Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8894 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 8894 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1211/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
avverso la sentenza n. 2709/2017 della Corte d’Appello di Roma, depositata in data 26.06.2017, N.R.G. 5680/2013.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.02.2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
La Corte di Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME, dipendente del Comune di Rocca Priora dal 12 dicembre 1970 al 1° gennaio 2008, avverso la sentenza del Tribunale di Velletri che aveva respinto le sue domande, volte ad ottenere il riconoscimento del suo diritto al computo, nel premio di servizio ex INADEL, della retribuzione di posizione percepita in modo fisso e continuativo dal 2002 al 2007, nonché la condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ( ex RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) e del Comune al pagamento in suo favore della somma di euro 25.478,47 oltre interessi.
Il COGNOME era stato dirigente titolare di posizione organizzativa dal 2002 al 31.12.2007 e da tale vicenda, relativa al rapporto di pubblico impiego intrattenuto con il Comune di Rocca Priora, ha fatto discendere la pretesa al computo della retribuzione di posizione nell’indennità premio di servizio ex INADEL.
La Corte territoriale ha evidenziato che la normativa codicistica relativa al rapporto di lavoro, e così l’art. 2120 cod. civ., si applica anche ai dipendenti degli enti pubblici, tra cui il Comune, salvo che il rapporto sia diversamente regolato dalla legge.
Il giudice di appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo cui la retribuzione contributiva è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, comma 5, della legge 152/1968, ed ha rilevato che tra gli emolumenti indicati da tale disposizione non figura la retribuzione di posizione.
Considerato che nel nostro ordinamento non esiste un principio di onnicomprensività della retribuzione, ha escluso che il carattere fisso e continuativo della retribuzione di posizione deponga per il computo di tale emolumento nel premio di servizio.
Ha inoltre condiviso i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui a fronte RAGIONE_SOCIALE previsioni contenute nell’art. 59, comma 56, della legge n. 449/1997, confermate dall’Accordo quadro nazionale in materia di TFR e previdenza complementare del 27 luglio 1999, l’art. 2120 cod. civ. si applica ai dipendenti assunti in data anteriore al 1° gennaio 1996 che avessero optato per il regime del TFR , mentre ai sensi dell’art. 69, comma 2, del d. lgs. n. 165/2001, in attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti pubblici la disciplina vigente in materia di TFR.
Per la cassazione della sentenza di appello NOME COGNOME ha proposto ricorso prospettando tre motivi, illustrati da memoria.
Il Comune di Rocca Priora ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
8 . L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 11 della legge n. 152/1968, dell’art. 2 della legge n. 335/1995, dell’art. 69 del d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 36 del CCNL per il personale dirigenziale RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 10.4.1996, dell’art. 1 del CCNL per il personale dirigenziale del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 14.5.2007, nonché dell’art. 2 del CCNL per il personale dirigenziale del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 22.2.2010.
Pur ritenendola corretta, deduce l’irrilevanza della statuizione della sentenza impugnata secondo cui l’art. 2120 cod. civ. non si applica ai dipendenti RAGIONE_SOCIALE Pubbliche Amministrazioni assunti prima del 31.12.1995.
Addebita alla Corte territoriale di avere applicato la sola legge n. 152/1968; evidenzia che ai sensi dell’art. 69, secondo comma, del d. lgs. n. 165/2001, in attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, per i dipendenti assoggettati alla privatizzazione del pubblico impiego resta ferma la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto, mentre l’art. 36 del CCNL per il personale dirigenziale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 10.4.1996, al tempo vigente e non modificato sul punto dai successivi rinnovi, ha stabilito che la retribuzione di posizione è utile ai fini pensionistici e dell’indennità premio di fine servizio.
Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., degli artt. 1322 e 1372 cod. civ., dell’art. 36, ultimo comma, del CCNL per il personale dirigenziale RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 10.4.1996, dell’art. 1 del CCNL per il personale dirigenziale del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 14.5.2007 e dell’art. 2 del CCNL per il personale dirigenziale del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 22.2.2010.
Lamenta che la sentenza impugnata non si è pronunciata sulla derogabilità in melius RAGIONE_SOCIALE disposizioni di legge, da parte della contrattazione collettiva, né ha richiamato l’art. 36 del CCNL per il personale dirigenziale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 10.4.1996; in subordine deduce l’omessa motivazione su tale questione.
In ulteriore subordine lamenta che la sentenza impugnata ha completamente disatteso la volontà espressa dalle parti attraverso i contratti collettivi, quali contratti di diritto comune, e che ha violato il principio della derogabilità in melius .
Il terzo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. , violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 11 della legge n. 152/1968, degli artt. 33 e 36, ultimo comma, del CCNL per il personale dirigenziale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 10.4.1996, degli artt. 1 e 2 del CCNL per il personale dirigenziale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 12.2.2002; dell’art. 1 del CCNL del CCNL per il personale dirigenziale del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 14.5.2007 e dell’art. 2 del CCNL per il personale dirigenziale del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del 22.2.2010, nonché dell’art. 69, secondo comma, del d. lgs. n. 165/2001.
