SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1091 2025 – N. R.G. 00000903 2024 DEPOSITO MINUTA 02 12 2025 PUBBLICAZIONE 02 12 2025
CORTE DI APPELLO DI BARI
-SEZIONE LAVORO – n.903/2024RG
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di appello di Bari -Sezione per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza -composta dai Magistrati:
dottAVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Presidente relatore
Consigliere
AVV_NOTAIO NOME COGNOME Consigliere
SENTENZA
nella controversia di secondo grado iscritta al n. 903 del Ruolo Generale dell’anno 2024 vertente
TRA
in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso per procura generale alle liti del 22.3.2024, rep. 37875 a rogito del dr. dall’AVV_NOTAIO
Appellante
E
, nato a Sannicandro di Bari il DATA_NASCITA, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
Appellato
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con ricorso ex art. 442 c.p.c. depositato in data 14 febbraio 2022 adiva il Tribunale di Bari, in funzione di giudice del lavoro, al fine di sentire ‘accertare e dichiarare l’illegittimità del provvedimento dell’ sede di Bari, datato 16.2.2021 e, per l’effetto, in esecuzione della sentenza n. 3890/2020 del Tribunale di Bari, condannare l’ alla ricostituzione e riliquidazione del proprio trattamento pensionistico a far data dal 14.6.2006, con pagamento dei ratei arretrati maturati da tale data fino all’aprile 2013, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge; in via subordinata, accertare e dichiarare l’illegittimità di t ale provvedimento e, per l’effetto, condannare l’ , sempre in esecuzione della suddetta sentenza, alla ricostituzione e alla riliquidazione del proprio trattamento pensionistico a far data dal
giugno 2011 con pagamento dei ratei maturati da tale data sino ad aprile 2013, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge; infine, condannare l’ al pagamento delle spese e onorari di giudizio con distrazione’.
A fondamento della domanda il ricorrente esponeva che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza n. 3890/2020 del Tribunale di Bari, che aveva condannato l’ alla rivalutazione contributiva dei periodi di esposizione ad amianto anche ai fini pensionistici, l’ aveva solo parzialmente eseguito detto provvedimento, riconoscendo gli arretrati in misura inferiore a quella prevista dalla legge.
Deduceva al riguardo che la materia della prescrizione dei ratei pensionistici era stata innovata con l’entrata in vigore dell’art. 47 bis del DPR 639/1970 (introdotto con DL 98/2011) che, riducendo il ‘vecchio’ termine di prescrizione decennale, aveva introdotto una nuova disciplina secondo la quale ‘ si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazion i’ ma che il ‘nuovo’ termine di prescrizione quinquennale poteva operare soltanto a far data dall’entrata in vigore del citato art. 47 bis del DPR 639/1970, ovvero dal 6 luglio 2011, restando invece immutato il ‘vecchio’ termine di prescrizione decennale per i ratei di pensione maturati prima di tale data.
Affermava che nel caso di specie doveva trovare applicazione il disposto dell’art. 252 disp. att. c.c., norma che fissava un principio generale in ogni caso in cui in corso di rapporto si verificava un mutamento del termine di prescrizione, esattamente come avvenuto nel caso del .
Esponeva, poi, che la domanda amministrativa era stata presentata il 14.6.2016, dunque entro il previgente termine decennale di prescrizione, e che, quindi, in applicazione del disposto del richiamato art. 252 disp. att. c.p.c., tutti i ratei pensionistici a partire da quello di giugno 2006 non si erano prescritti e dovevano essere liquidati.
Richiamava, a sostegno di quanto affermato, anche la prassi amministrativa dell’ individuata dal messaggio n. 220/2013, emanato proprio al fine di fornire istruzioni in tema di prescrizione dei ratei arretrati a seguito dell’entrata in vigore della suddetta riforma, ove si era affermato che ‘ Nel caso in cui sia stata presentata domanda di rateo arretrato, per verificare l’intervenuta prescrizione di quanto maturato entro il 6 luglio 2011 occorre procedere secondo le seguenti modalità operative: a) considerare la data di presentazione della domanda di rateo (es. 6 luglio 2012); b) considerare il decennio precedente la data di presentazione della domanda (es. 6 luglio 2002);c) verificare il termine decennale di prescrizione che residua alla data del 6 luglio2011
(es. 1 anno, essendo decorsi 9 anni dal 6 luglio 2002 al 6 luglio 2011);d) verificare che la domanda sia stata presentata entro il termine residuale della prescrizione decennale da far decorrere dal 6 luglio 2011 (es. domanda presentata il 6 luglio 2012 entro 1 anno dal 6 luglio 2011, pertanto, il rateo di luglio 2002 non è prescritto’.
