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Premio di rendimento: spetta se mancano gli obiettivi?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto al premio di rendimento non deriva dalla sola previsione di una spesa in bilancio, ma è subordinato al raggiungimento di obiettivi specifici prefissati dall’azienda. Accogliendo il ricorso di un istituto di credito, la Suprema Corte ha cassato la decisione di merito che aveva riconosciuto il bonus a una dipendente nonostante il mancato raggiungimento dei risultati economici richiesti, sottolineando la natura discrezionale dell’istituzione del premio da parte del datore di lavoro, come previsto dal contratto collettivo nazionale.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Premio di Rendimento: la Cassazione chiarisce le condizioni per il diritto del lavoratore

Il premio di rendimento aziendale rappresenta una componente importante della retribuzione, ma a quali condizioni sorge effettivamente il diritto a riceverlo? La semplice previsione di una spesa nel bilancio aziendale è sufficiente, oppure è necessario il raggiungimento di obiettivi specifici? Con l’ordinanza n. 3262 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza su questo tema, cassando una decisione di merito e delineando i criteri interpretativi corretti per le fonti collettive.

I Fatti di Causa: dalla richiesta della dipendente al ricorso in Cassazione

Una lavoratrice di un importante istituto di credito aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento del premio aziendale di rendimento (PAR) relativo agli anni 2011 e 2012. L’istituto si opponeva, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione alla dipendente.

Secondo i giudici di merito, il diritto al premio era sorto con la sola previsione di un budget in bilancio da parte dell’azienda, essendo l’emolumento legato unicamente all’occupazione di una posizione lavorativa strategica da parte della dipendente. La Corte territoriale riteneva, quindi, che il diritto al premio non dipendesse dal raggiungimento di specifici obiettivi di performance economica del gruppo bancario.

L’istituto di credito, non condividendo questa interpretazione, ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo che i giudici avessero violato e falsamente applicato le norme del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) e del Contratto Integrativo Aziendale (CIA), oltre ai canoni di interpretazione contrattuale.

La Decisione della Corte di Cassazione e il premio di rendimento

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’azienda, ritenendolo fondato in continuità con numerosi precedenti giurisprudenziali sulla medesima questione. La decisione della Corte d’Appello è stata quindi cassata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi di diritto enunciati.

L’errore interpretativo della Corte d’Appello

La Cassazione ha evidenziato come la Corte d’Appello abbia commesso un errore nell’interpretare le fonti collettive. In particolare, non ha analizzato in modo puntuale il testo dell’art. 44 del CCNL, che regola l’istituto del premio. Secondo i giudici di legittimità, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che l’unico presupposto per l’erogazione del premio fosse la presenza di un budget, svalutando la necessità del raggiungimento degli obiettivi specifici prefissati dall’azienda, come un determinato utile netto di esercizio.

L’interpretazione corretta dei contratti collettivi

La Suprema Corte ha ribadito che, secondo una corretta interpretazione letterale e sistematica delle norme collettive, il premio di rendimento è uno strumento la cui istituzione rientra nella sfera di discrezionalità dell’impresa. È l’azienda a stabilire se istituirlo, a determinarne l’importo globale e a fissare i criteri di attribuzione, che devono essere collegati al raggiungimento di precisi obiettivi. L’unico limite a questa discrezionalità è il rispetto dei canoni di oggettività e trasparenza, oltre all’obbligo di informare e, se richiesto, consultare le organizzazioni sindacali.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su un’analisi rigorosa delle fonti contrattuali. L’art. 44 del CCNL, secondo la Cassazione, conferisce all’impresa la facoltà, e non l’obbligo, di prevedere l’incentivo. La sua erogazione è quindi condizionata al verificarsi di presupposti (gli obiettivi) che l’azienda stessa stabilisce preventivamente. La Corte d’Appello, invece, aveva invertito la logica, considerando la previsione di spesa come causa del diritto, anziché come conseguenza di una scelta discrezionale legata a una performance positiva.

Inoltre, la Corte ha chiarito che la mancata attivazione della procedura di informazione e consultazione sindacale non trasforma il premio in un diritto automatico. Questa procedura ha lo scopo di garantire trasparenza, ma non limita la decisione finale dell’impresa, che può comunque adottare i provvedimenti deliberati anche al termine della consultazione.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio fondamentale nel diritto del lavoro bancario: il premio di rendimento, così come disciplinato dal CCNL di settore, non è un elemento retributivo garantito, ma un incentivo variabile legato a doppio filo con i risultati aziendali. La sua erogazione è una scelta discrezionale dell’impresa, subordinata al raggiungimento di obiettivi specifici e misurabili. Per i lavoratori, ciò significa che il diritto al premio sorge solo se le condizioni di performance definite dall’azienda vengono effettivamente soddisfatte, e non per il solo fatto di occupare una determinata posizione o per la mera stanziamento di fondi a bilancio.

Il diritto al premio di rendimento aziendale dipende solo dalla previsione di una spesa in bilancio da parte dell’azienda?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il diritto al premio non sorge con la semplice previsione di un budget, ma è subordinato al raggiungimento di specifici obiettivi prefissati dall’impresa, come stabilito dal Contratto Collettivo Nazionale.

Qual è il ruolo del contratto collettivo nazionale (CCNL) nel definire le condizioni per l’erogazione del premio di rendimento?
Il CCNL (nello specifico, l’art. 44) attribuisce all’impresa la facoltà unilaterale e discrezionale di istituire il premio, di determinarne l’ammontare globale e di stabilire i criteri e i tempi di pagamento in relazione al raggiungimento di obiettivi specifici.

La mancata consultazione dei sindacati da parte dell’azienda rende automaticamente dovuto il premio di rendimento?
No. La procedura di informazione e consultazione sindacale prevista dal CCNL è un obbligo procedurale per garantire trasparenza, ma la sua mancata attivazione non rende il premio automaticamente dovuto. La decisione finale sull’erogazione resta in capo all’impresa, basata sul raggiungimento degli obiettivi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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