Argomenta che la retribuzione di posizione è parte integrante ed essenziale dello stipendio, in quanto in base alla contrattazione collettiva rientra nella retribuzione, è interamente soggetta a contribuzione e viene corrisposta in via continuativa e a titolo non occasionale, derivando dall’organizzazione del lavoro ed essendo connessa all’espletamento della prestazione lavorativa.
Evidenzia che la legge n. 152/1968 non specifica quali assegni o indennità debbano essere computati all’interno della retribuzione contributiva, e fa leva sull’art. 33 del CCNL del 10.4.1996 e sugli artt. 1 e 2 del CCNL 12.2.2002.
I motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione logica, sono infondati.
La Corte territoriale ha escluso la rilevanza della disciplina contenuta nel CCNL, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo cui la retribuzione contributiva è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, comma 5, della legge n. 152/1968; ha inoltre dato contezza RAGIONE_SOCIALE ragioni, enunciate dalla sentenza n. 3833/2012 di questa Corte, testualmente richiamata, per le quali non trova applicazione l’art. 2120 cod. civ. né la contrattazione collettiva.
In disparte l’inammissibilità RAGIONE_SOCIALE censure relative all’omessa pronuncia sulla questione della derogabilità in melius , all’omessa motivazione e alla violazione degli artt. 1322 e 1372 cod. civ., in quanto non colgono il decisum, il ricorso è infondato, in conformità a precedente di questa Corte (Cass. n. 14339/2019), al quale si intende dare continuità e alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
Le Sezioni Unite di questa Corte, componendo il contrasto di orientamenti in materia (Cass., SU, n. 3673/1997), hanno argomentato che se l’art. 11 legge n. 152 del 1968 non fosse improntato ad una ratio negativa della onnicomprensività, ossia se con la menzione di stipendio e salario si fosse inteso designare il complessivo trattamento retributivo del lavoratore, risulterebbe ingiustificata e incoerente la specifica menzione degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura come elementi dello stipendio o del salario, da ricondurre all’ambito della retribuzione contributiva, limitatamente, peraltro, all’ipotesi di una previsione di “legge” in ordine alla obbligatorietà della loro erogazione.
Si è dunque richiamato l’ orientamento della Sezione Lavoro di questa Corte (cfr. Cass. n. 18999/2010, Cass. n. 3833/2012, Cass. n. 10160/2001; Cass. n. 681/2003; Cass. n. 9901/2003), sviluppato sulla base di tali argomentazioni anche con riferimento ai dipendenti degli enti locali, secondo cui la retribuzione contributiva alla quale si commisura la indennità premio di servizio, a norma dell’art. 4 della legge 8 marzo 1968 n. 152, è costituita solo dagli
emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, quinto comma, legge cit., la cui elencazione ha carattere tassativo e il cui riferimento allo stipendio o salario richiede una interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come esclusivi componenti di tale voce, degli aumenti periodici della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura (nello stesso senso Cass. n. 17421/2013).
È stata altresì richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui i contratti collettivi, salvo che non siano a tanto abilitati da specifiche disposizioni di legge, non possono in alcun modo disporre o comunque modificare i rapporti previdenziali, distinti dai rapporti di lavoro, intercorrenti tra soggetti diversi e disciplinati da norme legali inderogabili (Cass. n. 1063/2008).
Si è poi rammentato che riguardo alla base di calcolo dell’indennità premio di servizio, l’art. 2 de lla legge 8 agosto 1995, n. 335 disciplina diversamente il trattamento di fine servizio a seconda che il dipendente pubblico sia stato assunto dopo il 1° gennaio 1996, ovvero prima di tale data; nel primo caso (che non interessa la fattispecie in esame), il comma 5 del richiamato articolo prevede l’immediata applicazione dell’art. 2120 cod. civ. e, dunque, della disciplina relativa al trattamento di fine rapporto dei dipendenti privati; per i lavoratori assunti prima del 1° gennaio 1996, ed è questo il caso che interessa, il comma 7 del medesimo art. 2 demanda, invece, totalmente alla contrattazione collettiva nazionale, nell’ambito dei singoli comparti, la definizione RAGIONE_SOCIALE modalità di applicazione della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto (distinta disciplina è, poi prevista, dal comma 9 dello stesso art. 2 che prevede, dal 1° gennaio 1996, l’inclusione di tutte le voci stipendiali, come previsto dall’art. 12 della L. n. 153/1969, ai fini della retribuzione contributiva e pensionabile, ma non certo ai fini dell’indennità di fine servizio).
È pertanto irrilevante il fatto che dal 1996 la legge n. 335/1995, abbia reso omnicomprensiva la base da calcolare ai fini dei contributi e RAGIONE_SOCIALE pensioni, perché ciò vale solo in questo specifico settore, e tale disciplina, in assenza di una volontà contrattuale, non può incidere sulla regolamentazione del rapporto di lavoro, ai fini dell’indennità di fine servizio, che è rimessa esclusivamente alla autonomia collettiva.
Il d.lgs. n. 165/2001, art. 69, comma 2, ossia la fonte legale che disciplina il pubblico impiego privatizzato, dispone che “in attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti di cui all’art. 2, co. 2, la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto”; quindi per i pubblici dipendenti assunti prima del 1° gennaio 1996, il sistema resta quello che vigeva nei singoli settori prima della legge di privatizzazione.