L’ con memoria del 16.6.2022 si costituiva impugnando e contestando il ricorso poiché del tutto infondato in fatto e diritto e chiedendo il rigetto della domanda con rifusione delle spese di lite.
Nello specifico l’ evidenziava che il termine di prescrizione non era decennale bensì quinquennale, ai sensi dell’art. 47 bis dpr n. 639 del 70 introdotto dall’art. 38 del dl 98/11 e che elemento di rilievo ai fini del decisum era dato dall’effettivo tenore delle domande formulate dal .
Infatti, in data 14.6.2016 egli aveva presentato domanda per il solo riconoscimento dell’esposizione all’amianto.
L’ pertanto aveva provveduto a ricostituire la pensione con rivalutazione dei ratei arretrati nei limiti del termine di prescrizione quinquennale computato a ritroso dalla data di notifica all’ del ricorso presentato nel giudizio sfociato nella sentenza n. 3890/2020 – in cui per la prima volta era stato richiesto, sia pure genericamente, anche la rivalutazione del trattamento pensionistico spettante -avvenuta il giorno 11.5.2018 e dunque sino al maggio 2013.
Con sentenza n. 3571 resa in data 7 ottobre 2024 il Tribunale di Bari accoglieva il ricorso e, per l’effetto, condannava l’ alla riliquidazione in favore del ricorrente del trattamento pensionistico dal 14 giugno 2006, nonché al pagamento dei relativi ratei maturati da tale data fino ad aprile 2013, oltre accessori di legge e spese di lite in distrazione.
Il giudice di prime cure perveniva alla predetta decisione rilevando che con la sentenza n. 3890 del 2020 resa dal Tribunale di Bari era stata riconosciuta la rivalutazione dei ratei pensionistici e che ogni rilievo mosso dall’ nel giudizio in esame doveva ritenersi tardivo ed erroneo.
Nel merito richiamava per relationem , ai sensi dell’art. 118 c.p.c., i rilievi svolti nella sentenza n. 3069/2022 del Tribunale di Bari su una fattispecie analoga a quella in esame, che era stata allegata dall’istante, ove era stato affermato che la giurisprudenza di legittimità aveva ribadito più volte che ‘ oggetto del giudizio non era il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici” e ad essi, quindi, strumentale, era dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione, ancorato a presupposti propri e distinti da quelli del diritto al trattamento pensionistico’ ; che l’art. 38, comma 1, lett. d), d.l. n. 98/2011 aveva introdotto l’art. 47 bis nel d.P.R. n.
639/170 ove era affermato che ‘Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni’ . Aggiungeva che detta disposizione nulla aveva disposto in merito al diritto transitorio applicabile, se non al comma 4, figurante l’applicabilità del ridotto termine quinquennale anche ai procedimenti in corso, come tale raggiunto da pronuncia di illegittimità costituzionale n. 69 del 2014; che in mancanza di ulteriore specificazione, doveva essere applicato, l’art. 252 disp. att. c.c. secondo cui doveva essere applicato il termine decennale di prescrizione ogni qual volta, nel corso di un rapporto di diritto, vi era stato un mutamento del termine di prescrizione; che, di conseguenza, i ratei di pensione arretrati maturati prima del 06.11.2011, data di entrata in vigore del citato art. 38, si erano prescritti in questa maniera: ‘se alla data del 06.07.2011 residua un periodo del previgente termine decennale di prescrizione superiore a cinque anni, detto periodo deve essere ridotto a cinque anni; in caso contrario (cioè se residua un periodo del previgente termine decennale di prescrizione inferiore a cinque anni), detto periodo non deve essere ridotto e potrà essere fruito per intero’ . Aggiungeva, altresì, che il medesimo meccanismo c.d. di riduzione era riconosciuto dalla stessa prassi amministrativa dell’ convenuto, individuata dal messaggio n. 220/2013, emanato proprio al fine di fornire istruzioni in tema di prescrizione dei ratei arretrati a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 98/2011.
