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Premio aziendale: quando è parte della retribuzione?

La Corte di Cassazione ha stabilito che un premio aziendale erogato in modo continuativo e fisso a un lavoratore deve essere considerato parte integrante della retribuzione. Di conseguenza, va incluso nel calcolo del TFR e dell’indennità di preavviso. La Corte ha rigettato il ricorso del datore di lavoro, che sosteneva la natura liberale e non obbligatoria del compenso, confermando che la continuità e la prevedibilità dell’erogazione sono elementi chiave per qualificarla come retributiva.

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Pubblicato il 23 agosto 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Premio Aziendale: Quando Diventa Parte Integrante della Retribuzione?

La distinzione tra un semplice bonus e una componente fissa dello stipendio è una questione cruciale nel diritto del lavoro. Un premio aziendale erogato con regolarità può trasformarsi, agli occhi della legge, in un vero e proprio elemento della retribuzione, con importanti conseguenze sul calcolo del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) e di altre indennità. Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri per questa distinzione, offrendo spunti fondamentali per lavoratori e datori di lavoro.

I Fatti del Caso

Un lavoratore, dopo la fine del suo rapporto di lavoro durato dal 2001 al 2013, si è visto riconoscere dalla Corte d’Appello il diritto a includere un premio aziendale percepito mensilmente nel calcolo del TFR e dell’indennità di preavviso. L’erede del titolare dell’azienda si è opposto a questa decisione, sostenendo che tale premio fosse una mera liberalità, ovvero un’erogazione volontaria non legata a obblighi contrattuali o collettivi. Secondo l’azienda, mancavano i requisiti dell’obbligatorietà e della generalità (poiché percepito solo da due dipendenti), e l’erogazione non era finalizzata a incrementi di produttività. L’azienda, inoltre, aveva richiesto un risarcimento danni al lavoratore per una presunta cattiva esecuzione delle sue mansioni.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del datore di lavoro, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno dichiarato i motivi del ricorso in parte inammissibili e in parte infondati. In particolare, la Corte ha sottolineato che il tentativo del ricorrente di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove non è consentito in sede di legittimità, dove il giudizio è limitato alla corretta applicazione delle norme di diritto.

Le Motivazioni: Il Premio Aziendale come Elemento Retributivo

Il cuore della decisione risiede nell’analisi delle caratteristiche del premio aziendale in questione. La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: la corresponsione continuativa di un emolumento a un dipendente è sufficiente a farlo considerare parte della retribuzione. Questo si basa sulla presunzione di onerosità, secondo cui ogni prestazione eseguita durante il rapporto di lavoro deve avere una contropartita economica.

Perché un’erogazione possa essere qualificata come liberalità, e quindi esclusa dalla base di calcolo del TFR, devono sussistere condizioni precise:
1. Assenza di obbligo: Il datore di lavoro non deve essere legalmente o contrattualmente obbligato a pagare.
2. Eccezionalità: L’erogazione deve essere legata a eventi particolari e non ricorrenti.
3. Nessun collegamento con il lavoro: Non deve esistere un nesso, neanche indiretto, tra il pagamento e la prestazione lavorativa.

Nel caso esaminato, questi requisiti mancavano completamente. Il premio era stato erogato ininterrottamente per dodici anni (dal 2001 al 2013), era di importo fisso (€ 253,29) ed era assoggettato a contribuzione previdenziale e a ritenuta Irpef. Questi elementi, secondo la Corte, sono tipici delle erogazioni di natura retributiva.

La Corte ha inoltre specificato che, in caso di erogazione continuativa, l’onere di dimostrare la natura non retributiva del pagamento (ovvero la cessazione della “causa debendi”) spetta al datore di lavoro. In questo caso, l’azienda non è riuscita a fornire tale prova.

Conclusioni: Implicazioni per Datori di Lavoro e Dipendenti

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: la sostanza prevale sulla forma. Un pagamento, anche se denominato “premio” o “bonus”, se erogato in modo sistematico, prevedibile e costante, viene considerato a tutti gli effetti parte della retribuzione. Per i datori di lavoro, ciò significa che la gestione dei bonus deve essere attenta: per essere considerati liberalità, devono essere genuinamente legati a eventi eccezionali e non devono diventare una consuetudine. Per i lavoratori, questa sentenza rappresenta una tutela importante, garantendo che tutte le componenti stabili del loro compenso contribuiscano a formare la base per il calcolo di TFR e altre indennità.

Quando un premio aziendale viene considerato parte della retribuzione?
Un premio aziendale viene considerato parte della retribuzione quando è erogato in modo continuativo, ha un importo predeterminato o determinabile, ed è soggetto a contribuzione previdenziale e fiscale. La sua ripetizione periodica fa sorgere la presunzione che sia un corrispettivo per la prestazione lavorativa.

Chi deve dimostrare che un bonus continuativo non è parte dello stipendio?
L’onere della prova spetta al datore di lavoro. Se un emolumento viene pagato costantemente, si presume che sia parte della retribuzione. È il datore di lavoro che deve dimostrare che si tratta di una liberalità, cioè un’erogazione volontaria e non legata a un obbligo contrattuale.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove per decidere se un lavoratore ha eseguito male le sue mansioni?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove del processo. Il suo compito è verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge. Pertanto, non può rivalutare la documentazione prodotta per decidere su una richiesta di risarcimento danni del datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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