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Premio di rendimento: quando spetta al dipendente?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto di un dipendente a percepire il premio di rendimento non deriva dalla semplice previsione di una spesa nel bilancio aziendale, ma è strettamente subordinato al raggiungimento di obiettivi specifici e prefissati dal datore di lavoro, come previsto dai contratti collettivi. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva riconosciuto il bonus a un dipendente di un istituto di credito nonostante il mancato raggiungimento degli utili prefissati per gli anni in questione, sottolineando l’errata interpretazione delle norme contrattuali.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Premio di rendimento: non basta la previsione in bilancio, servono i risultati

Il diritto a percepire il premio di rendimento è una questione che tocca da vicino molti lavoratori. Un recente intervento della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3234/2024, ha fornito un chiarimento fondamentale: questo emolumento non è un diritto automatico, ma è strettamente legato al raggiungimento degli obiettivi specifici definiti dalla contrattazione collettiva. Vediamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dalla richiesta di un dipendente di un istituto bancario di ottenere il pagamento del premio aziendale di rendimento (PAR) per gli anni 2011 e 2012. L’azienda si era opposta, sostenendo che non fossero state raggiunte le condizioni previste per la sua erogazione, in particolare un obiettivo di utile netto di gruppo di almeno 500 milioni di euro.

Sia in primo grado che in appello, i giudici avevano dato ragione al lavoratore. La Corte d’Appello, in particolare, aveva ritenuto che il diritto al premio non dipendesse dal raggiungimento di specifici obiettivi di performance aziendale, ma fosse sufficiente la previsione di un impegno di spesa nel bilancio della banca. Secondo i giudici di merito, il premio era collegato alla sola occupazione di una posizione lavorativa strategica da parte del dipendente.

L’Errata Interpretazione del Premio di Rendimento secondo i Giudici di Merito

L’istituto di credito ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione e falsa applicazione delle norme del Contratto Collettivo Nazionale (art. 44) e del Contratto Integrativo Aziendale (art. 24). La tesi della banca era chiara: la Corte d’Appello aveva interpretato erroneamente le clausole contrattuali, scollegando il premio dalle sue condizioni fondamentali, ovvero il raggiungimento di risultati economici prefissati e comunicati in via preventiva.

Le Motivazioni della Cassazione: Il Premio di Rendimento è Condizionato

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della banca, ribaltando completamente la prospettiva dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno sottolineato che la sentenza impugnata non aveva compiuto una corretta analisi interpretativa delle disposizioni collettive, trascurando il criterio fondamentale del senso letterale delle parole (art. 1362 c.c.).

Secondo la Cassazione, l’art. 44 del CCNL è chiaro nel ricondurre l’istituzione del premio alla sfera di discrezionalità dell’impresa. È l’azienda che può decidere di prevedere l’incentivo, stabilendone l’ammontare, i criteri di attribuzione e i tempi di pagamento, proprio in relazione al “raggiungimento di prefissati specifici obiettivi”. L’interpretazione della Corte d’Appello, che legava il diritto al premio alla sola esistenza di un budget, è stata definita “distonica” e contraria al tenore letterale delle norme.

La Corte ha inoltre precisato che la procedura di informazione e consultazione sindacale prevista dal CCNL non trasforma l’erogazione del premio in un obbligo slegato dai risultati, ma serve a garantire trasparenza e oggettività nei criteri, lasciando comunque all’impresa la decisione finale.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello e ha rinviato la causa a un’altra sezione della stessa Corte per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui il premio di rendimento è un emolumento condizionato. La sua erogazione è subordinata alla verifica del raggiungimento degli specifici obiettivi economici e di performance stabiliti dall’azienda in conformità con la contrattazione collettiva. La mera iscrizione di una posta di spesa in bilancio non è, di per sé, sufficiente a far sorgere il diritto del lavoratore a percepire il premio.

Un datore di lavoro è sempre obbligato a pagare un premio di rendimento previsto dal CCNL?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il pagamento è subordinato al verificarsi delle condizioni specificate nel contratto stesso, come il raggiungimento di obiettivi aziendali prefissati. L’istituzione del premio e la definizione delle sue condizioni rientrano nella discrezionalità dell’impresa.

L’iscrizione di una spesa per i bonus nel bilancio aziendale fa nascere automaticamente il diritto a riceverli?
No. Secondo la sentenza, la previsione di una spesa in bilancio è solo un atto preliminare. Il diritto del lavoratore sorge concretamente solo se vengono soddisfatte le condizioni di performance (ad esempio, il raggiungimento di un certo livello di utile) indicate negli accordi collettivi.

Qual è il criterio principale per interpretare le clausole di un contratto collettivo su un premio aziendale?
La Corte di Cassazione ha ribadito che il primo e fondamentale criterio è quello letterale, ovvero l’analisi del significato palese delle parole usate nel contratto. L’interprete deve poi leggere le clausole in modo sistematico, considerando sia il contratto nazionale che quello aziendale, per ricostruire la reale volontà delle parti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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