Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23281 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23281 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5539-2024 proposto da:
SOCIETA’ RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2444/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/02/2024 R.G.N. 1010/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Differenze retributive
Prescrizione
R.G.N.5539/2024
COGNOME
Rep.
Ud13/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Bari accoglieva per quanto di ragione l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza del Tribunale di Foggia n. 2314/2021 e, in riforma di detta sentenza, condannava la società appellata al pagamento, in favore della COGNOME, di € 25.966,29, oltre accessori come per legge.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva in sintesi: a) che la lavoratrice, assunta a tempo indeterminato dalla società convenuta, con la qualifica di cuoca, a decorrere dal 3.11.1997, aveva chiesto la condanna della datrice di lavoro, dalla quale era stata licenziata il 18.3.2016, al pagamento del complessivo importo di € 114.33,84 a titolo di differenze retributive e TFR; b) che il Tribunale, rispetto alla prescrizione eccepita dalla convenuta di ogni credito retributivo precedente la data del 14.3.2012, aveva considerato che l’eventuale maturazione di differenze retributive dovesse essere circoscritta al quinquennio antecedente il primo formale atto di messa in mora ricevuto dalla convenuta in data 14.3.2017, come dedotto dalla stessa ricorrente; c) che, infatti, il primo giudice riteneva che la ricorrente, assunta con contratto a tempo indeterminato nell’anno 1997, in piena vigenza dell’art. 18 Stat. Lav., non fosse soggetta -per effetto del c.d. Jobs Act -al principio che fissa il dies a quo della prescrizione dei crediti retributivi vantati dal lavoratore alla data di cessazione del rapporto di lavoro; d) che, per il resto, la domanda non aveva trovato accoglimento alla luce dell’istruttoria svolta, avendo il primo giudice ritenuto che la ri corrente non avesse assolto all’onere probatorio sulla lavoratrice pacificamente gravante, anche con riguardo al compenso per lavoro straordinario; e) che non trovava
accoglimento, altresì, la richiesta di pagamento della tredicesima mensilità, in virtù di delibera relativa all’approvazione della sospensione dell’erogazione medesima; f) che il Tribunale concludeva per il rigetto anche della richiesta della liquidazione di quota del TFR, asseritamente maturata e non liquidata, in conseguenza del mancato accoglimento dell’istanza inerente le differenze retributive.
Tanto premesso, la Corte esaminava il primo motivo di appello, con il quale la lavoratrice censurava la sentenza di primo grado per avere erroneamente -in accoglimento dell’eccezione di prescrizione dei crediti circoscritto la domanda nell’arco tempo rale dal 14.3.2012 al 14.3.2017, considerando la restante parte del periodo lavorativo svolta dalla ricorrente prescritta.
3.1. In particolare, richiamando anche i principi espressi in Cass. n. 26246/2022, concludeva che – posto che la domanda della lavoratrice, risalente al 2018, atteneva a differenze retributive maturate per diverso inquadramento e lavoro straordinario, nel periodo dal novembre 1997 al 18.3.2016, e posto che la legge Fornero era entrata in vigore il 18.7.2012, determinando la sospensione della prescrizione, con rinvio della relativa decorrenza al momento dell’esaurimento del rapporto di lavoro -le somme relative al periodo dal 18.7.2012 al 18.3.2016 non fossero prescritte, e che del pari non era prescritto il quinquennio precedente l’entrata in vigore della stessa legge; mentre erano da considerarsi prescritti i crediti maturati dall’inizio del rapporto nell’ anno 1997 al 18.7.2007.
Ciò ritenuto, la Corte, confermando l’esclusione della voce relativa al lavoro straordinario, e considerando
incontestate le mansioni svolte di cuoca e l’orario di lavoro indicato nella memoria di costituzione della società in primo grado (sei ore al giorno), in base alla C.T.U. fatta espletare in secondo grado, quantificava in € 25.966,29 il credito complessivo in favore della lavoratrice per il periodo non attinto dalla prescrizione.
Avverso tale decisione la Società cooperativa sociale RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Ha resistito l’intimata con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.’. Secondo la stessa, l’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello consiste nell’applicazione di due disposizioni di legg e, l’art. 2948 n. 4 c.c. e l’art. 2935 c.c., ad una fattispecie concreta da essa non regolata e tale errore aveva influito sulla decisione. In particolare, la ricorrente richiama a riguardo Cass. n. 27783/2022.
Con un secondo motivo deduce: ‘2. A) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. e 2.B) nullità del procedimento ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., per violazione de ll’art. 115 c.p.c., in quanto l’errore ricade su di una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti’. Assume che: ‘La Corte d’Appello ha omesso l’esame di un fatto storico e principale (blocco degli scatti d’anzianità dal 1997 al
2000 deciso con delibera del CDA e dell’Assemblea della cooperativa con sottoscrizione della COGNOME, come in atti), la cui esistenza risulta dagli atti processuali e che ha costituito oggetto di discussione e ha carattere decisivo perché, ove esaminato e valorizzato, avrebbe determinato un esito diverso dalla controversia in termini quantitativi del diritto di credito per differenze retributive’. Sostiene anche che la Corte d’Appello di Bari SL ha omesso di considerare ‘il regolamento interno della Coo perativa’. E deduce ancora l’erroneità della CTU, anche per una serie di ‘ulteriori errori di calcolo materiale’.
