Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20379 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20379 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
Oggetto
RETRIBUZIONE
R.G.N. 18749/202
1
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 18749-2021 proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 106/2021 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 13/05/2021 R.G.N. 173/2019 ; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma del provvedimento del giudice di
prime cure, ha accolto la domanda di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME (erede unico di NOME COGNOME, già titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE) per il pagamento di una somma a titolo di trattamento di fine rapporto e di indennità di preavviso, includendo nella base di calcolo il premio aziendale percepito dal lavoratore per tutto il corso del rapporto di lavoro (2001-2013), ed ha respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dal COGNOME per la cattiva e tardiva esecuzione dei lavori commissionati dalla Provincia di OlbiaTempio.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso NOME COGNOME con due motivi; il lavoratore ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione avendo, la Corte territoriale, erroneamente attribuito natura retributiva al c.d. premio aziendale percepito dal lavoratore (e conseguentemente negato la ripetibilità delle somme) e incluso tale premio nella base di calcolo del T.F.R. solamente a fronte della riscontrata continuità dell’eroga zione. Mancava, peraltro, il requisito della obbligatorietà, non essendo emerso che tale compenso aggiuntivo fosse previsto da accordi collettivi o da pattuizioni intervenute tra le parti; tale ultima fonte negoziale è smentita dalla documentazione acquisi ta in atti. Né è stato provato l’uso azienda, in quanto tale premio veniva percepito (indebitamente) da soli due dipendenti, aventi diversa qualifica e mansioni, e non
era finalizzato ad alcun miglioramento della produttività o a obiettivi da raggiungere.
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto non provato il credito risarcitorio vantato dall’impresa nei confronti del lavoratore, che si era resa gravemente inadempiente nell’esecuzione dell’attività lavorativa quale Responsabile di cantiere, come dimostrato dalla documentazione prodotta (in specie, verbale di accertamento danni della RAGIONE_SOCIALE trasmesso alla provincia di ObiaTempio con nota de 5.8.2010).
I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili e, per la parte residua, non sono fondati.
Le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge o come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -vizio il cui esame peraltro risulta impedito dalla presenza di una « doppia conforme » sui capi di domanda concernenti il pagamento del trattamento di fine rapporto e la domanda datoriale di risarcimento del danno -mirano, in realtà (in forza della proposta di rinnovata valutazione della documentazione prodotta), alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
Come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013;Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
In ordine ai caratteri della retribuzione, questa Corte ha già affermato che la corresponsione continuativa di un assegno al dipendente è generalmente sufficiente a farlo considerare, anche se di ammontare variabile, come elemento della retribuzione, per la presunzione di onerosità che assiste tutte le prestazioni eseguite durante il rapporto e per la considerazione che una elargizione liberale da parte del datore di lavoro può giustificarsi soltanto se collegata a particolari eventi (Cass. n. 7154/2003).
In particolare, vanno qualificate come retributive le erogazioni del datore di lavoro che presentano i requisiti della determinatezza (o determinabilità, risultando predeterminati i criteri di calcolo), dell’obbligatorietà e onerosità, della corrispetti vità. In particolare, i caratteri dell’obbligatorietà e onerosità distinguono la retribuzione dalle liberalità: tali profili possono, peraltro, essere acquisiti anche per effetto del requisito della continuità nella misura in cui un’erogazione originariame nte liberale si ripeta periodicamente in occasione delle medesime circostanze (cfr. Cass. n. 22504/2007). Pertanto, le erogazioni qualificate come liberali del datore di lavoro ai propri dipendenti non hanno natura retributiva a condizione, peraltro, che: non sussista alcun obbligo rispetto ad esse a carico del datore di lavoro, le elargizioni siano concesse per eventi eccezionali e non ricorrenti e non vi sia alcun collegamento, neppure indiretto, tra le elargizioni stesse e le prestazioni lavorative (Cass. n. 23624/2010).
Sul versante processuale, inoltre, nell’ipotesi di erogazione continuativa di un emolumento, spetta al datore che abbia dedotto la cessazione della ” causa debendi ” dimostrare, ai fini dell’accertamento della non spettanza dell’attribuzione, la natura non retributiva del predetto emolumento, dovendo escludersi che gravi sul lavoratore – a seguito di tale deduzione – l’onere di provare la sussistenza di altra fonte di debito (Cass. n. 23387/2018).
Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale si è correttamente conformata ai principi statuiti da questa Corte avendo accertato che il premio aziendale era stato continuativamente erogato al lavoratore (dalla data di assunzione, anno 2001, e fino alla cessazione del rapporto, anno 2013), era di importo fisso (euro 253,29) ed era stato assoggettato a contribuzione previdenziale nonché a trattenuta Irpef, con ciò verificando la ricorrenza dei requisiti che tipizzano le erogazioni di natura retributiva.
In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 maggio