Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18295 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18295 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19422-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1947/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 28/01/2020 R.G.N. 1191/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
R.G.N. 19422/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/05/2024
CC
Rilevato che:
La Corte d’appello di Milano ha accolto l’appello principale di NOME COGNOME e altri lavoratori e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della quota del premio di risultato 2016, previsto dall’accordo aziendale del 29.12.2016, maturato dall’1.1.2016 al 30.4.2016, data del licenziamento. Ha respinto l’appello incidentale della società concernente la regolazione delle spese del giudizio di primo grado.
La Corte territoriale ha interpretato la clausola dell’accordo aziendale (secondo cui il premio di risultato ‘spetta al personale assunto a tempo indeterminato in forza al 31.12.2016 e con un’anzianità aziendale e/o nel RAGIONE_SOCIALE pari o superiore a sei mesi. Nulla verrà erogato ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato che risolvono il rapporto di lavoro prima del 31.12.2016′) ritenendo che il secondo comma delimita la portata generale del primo comma ed esclude l’erogazione del premio solo per quei lavoratori che hanno risolto il rapporto prima del 31.12.2016. Ha accertato che gli appellanti non avevano risolto volontariamente il rapporto con RAGIONE_SOCIALE ma erano stati licenziati dalla società in data 30.4.2016. Ha quindi riconosciuto il diritto al premio di risultato poiché il rapporto di lavoro si era interrotto per cause indipendenti dalla volontà dei lavoratori.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. I lavoratori non hanno svolto difese. La società ha depositato memoria ed ha chiesto la trattazione congiunta del procedimento in oggetto con quello contrassegnato dal numero
di r.g. 23950/2023, avente ad oggetto l’interpretazione della medesima clausola contrattuale.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Preliminarmente, non può accogliersi l’istanza di trattazione congiunta con il procedimento (r.g. n. 23950/2023) atteso che la stessa, non espressamente contemplata dagli artt. 115 e 82 disp. att. c.p.c., non appare sorretta da ragioni idonee a bilanciare gli inevitabili ritardi conseguenti al suo accoglimento, bilanciamento da effettuare con particolare rigore nel giudizio di cassazione caratterizzato dall’impulso d’ufficio (v. Cass. n. 3189 del 2012; n. 20422 del 2012; n. 14365 del 2019; n. 8774 del 2021).
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, primo comma, c.c. con riferimento alla clausola dell’accordo collettivo aziendale del 29.12.2016 concernente il premio di risultato per l’anno 2016. Si censura la sentenza impugnata per non avere correttamente individuato l’intenzione delle parti attraverso il senso letterale delle parole e si assume che il capoverso della clausola in esame, nella parte in cui precisa che nulla spetta ai dipenden ti che ‘risolvono il rapporto di lavoro prima del 31.12.2016’, esclude in modo chiaro il diritto al premio in tutti i casi di risoluzione del rapporto di lavoro prima del 31.12.2016. Si aggiunge che il termine ‘risolvono’ non è riferito alle dimissioni del lavoratore ma deve essere inteso in termini impersonali, come volto a comprendere tutti i casi di risoluzione del rapporto antecedenti al 31.12.2016. 7. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1363 c.c. assumendosi che una corretta
interpretazione dei due commi della clausola in esame, l’uno per mezzo dell’altro, non avrebbe consentito di sconvolgere la portata generale del principio sancito nel primo comma, che sarebbe semmai risultato rafforzato dal secondo comma, ai sensi del quale nemmeno coloro che si dimettono prima del 31.12.2016 hanno diritto al premio; che quest’ultimo è condizionato in ogni caso alla permanenza del rapporto lavorativo per tutta la durata dell’anno 2016; che la Corte di merito con la sua interpretazione ha svuotato di significato il primo comma nella parte in cui questo riconosce il diritto al premio per il personale in forza al 31.12.2016.
Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1364 c.c. che impone un criterio di interpretazione restrittiva in forza del quale le espressioni letterali usate dalle parti devono essere riferite a quanto ha espressamente costituito oggetto dell’accordo fra le stesse; che, al contrario, la tesi per cui ‘il premio non è dovuto solo nell’ipotesi in cui sia il lavoratore a risolvere il contratto’ è frutto della mera rielaborazione effettuata dalla Corte d’appello, poiché in nessun passaggio dell’accordo collettivo aziendale è rinvenibile un simile principio; che la Corte d’appello è andata ben oltre l’oggetto del secondo comma facendo discendere dallo stesso la conseguenza per cui, ai dipendenti che non abbiano risolto per volontà unilaterale il rapporto di lavoro, il premio di risultato sarebbe dovuto in misura integrale.
I motivi di ricorso, con cui si denuncia, sotto vari profili, la violazione dei canoni ermeneutici, non sono fondati.
Questa Corte ha più volte affermato che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata, tra cui sono compresi i contratti aziendali, costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per
violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, in relazione all’art. 132 n. 4 c.p.c. Per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; ciò perché la censura di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni (tra le altre: Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007); sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – censurare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 del 2006; n. 7500 del 2007; n. 24539 del 2009).
11. La Corte d’appello ha interpretato la clausola dell’accordo aziendale facendo leva sul tenore letterale della stessa (in particolare, sul tenore del secondo comma nella parte in cui prevede che ‘Nulla verrà erogato ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato che risolvono il rapporto di lavoro prima del 31.12.2016’), da leggere in relazione alla portata del primo comma, che, con statuizione di carattere generale, vincola il diritto al premio di risultato per l’anno 2016 al requisito
dell’essere il lavoratore (assunto a tempo indeterminato e con un’anzianità aziendale pari o superiore a sei mesi) ‘in forza al 31.12.2016’. La Corte ha inteso il secondo comma come disposizione diretta a specificare l’esatto contenuto del primo comma, riconoscendo il diritto al premio di risultato nei casi in cui il rapporto di lavoro si sia interrotto prima del 31.12.2016 per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore, vale a dire nei casi in cui la condizione, a cui è subordinato il premio, non si sia verificata per causa non imputabile al dipendente (in sintonia con i principi desumibili dall’art. 1359 cod. civ.). Non solo la lettura data dai giudici di appello non è irragionevole e non ha l’effetto di svuotare di contenuto la disposizione di cui al primo comma, ma la stessa è la sola logicamente plausibile atteso che se le parti avessero voluto riconoscere il diritto al premio di risultato solo ai dipendenti in forza alla società datrice di lavoro alla data del 31.12.2016 non avrebbero avuto necessi tà di introdurre il secondo comma. L’effetto di quest’ultima previsione è proprio quello di estendere l’ambito della regola enunciata nel primo comma, equiparando ai dipendenti in forza al 31.12.2016 coloro che non siano tali per volontà datoriale ed esclu dendo dal raggio d’azione del primo comma solo i dipendenti che, alla data suddetta, non sono più in forza all’azienda per avere essi stessi deciso di porre fine al rapporto di lavoro.
12. Di fronte a tale ricostruzione, operata nella sentenza d’appello, le critiche mosse con i motivi di ricorso in esame non evidenziano errori o specifiche violazioni dei canoni legali di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., ma sollecitano una diversa lettura del testo contrattuale, contrapposta a quella fatta propria dai giudici di merito, al solo scopo di ottenere una versione più
favorevole alla società. Tali censure si rivelano, così come formulate, prive di fondamento.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
Non si provvede alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità poiché la controparte è rimasta intimata.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 15 maggio 2024