3. Il primo motivo è infondato.
Com’è noto, questa Corte Suprema, nell’affrontare ex professo la questione postasi in merito all’incidenza sul regime della prescrizione delle modifiche alla disciplina dei licenziamenti introdotte a cominciare dalla legge n. 92/2012, ha enunciato il seguente principio di diritto: ‘Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 29 48, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro’ (così Cass., sez. lav., sent., 6.8.2022, n. 26246).
4.1. Tale orientamento è stato successivamente confermato in numerose decisioni di legittimità, tra le quali, per quello che qui segnatamente interessa, una serie di decisioni riferite a fattispecie che riguardavano appunto dipendenti o soci
lavoratori di cooperative (v., tra le altre, Cass. n. 29831/2022; n. 19493/2023; n. 21332/2023; n. 21640/2023, n. 25477/2023).
4.2. Pertanto, Cass. n. 27783/2022, che in senso contrario richiama la ricorrente, benché di poco successiva a Cass. n. 26246/2022 cit. (ossia, la prima sentenza espressiva dell’indirizzo ora visto), da un lato, è riferita fattispecie concreta in cui non veniva in considerazione la diversa tutela in tema di licenziamento operante a far tempo dal 2012, e, dall’altro, circa la garanzia di stabilità attribuita al rapporto lavorativo del socio lavoratore di cooperativa, è da ritenersi comunque superata dall’orm ai consolidato orientamento sopra visto, cui è conforme la sentenza impugnata.
5. Il secondo motivo è inammissibile.
Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, più volte espresso anche a Sezioni Unite, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ammette la denuncia innanzi alla S. C. di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai sensi degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., indicare il ‘fatto storico’, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti, e la sua ‘decisività’ (in tal senso, ex multis , più di recente Cass., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).
Orbene, prescindendo dalla difettosa formulazione delle rubriche della censura in esame in entrambe le sue articolazioni, il fatto storico del quale la ricorrente deduce l’omesso esame è costituito dal ‘blocco degli scatti d’anzianità dal 1997 al 2000’. In proposito, la stessa si riferisce ad un ‘regolamento interno di cui alla delibera CDA del 15.11.1997 e dei soci del 25.11.1997, doc. 2 degli atti di parte fascicolo cartaceo ed i cui stralci di seguito si riportano esclusivamente per una lettura più ag evole)’ (così alla fine di pag. 8 del ricorso per cassazione).
7.1. La ricorrente, tuttavia, solo assertivamente quanto genericamente deduce che tale aspetto avrebbe ‘costituito oggetto di discussione’, senza specificare ‘il come e il quando esso abbia formato oggetto di discussione tra le parti’.
Tanto, invero, non risulta assolutamente anche dal testo dell’impugnata sentenza, dal quale emerge piuttosto che il primo giudice non aveva accolto la domanda anche circa la tredicesima mensilità, ma in virtù di delibere diverse da quelle cui si riferisce ora la ricorrente, ossia, la delibera ‘relativa alla approvazione della sospensione dell’erogazione della medesima, approvata all’unanimità e non espressamente contestata dalla ricorrente’ (cfr. pag. 3 della sentenza).
7.2. Anche la decisività della circostanza in questione è dedotta in termini aspecifici, perché il blocco degli scatti di anzianità sostenuto dalla ricorrente riguarda il periodo dal 3.11.1997 al 31.01.2000 (cfr. pag. 8 del ricorso per cassazione); laddove, come già precisato in narrativa, le differenze tutte riconosciute dalla Corte vanno dal 19.7.2007 al 18.3.2016. Di conseguenza, la ricorrente avrebbe dovuto spiegare se e in che misura il pregresso blocco degli scatti di
anzianità influisse sui calcoli del CTU, fatti propri dalla Corte di merito, in relazione ad un periodo ampiamente successivo.
Infine, è inammissibile tutta la parte del secondo motivo in cui sono dedotti ‘ulteriori errori di calcolo’ attribuiti al CTU nominato in secondo grado (cfr. pagg. 10-11 del ricorso). Trattasi, infatti, di aspetti – peraltro estranei alla violazione del l’art. 115 c.p.c. che sembra evocare in proposito la ricorrente -il cui esame era riservato ai giudici di merito del secondo grado.
La ricorrente, in quanto soccombente dev’essere condannata al pagamento, in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi anticipatario, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge, e distrae in favore del difensore della controricorrente.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 13.5.2025.
La Presidente
NOME COGNOME