo la vittoria solo parziale.

La scelta della parte convenuta di non costituirsi in giudizio (contumacia) è una strategia processuale che non può andare a svantaggio della parte attrice che ha ragione. La giurisprudenza è costante nell’affermare che la contumacia, di per sé, non costituisce una di quelle “gravi ed eccezionali ragioni” che possono giustificare la deroga alla regola generale del “chi perde paga”.

Le Conclusioni

In conclusione, pur trattandosi di un’ordinanza interlocutoria che si è limitata a risolvere un aspetto procedurale, la vicenda mette in luce un principio fondamentale del nostro sistema di giustizia. La vittoria in un processo deve essere completa e non può essere sminuita dall’obbligo di sostenere le spese legali per ottenerla. La passività della controparte non può diventare un pretesto per derogare al principio di soccombenza. Si attende ora la decisione finale della Corte, che con ogni probabilità ribadirà questi importanti concetti, a tutela del diritto di ogni cittadino a una giustizia piena ed effettiva.

La parte che vince una causa ha sempre diritto al rimborso delle spese legali?
Sì, in base al principio di soccombenza (art. 91 c.p.c.), la parte vincitrice ha diritto al rimborso delle spese legali sostenute, a meno che il giudice non disponga la compensazione per gravi ed eccezionali ragioni previste dalla legge.

Se la parte convenuta non si presenta in giudizio, il giudice può decidere di non farle pagare le spese?
No. Secondo le argomentazioni del ricorso e la giurisprudenza consolidata, la mancata costituzione in giudizio (contumacia) della parte soccombente non è di per sé una ragione valida per compensare le spese e negare il rimborso alla parte vincitrice.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione contro un’amministrazione dello Stato viene notificato all’ufficio sbagliato?
La Corte di Cassazione rileva il vizio di notifica. Come in questo caso, assegna al ricorrente un termine perentorio (qui di 60 giorni) per rinnovare correttamente la notifica all’ufficio competente (l’Avvocatura Generale dello Stato), disponendo il rinvio della trattazione della causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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