Di conseguenza, applicate le suddette direttive interpretative e considerato il regime prescrizionale decennale decorrente dal deposito della domanda amministrativa in data 14 giugno 2016, riteneva fondata la domanda formulata dal ricorrente, senza tuttavia analizzare le ulteriori questioni alle quali la domanda era subordinata, in applicazione del principio della ” ragione più liquida ” che consentiva di decidere sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, in ragione delle esigenze di economia processuale e di celerità di giudizio di cui all’art. 111 cost..
3. Avverso la predetta decisione l’ ha proposto appello con ricorso depositato in data 17.10.2024 alla stregua dei motivi che di seguito si espongono e si valutano, chiedendo la riforma della gravata sentenza ed il rigetto delle domande contenute nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado perché infondata, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio.
Con memoria del 17.04.2025 si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello proposto dall’ in quanto infondato, nonché la conferma della sentenza di prime cure, con condanna dell’ al pagamento delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio da distrarre ai procuratori anticipatari.
Acquisiti i documenti prodotti dalle parti nonché il fascicolo d’ufficio relativo al giudizio di primo grado, all’udienza del 30 ottobre 2025 la causa è stata discussa e decisa mediante lettura e pubblicazione del dispositivo trascritto in calce alla sentenza.
5. Con un unico ed articolato motivo di gravame l’ lamenta la ‘Violazione dell’art. 38 d.l. 98/2011’ .
Evidenzia che il giudicante era addivenuto all’accoglimento della domanda formulata dall’odierno appellato sulla scorta di un precedente di sezione condividendone la ratio e la motivazione; che tale precedente era stato tuttavia integralmente riformato in sede di appello; che il giudicante, pur riportando il granitico orientamento della Suprema Corte in merito alla natura autonoma del beneficio richiesto con la domanda di accertamento di esposizione all’amianto ex l. 257/92, era addivenuto erroneamente al riconoscimento della domanda amministrativa presentata dal in data 14. 6. 2016 quale dies a quo del quale far decorrere il termine prescrizionale.
Aggiunge che tale domanda era volta esclusivamente al riconoscimento dell’autonomo beneficio della rivalutazione contributiva derivante dall’esposizione all’amianto e che pertanto il primo giudice aveva ritenuto impropriamente la data di presentazione della domanda amministrativa quale dies a quo dal quale calcolare il termine di prescrizione dei ratei di pensione.
L’ afferma invece che il primo atto con cui l’odierno appellato ha domandato la rivalutazione del trattamento pensionistico era il ricorso definito con sentenza n. 3890/2020 e notificato all’ l’11.5.2018, ragion per cui ‘nessun richiamo al dettato di cui all’art 252 disp att cpc può trovare ingresso nell’odierna fattispecie, essendo a quella data ampiamente decorso il quinquennio anche dalla entrata in vigore della ‘nuova’ disciplina introdotta dall’art 38 dl 98/2011 ‘.
Sostiene che il termine di prescrizione è quinquennale in ragione della disciplina introdotta dall’art 38 dl 98/2011 e che è del tutto ininfluente il richiamo dell’appellato al messaggio n. 220/2013 dell’ , il quale contiene indicazioni di carattere meramente operativo relative a fattispecie comunque distinte da quella oggetto del presente giudizio.
L’appello è infondato dal momento che l e doglianze, che per evidenti ragioni di connessione possono essere analizzate congiuntamente, sono infondate, dovendosi nella sostanza condividere la decisione cui è pervenuto il Tribunale, sia pure sulla scorta delle più ampie argomentazioni che seguono.
Con l’unico motivo di appello l’ censura la sentenza di primo grado denunciando la violazione dell’art.38 d.l. 98/2011 e deducendo che la pronuncia impugnata è stata basata sul richiamo operato dal primo giudice al precedente di
Sezione del Tribunale di Bari (sentenza del n. 3069/2022) che tuttavia era stato riformato dalla Corte di Appello con la pronuncia n.1574/2023.
Ciò posto, rileva in primo luogo il Collegio che sebbene le sentenze menzionate (di primo grado e di appello) avessero ad oggetto analoga tematica non valgano a costituire uno precedente valevole anche nello specifico caso in esame.
La Corte di appello, infatti, aveva affermato nella sentenza n.1574/2023 che ‘correttamente l’ ha ritenuto che la domanda amministrativa del 5.7.2016 non possa ritenersi idonea ad interrompere il termine di prescrizione dei ratei pensionistici rivalutati ma esclusivamente quale domanda di riconoscimento dell’esposizione all’amianto: tanto emerge dalla semplice lettura della suddetta domanda’.