La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis , con specifico riferimento all’indennità premio di fine servizio, Cass., Sez. U., n. 11329/2005; Cass. n. 14/2007; Cass. n. 13637/2014; Cass. n. 4978/ 2018) ha da tempo precisato che, pur dovendosi riconoscere, da un lato, la costante funzione previdenziale di tutte le attribuzioni patrimoniali collegate alla cessazione del servizio e, dall’altro, la sostanza di retribuzione differita, la natura giuridica
previdenziale (o assistenziale) è tuttavia determinata dal dato strutturale di un’obbligazione posta a carico, ad opera di disposizioni inderogabili di legge, non del datore di lavoro, ma di enti gestori, appunto, di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, che sono finanziati mediante versamento di contributi (a carico dei soggetti del rapporto di lavoro), obbligazione che, di conseguenza, non è inerente al rapporto di lavoro, ma al distinto, rapporto previdenziale di cui il primo rappresenta soltanto il presupposto.
Ne consegue che non assumono rilievo, ai fini della determinazione della suindicata indennità premio di servizio, ad esempio, l’indennità di posizione, l’assegno ad personam e l’incremento indennità di direzione, trattandosi di voci retributive non ricomprese tra gli emolumenti specificamente indicati dalla legge n. 152/1968; infatti l’ indennità premio di servizio è commisurata alla retribuzione contributiva e, a norma dell’indicata legge n. 152/1968, art. 4, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, co. 5, della legge medesima, la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione ‘stipendio o salario’ richiede un’interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici di anzianità, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura (cfr., Cass., Sez. U. n. 3673/1997; Cass. n. 30993/2019; Cass. n. 1156/2017; Cass. n. 17421/2013; Cass. n. 18999/2010, Cass. n. 15906/2004; Cass. n. 9901/2003, Cass. n. 681/2003).
Nello stipendio o nel salario, da valere quale retribuzione contributiva utile al computo dell’indennità premio di servizio vanno, dunque, inclusi soltanto gli aumenti periodici, la tredicesima mensilità e gli assegni in natura, e non anche altri emolumenti seppure aventi carattere indubbiamente retributivo non siano al suddetto fine espressamente menzionati (v. anche Cass. n. 10160/2001; Cass. n. 681/2003; Cass. n. 9901/2003; Cass. n. 15906/2004; Cass. n. 18999/2010; Cass. n. 17421/2013; Cass. n. 18231/2015).
Tale interpretazione non contrasta con le norme costituzionali, rientrando nella discrezionalità del legislatore fissare la base di calcolo della indennità premio di servizio, così come della indennità di buonuscita, una volta che il trattamento retributivo complessivo sia rispettoso del canone della retribuzione proporzionata e sufficiente, di cui all’art. 36 Cost. (cfr. Corte Cost. n. 470 del 2002); non è inoltre ravvisabile una disparità di trattamento, in ragione della non comparabilità della disciplina di indennità a struttura previdenziale (con obbligazione a carico di un ente pubblico gestore e contribuzione RAGIONE_SOCIALE parti del rapporto di lavoro) con il trattamento di fine rapporto, che ha diversa struttura e criteri di computo, essendo rimessa al legislatore la determinazione della base di calcolo dei diversi trattamenti di fine lavoro, in modo da realizzarne l’equivalenza (Corte Cost. n. 243 del 1993).
Né può diversamente argomentarsi sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 351/2010, in quanto, nel caso esaminato da tale pronuncia, è proprio il d.lgs. n. 229 del 1999, in attuazione della legge delega n. 419 del 2008 (la cui finalità era eliminare le differenze di trattamento previdenziale tra tutti i soggetti che, pur provenienti da settori
diversi, pubblici e privati, si trovassero ad espletare le funzioni di vertice di aziende sanitarie) ad aver stabilito che la base di calcolo del trattamento previdenziale debba individuarsi nella retribuzione goduta per l’incarico di direttore generale, amministrativo e sanitario di azienda sanitaria e non nel compenso virtuale legato all’ultima prestazione lavorativa svolta presso l’ente di provenienza; la Corte Costituzionale, nella citata pronuncia, ha precisato che “la delega imponeva al Governo di mantenersi nell’ambito della legislazione vigente in materia previdenziale e ciò significa che non era consentito creare, con il decreto delegato forme nuove e diverse di previdenza, sia con riguardo al trattamento di quiescenza, sia con riferimento alla indennità premio di servizio; si deve in proposito rilevare che nessuna innovazione è stata introdotta sia nel metodo di determinazione della pensione, previsto dalle leggi vigenti per i pubblici dipendenti, sia per il criterio di calcolo della misura della indennità premio di servizio, che rimane quello fissato dall’art. 4 della legge 8 marzo del 1968, n. 152.”
6 . L’infondatezza del ricorso rende superflua la disamina RAGIONE_SOCIALE eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE Rocca Priora.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R.
115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge, in favore di ciascuno dei controricorrenti.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis , se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 20 febbraio 2024.