Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31060 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 31060 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 11889-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Commissario legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Prescrizione contributi gestioni speciali pubblici dipendenti
R.G.N. 11889/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 11/06/2024
PU
avverso la sentenza n. 379/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 26/10/2020 R.G.N. 517/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/06/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 26.10.2020, la Corte d’appello di Torino, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda con cui l’Azienda Sanitaria Locale ARAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la condanna dell’INPS a rimborsarle le somme pagate a titolo di regolarizzazione contributiva sui compensi corrisposti nel periodo 1999-2008 a pubblici dipendenti cessati dal servizio mentre svolgevano funzioni di direttore generale, direttore amministrativo o direttore sanitario di struttura pubblica (azienda sanitaria locale o azienda sanitaria ospedaliera).
I giudici territoriali, in particolare, hanno ritenuto che la previsione di cui al comma 10bis dell’art. 3, l. n. 335/1995, andasse interpretata nel senso che la sospensione dei termini di prescrizione ivi disciplinata dovesse riguardare anche i contributi che alla data della sua entrata in vigore si fossero prescritti.
Avverso tale pronuncia l’Azienda Sanitaria RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. L’INPS ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di censura, l’Azienda ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 10 -bis , l. n.
335/1995, anche in relazione agli artt. 2934, 2962, 2963 e 2948 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che la disposizione in esame dovesse interpretarsi nel senso di assoggettare alla disciplina della sospensione dei termini prescrizionali anche i contributi che, alla data della sua entrata in vigore, fossero prescritti: ad avviso di parte ricorrente, infatti, tale interpretazione si porrebbe in flagrante contrasto con i principi che disciplinano la sospensione della prescrizione, la quale, costituendo una parentesi all’interno del decorso del termine prescrizionale, potrebbe operare soltanto prima della definitiva maturazione di quest’ultimo e non certo quando, come nella specie, i contributi per cui è causa si erano già prescritti.
Il motivo è infondato, sebbene la motivazione della sentenza gravata vada corretta.
Va premesso, al riguardo, che -come correttamente ricordato da parte ricorrente -la vicenda per cui è causa trae origine dall’ampio contenzioso sviluppatosi circa le modalità di calcolo del trattamento di fine servizio dei pubblici dipendenti cessati dal servizio mentre svolgevano l’incarico di direttore generale, direttore amministrativo o direttore sanitario di struttura sanitaria pubblica: una volta consolidatosi il principio di diritto secondo cui, ai sensi dell’art. 3 -bis , d.lgs. n. 502/1992 (come ag giunto dall’art. 3, d.lgs. n. 229/1999), il servizio in questione doveva considerarsi utile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza, con correlativo obbligo delle amministrazioni di appartenenza di commisurare i contributi previdenziali dovuti al trattamento economico corrisposto per l’incarico conferito (cfr. Cass. n. 11925 del 2008 e succ. conf.), l’INPS, nelle more succeduto all’INPDAP, ha con propria circolare n. 8/2013 invitato le aziende sanitarie e ospedaliere a regolarizzare la posizione contributiva dei dipendenti nel
frattempo cessati dal servizio a far data dal 1999, data di entrata in vigore dell’art. 3, d.lgs. n. 229/1999; e destinataria di tale invito è stata pure l’odierna ricorrente, la quale, dopo aver provveduto al pagamento, ha intentato l’odierna controversia per ottenere la restituzione di quella parte dei contributi che, eccedendo il quinquennio dalla data di maturazione, doveva reputarsi già prescritta alla data del pagamento.
Ciò premesso, il motivo del contendere concerne l’interpretazione dell’art. 3, comma 10 -bis , l. n. 335/1995, introdotto ad opera dell’art. 9, d.l. n. 4/2019 (conv. con l. n. 26/2019), e in particolare se la previsione secondo cui i termini di prescrizione dei contributi di cui ai precedenti commi 9 e 10 ‘non si applicano fino al 31 dicembre 2021 , fatti salvi gli effetti di provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato’, per le contribuzioni afferenti alle ‘gestioni previdenziali esclusive amministrate dall’INPS cui sono iscritti lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165’, possa applicarsi anche a contributi previdenziali che fossero già prescritti alla data di entrata in vigore della norma.
Reputa il Collegio che al quesito debba darsi risposta affermativa, ma per ragioni differenti da quelle fatte proprie dalla sentenza impugnata.
Diversamente da quanto opinato dai giudici territoriali, infatti, la norma in esame non ha ‘disposto la sospensione della prescrizione per tutte le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria dovute -in favore dei lavoratori pubblici -alle gestioni previdenziali esclusive amministrate dall’Inps relative ai periodi di competenza fino al 31.12.14’ (così la sentenza impugnata, pag. 5), ma ha piuttosto previsto, con effetti retroattivi, il differimento della data di entrata in vigore della disciplina concernente la
prescrizione dei contributi dovuti a tali gestioni: e tanto si evince non solo dal suo tenore letterale, secondo cui i termini di prescrizione dei contributi di cui ai precedenti commi 9 e 10 ‘non si applicano fino al 31 dicembre 2021’, ma soprattutto dal riferimento alla salvezza degli effetti di eventuali provvedimenti giurisdizionali passati in cosa giudicata, essendo tipico del giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c. di rendere insensibili le situazioni di fatto per le quali è stata individuata ed applicata la corrispondente regula iuris al successivo ius superveniens che contenga norme retroattive (così già Cass. n. 18339 del 2003; più recentemente, nello stesso senso, Cass. n. 31904 del 2018) e rilevando tale limite anche per la stessa potestà legislativa di disporre con norme retroattive (così già Corte cost. n. 118 del 1957 e innumerevoli succ. conf.).
Chiarito dunque che non si verte in tema di sospensione della prescrizione, ma di previsione legale retroattiva di differimento dell’entrata in vigore di un’altra norma di legge recante la disciplina della prescrizione, resta da dire che sulla ragionevolezza dell’intervento del legislatore, che ha consapevolmente escluso eventuali giudicati dalla portata del proprio intervento innovatore, non paiono sussistere dubbi: vero è, infatti, che in materia previdenziale, a differenza che in materia civile, essendo il regime prescrizionale sottratto alla disponibilità delle parti, la prescrizione ha efficacia estintiva del credito e non già semplicemente preclusiva della possibilità di farlo valere in giudizio (così da ult. Cass. n. 6154 del 2024), ma è pur vero che, quando sulla questione della prescrizione sorga controversia, solo una pronuncia giurisdizionale con efficacia di giudicato può dirimere il contrasto inter partes ; il che, se conferma a fortiori che la sussistenza di un giudicato costituisce il limite per ogni ragionevole esercizio della potestà legislativa di disciplinare
con effetti retroattivi la fattispecie, dimostra a contrario che tale limite, nel caso di specie, non può ritenersi travalicato. Corretta negli anzidetti termini la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso va rigettato. La novità e complessità della questione trattata costituiscono giusto motivo per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità, mentre, avuto riguardo al rigetto del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11.6.2024.