Dunque, la Corte aveva esaminato la domanda oggetto di esame in quella controversia e tratto la conclusione che essa non fosse idonea ad interrompere il termine di prescrizione dei ratei pensionistici rivalutati ma solo domanda di riconoscimento dell’esposizione all’amianto.
Diverso è, invece, a parere del Collegio, il tenore della domanda amministrativa proposta dall’odierno appellato.
Nel caso che ci occupa risulta infatti che già pensionato sin dal 1 aprile 2005, con domanda amministrativa del 14 giugno 2016 (in atti) aveva chiesto all’Ufficio dell’ il riconoscimento dei benefici contributivi derivanti dall’esposizione all’amianto previsti dall’art.13, comma 8 l.n.257/1992.
A parere della Corte, una siffatta istanza, indirizzata non genericamente all’ ma specificamente all’Ufficio prestazioni pensionistiche da un soggetto già da oltre dieci anni in quiescenza non può intendersi volta solo e genericamente al riconoscimento dell’esposizione all’amianto ma, per il tramite dell’accertamento a detta esposizione e quindi della conseguente ipervalutazione contributiva, anche ad usufruire della rivalutazione del rateo pensionistico già in godimento.
Tale interpretazione appare peraltro in linea con quanto pure affermato da questa Corte (sent. n.1292/2022) in ipotesi relative a analoghe domande di soggetti già pensionati laddove si è ritenuto che ‘ La posizione assicurativa, nonostante la sua indubbia strumentalità, costituisce una situazione giuridica dotata di una sua precisa individualità, potendo spiegare effetti molteplici e costituendo oggetto di autonomo accertamento. Non si è, pertanto, in presenza di una prestazione previdenziale a sé stante ovvero di una pretesa all’esatto adempimento di una prestazione previdenziale riconosciuta solo in parte, bensì di una situazione giuridica ricollegabile a un ‘fatto’ in relazione al quale viene ad essere determinato in via meramente consequenziale, con la maggiorazione, il contenuto del diritto a pensione. La disposizione di cui all’art.13 comma 8, della legge n.257 del 1992, cioè, non ha istituito una nuova prestazione
previdenziale, ma soltanto un sistema più favorevole di calcolo della contribuzione per la determinazione della pensione ‘.
Sulla scorta di tale presupposto, si è quindi ritenuto: « Questa stessa Corte, con sentenza n.2559/2015 ha statuito ‘se dunque al momento della presentazione della domanda di pensione (di anzianità) non sussistevano i requisiti prescritti dalla legge per l’attribuzione della prestazione non è possibile correlare alla domanda così presentata effetti che discendano da successivo perfezionamento della fattispecie acquisitiva in quanto al sopraggiungere dei requisiti in questione sarà necessario proporre una nuova domanda -che essa sola è destinata a produrre gli effetti di cui dall’art.22 cit. (liquidazione della pensione dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda) -e detti requisiti andranno valutati con riferimento alla disciplina di legge vigente al momento della (nuova) richiesta di prestazione.. .’».
In altri termini, se quando si presenta una domanda di pensione non si hanno i requisiti per accedere alla prestazione, una volta perfezionati i requisiti contributivi sarà necessario presentare una nuova domanda di pensione.
Questo, ovviamente, non equivale a dire che quando si è già pensionati e per via giudiziale si ottiene il riconoscimento di un incremento contributivo negato in via amministrativa (quello dell’esposizione ad amianto), il pensionato deve presentare una nuova domanda amministrativa per ottenere la rivalutazione della pensione che deriva dall’esposizione.
Né, peraltro, è plausibile pensare che il soggetto già pensionato presenti due domande autonome, una di riconoscimento dell’esposizione ad amianto, e l’altra di ricostituzione della pensione derivante proprio dall’accertata esposizione ad amianto.
Ed infatti, se così fosse, pur non disconoscendo l’autonomia del diritto alla maggiorazione contributiva rispetto al diritto a pensione, verrebbe meno l’effetto consequenziale derivante per il soggetto già pensionato dall’accertata esposizione e cioè quello dell’incremento della pensione medio tempore già ottenuta.
In tal senso, si pone anche la sentenza n. 1950/2021 della Corte di Appello di Bari (Glorioso c/ ).
