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Premio di rendimento: quando l’azienda può negarlo?

Un istituto di credito ha contestato il diritto di un dipendente a ricevere un bonus aziendale. I giudici di merito avevano dato ragione al lavoratore, ma la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione. Con l’ordinanza n. 13822/2024, è stato stabilito che il premio di rendimento non è un diritto automatico basato sulla sola esistenza di un budget, ma è strettamente legato al raggiungimento di obiettivi specifici e prefissati dall’azienda, come previsto dalla contrattazione collettiva.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Premio di Rendimento: Non Basta il Budget se Mancano i Risultati

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 13822/2024, è tornata a pronunciarsi sulla natura e le condizioni di erogazione del premio di rendimento aziendale. La decisione chiarisce un punto fondamentale: la semplice allocazione di un budget da parte dell’azienda non è sufficiente a far sorgere il diritto del dipendente a ricevere il premio. È necessario, invece, il raggiungimento degli obiettivi specifici fissati dal datore di lavoro. Vediamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Pagamento Contestata

La vicenda trae origine dalla richiesta di un lavoratore, dipendente di un importante istituto di credito, di ottenere il pagamento del premio aziendale di rendimento (PAR) per il periodo gennaio-ottobre 2012. Di fronte al rifiuto della banca, il lavoratore aveva ottenuto un decreto ingiuntivo. L’istituto di credito si era opposto, sostenendo che il premio non era dovuto poiché non erano stati raggiunti gli specifici obiettivi di performance economica prefissati per quell’anno, in particolare un determinato livello di utile netto di gruppo.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al lavoratore. Secondo i giudici di merito, il diritto al premio sorgeva dalla semplice previsione di un budget di spesa in bilancio da parte dell’azienda. L’erogazione, a loro avviso, era legata principalmente al fatto che il dipendente occupasse una posizione lavorativa strategica e mantenesse un comportamento coerente con la prestazione richiesta, piuttosto che al raggiungimento di target economici specifici. La banca, insoddisfatta della decisione, ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

Il Premio di Rendimento secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’istituto di credito, ribaltando completamente la prospettiva dei giudici di merito. Gli Ermellini, richiamando una serie di precedenti conformi, hanno affermato che la Corte d’Appello ha errato nell’interpretare le norme della contrattazione collettiva (CCNL e Contratto Integrativo Aziendale).

Il principio cardine ribadito dalla Suprema Corte è che il premio di rendimento è uno strumento di incentivazione che rientra nella sfera discrezionale e unilaterale dell’impresa. Questo significa che è l’azienda a poter decidere se istituirlo e, soprattutto, a quali condizioni.

La Centralità degli Obiettivi Specifici

Contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, la Cassazione ha chiarito che l’erogazione del premio non è automatica. L’art. 44 del CCNL di settore, infatti, collega esplicitamente il pagamento del bonus al “raggiungimento di prefissati specifici obiettivi”. Nel caso di specie, l’azienda aveva deliberato che il premio per l’anno 2011 sarebbe stato corrisposto solo a fronte del conseguimento di un utile netto di esercizio del Gruppo pari ad almeno 500 milioni di euro. Poiché tale obiettivo non era stato raggiunto, il presupposto per l’erogazione del premio era venuto a mancare.

Il Ruolo del Budget

La Corte ha specificato che l’esistenza di un budget o di un impegno di spesa in bilancio non è l’elemento che fa nascere il diritto. Si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente. Il budget rappresenta l’ammontare massimo che l’azienda è disposta a spendere per gli incentivi, ma il diritto a percepire la propria quota sorge solo se e quando le condizioni di performance, stabilite a monte, si verificano.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si fonda su un’attenta analisi letterale e sistematica delle fonti collettive. La sentenza impugnata è stata criticata per non aver dato il giusto peso al testo dell’art. 44 del CCNL, che affida all’impresa la facoltà di “stabilire” l’ammontare globale, i criteri di attribuzione e i tempi di pagamento del premio, sempre in relazione al raggiungimento di obiettivi. Questa formulazione sottolinea la natura discrezionale della decisione aziendale. La Corte d’Appello, invece, aveva erroneamente trasformato un incentivo condizionato in un elemento quasi fisso della retribuzione, legato alla sola copertura finanziaria.

Inoltre, la Cassazione ha ridimensionato la rilevanza attribuita dalla Corte territoriale alla mancata attivazione della procedura informativa con le organizzazioni sindacali. Sebbene il CCNL preveda obblighi di informazione e consultazione, questi non si traducono in un obbligo di contrattazione né, tantomeno, in un obbligo di pagare il premio qualora i presupposti di rendimento non siano stati soddisfatti. Al termine della procedura, l’impresa mantiene infatti il potere di adottare i provvedimenti deliberati.

Conclusioni: Implicazioni per Datori di Lavoro e Dipendenti

La decisione della Corte di Cassazione consolida un principio fondamentale in materia di retribuzione variabile: il premio di rendimento non è dovuto per il solo fatto di essere previsto o finanziato, ma è una componente premiale legata a una performance effettiva e misurabile. Per i datori di lavoro, questa ordinanza rappresenta una conferma della legittimità di strutturare piani di incentivazione basati su obiettivi concreti, mantenendo la flessibilità necessaria per rispondere alle dinamiche economiche. Per i lavoratori, chiarisce che il diritto a tali premi non è scontato e dipende dal contributo effettivo al raggiungimento dei risultati aziendali, come definiti nei contratti e nelle politiche interne. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questi principi.

L’esistenza di un budget aziendale per i premi di rendimento obbliga il datore di lavoro a pagarli?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola previsione di una spesa in bilancio non è sufficiente a creare un obbligo di pagamento. L’erogazione del premio è subordinata al raggiungimento di obiettivi specifici e prefissati, come stabilito dai contratti collettivi e dalle delibere aziendali.

Il premio di rendimento è un diritto automatico del lavoratore?
No, non è un diritto automatico. È uno strumento di incentivazione la cui istituzione e le cui condizioni di erogazione rientrano nella sfera decisionale unilaterale e discrezionale dell’impresa. Il datore di lavoro ha la facoltà di stabilire i criteri, gli importi e gli obiettivi da raggiungere.

Qual è il ruolo dei contratti collettivi nella disciplina del premio di rendimento?
I contratti collettivi, sia nazionali che aziendali, definiscono il quadro normativo di riferimento. Nel caso esaminato, l’art. 44 del CCNL riconduceva il premio alla sfera decisionale dell’impresa, la quale può prevederlo in relazione al raggiungimento di specifici obiettivi, nel rispetto dei canoni di oggettività e trasparenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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