‘ Ha chiarito la S.C. (Cass. n. 12087/2017) che, in caso di domanda finalizzata al riconoscimento del beneficio dell’amianto, ciò che si fa valere non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica erroneamente liquidata in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto ad un beneficio dotato di una sua specifica individualità e autonomia, laddove il beneficio della rivalutazione contributiva è riconosciuto dalla legge in presenza di condizioni diverse rispetto a quelle previste per la liquidazione di pensioni e supplementi secondo le regole
ordinarie, condizioni all’evidenza conosciute solo da chi le invoca e, come tali, da portare a conoscenza dell mediante apposita domanda amministrativa. La rideterminazione della pensione, in questo caso, consegue al giustificato sopravvenuto mutamento – anche se con effetti retroattivi – della posizione contributiva e non è pertanto corretto qualificarla come correzione di una precedente determinazione amministrativa ingiusta od erronea (…) ‘
L’accertamento dell’esposizione ad amianto spiega i suoi effetti sulla pensione, e la rivalutazione del trattamento pensionistico ‘consegue’ al ‘giustificato sopravvenuto mutamento – anche se con effetti retroattivi della posizione contributiva’.
Da un punto di vista squisitamente fattuale, nel caso in esame, come già evidenziato, la domanda di ricostituzione del trattamento pensionistico era implicita e resa palese dal tenore della richiesta del 14 giugno 2016 rivolta all’ laddove rivolgeva istanza di ‘riconoscimento dei benefici contributivi derivanti da esposizione ad amianto previsti dall’art. 13 comma 8 l 257/92′ che per un soggetto già pensionato non può che includere anche il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione per la determinazione della pensione’.
Peraltro, ove il pensionato fosse invece onerato della presentazione di una ulteriore domanda dopo aver ottenuto in via giudiziale l’esposizione ad amianto, perderebbe il diritto alla ricostituzione pensionistica e ai ratei pregressi, poiché la nuova domanda non varrebbe per il passato.
Vi è poi una ulteriore circostanza, evidenziata anche dal difensore del , che milita a sfavore della tesi dell’ .
L’ ha ritenuto di ancorare il termine di prescrizione alla data di notifica del ricorso (11 maggio 2018) che ha condotto alla sentenza n. 3890/2020 (passata in giudicato).
Con detta sentenza (n. 3890/2020) il Tribunale di Bari, accogliendo il ricorso del pensionato, ha riconosciuto al ricorrente il ‘diritto all’ultravalutazione, ai fini pensionistici , dei relativi periodi lavorativi caratterizzati dall’esposizione alle fibre di amianto in misura superiore ai limiti di legge, ai sensi dell’invocato comma ottavo dell’art.13 legge n. 257/92 e succ. mod.’ (cfr. parte motiva, ultima pagina della sentenza in questione).
Orbene, tale giudizio era stato preceduto unicamente dalla domanda amministrativa del 14 giugno 2016 sicchè non solo il Tribunale ha in tutta evidenza ritenuto (con statuizione passata in giudicato) detta domanda valevole anche ‘ai fini pensionistici’ (in caso contrario avrebbe dovuto rilevare la mancanza di una idonea domanda amministrativa per tale finalità) ma lo stesso , contraddittoriamente, ha dato esecuzione a detta pronuncia ricalcolando la prestazione pensionistica ma
liquidando gli arretrati computandoli nei limiti di una prescrizione ancorata alla data della notifica del ricorso e non della domanda amministrativa posta a base del ricorso medesimo.
Ritenuta la valenza interruttiva della domanda amministrativa del 14.6.2016, ne vanno valutate le conseguenze in tema di prescrizione.
A tale riguardo va evidenziato che nella questione in esame è stato affermato (v. Cass. n. 16768/2024 e Cass., ord., nr. 4797 del 2019, in motivazione), che il nuovo più breve termine quinquennale debba applicarsi solo per il futuro ed è stata chiarita altresì, l’operatività dell’art. 252 disp. att. cod.civ. che, per giurisprudenza costante dei giudici di legittimità, delinea un principio generale valevole in ogni caso in cui cambia la prescrizione in corso di rapporto; in base a questa disposizione (art. 252 disp. att. cod. civ.), quando una nuova legge stabilisca un termine, in particolare di prescrizione, più breve di quello fissato dalla legge anteriore, il nuovo termine (qui, dunque, quello quinquennale) si applica anche alle prescrizioni in corso, ma decorre dalla data di entrata in vigore della legge che ne ha disposto l’abbreviazione, purché, a norma della legge precedente, non residui un termine minore (in motiv., Cass. sez. un., nr. 6173 del 2008); a questa regola bisogna dunque far riferimento ed affermare che, con l’entrata in vigore del D.L. nr. 98 del 2011, art. 38, comma 1, lettera d), opera, per la prescrizione dei ratei arretrati di pensione, il nuovo termine di prescrizione più breve, che, però, comincia a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’indicato decreto legge (id est: 6.7.2011).
Da tale data (6.7.2011), detto termine non può essere quindi superiore a cinque anni, mentre può essere inferiore se tale è il residuo del più lungo termine determinato secondo il regime precedente’ (in termini si veda anche Cass. n. 6912/2024 la quale chiarisce che ‘in sostanza, secondo l’art. 252 disp. att. c.c., se il termine residuo in base alla disciplina precedente è inferiore a quello stabilito dalla nuova normativa, continua ad applicarsi quello originariamente previsto – id est si applica detto termine residuo. Pertanto, la parte, colpita dalla perdita di un diritto, nei cui confronti maturi la prescrizione, ha diritto al termine più elevato tra quello residuo previsto originariamente e quello, intero, derivante dalla nuova disciplina…In altre parole l’art. 252 disp. att. c.c., fissa il principio per cui dall’entrata in vigore d’una legge abbreviatrice d’un termine di prescrizione in corso, s’applicherà il minor termine tra quello nuovo e quel che residua del termine originario….. Pertanto, in caso di modifica del termine prescrizionale (non assistita -come nella specie – da una pure invece opportuna disciplina transitoria), alla prescrizione già in corso si applica, con decorrenza dall’entrata in vigore della modifica, il minore tra il nuovo termine ed il residuo di quello già in corso in forza della normativa previgente….’).
Nel caso in esame, l’atto interruttivo risale, come detto ampiamente sopra, al 14.6.2016, sicchè il decennio anteriore decorre dal 14 giugno 2006.
Orbene, essendo decorsi dal 14 giugno 2006 al 6.7.2011 (data di entrata in vigore della nuova normativa di cui sopra) 5 anni e 22 giorni (ovvero un termine maggiore rispetto a quello nuovo e più breve di cinque anni di cui si è detto), il termine decennale di prescrizione residuo è di 4 anni, 11 mesi e 8 giorni.
Applicando tale termine prescrizionale a far data dal 6.7.2011 (data di entrata in vigore della nuova norma di cui sopra) si ha che la domanda del 14.6.2016 è stata proposta entro il termine residuo di cui sopra (di 4 anni, 11 mesi e 8 giorni).
Essa, quindi, consente la ‘salvezza’ dei ratei differenziali maturati (applicando dunque l’ordinario termine decennale) a far data dal 14.6.2006, come conclusivamente ritenuto con la sentenza appellata.
In conclusione ed alla stregua delle complessive argomentazioni esposte, l’appello va rigettato e la sentenza impugnata confermata, assorbita ogni ulteriore questione.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno poste, quindi, a carico dell’ con distrazione in favore dei difensori dell’appellato dichiaratisi antistatari.
La liquidazione è affidata al dispositivo che segue. Essa è effettuata sulla scorta dei parametri di cui alla tabella allegata al d.m. n. 55 del 2014 e successive modifiche (da ultimo con d.m. 147 del 2022), tenuto conto del valore della causa, della sua complessità e dell’attività processuale in concreto espletata.
12. Deve, infine, darsi atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione nei confronti dell’appellante, dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012. Spetta peraltro all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo per l’inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (v. Cass. sez. un. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte di appello di Bari – Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con ricorso depositato il 17 ottobre 2024 dall’ avverso la sentenza n.3571/2024 resa dal Tribunale di Bari il 7 ottobre 2024 nei confronti di così provvede:
rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
condanna l’ al pagamento in favore di delle spese del presente grado che liquida in complessivi euro 3500,00 oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge con distrazione in favore dei difensori antistatari;
dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione nei confronti dell’appellante dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, in materia di versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato nella misura ivi specificata, se dovuto.
Così deciso in Bari, il 30 ottobre 2025
Il Presidente estensore AVV_NOTAIOAVV_NOTAIO NOME