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Preavviso licenziamento comporto: obbligo per l’azienda

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13491/2024, ha stabilito che la mancata comunicazione da parte del datore di lavoro dell’imminente superamento del periodo di comporto, se prevista dal CCNL, rende il licenziamento illegittimo. Questo obbligo di preavviso licenziamento comporto è un elemento essenziale per il corretto esercizio del potere di recesso e la sua violazione comporta la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Preavviso Licenziamento Comporto: Quando la Comunicazione Diventa un Obbligo

L’obbligo di un preavviso licenziamento comporto da parte del datore di lavoro è un tema cruciale nel diritto del lavoro, come chiarito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: se il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) prevede che l’azienda debba avvisare il dipendente dell’approssimarsi della fine del periodo di comporto, tale comunicazione non è una mera formalità, ma un requisito essenziale. La sua omissione rende il licenziamento illegittimo e apre la strada alla reintegrazione del lavoratore.

I Fatti del Caso

Un lavoratore veniva licenziato per superamento del periodo di comporto, ovvero il limite massimo di giorni di assenza per malattia consentito dal CCNL di settore (Fise-Assoambiente), fissato in 510 giorni. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano riconosciuto l’illegittimità del licenziamento, ma solo sotto il profilo risarcitorio, condannando l’azienda al pagamento di un’indennità. La ragione di tale decisione risiedeva nel fatto che il datore di lavoro non aveva rispettato una clausola specifica del CCNL: quella che imponeva di comunicare al dipendente il raggiungimento dei 400 giorni di malattia, avvisandolo così dell’imminente scadenza del periodo di comporto. Tuttavia, i giudici di merito non avevano ritenuto tale mancanza sufficiente a determinare la nullità del licenziamento e la conseguente reintegra. Il lavoratore ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che l’omessa comunicazione costituisse una violazione sostanziale delle garanzie previste dalla legge e dal contratto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, ribaltando le decisioni precedenti. Gli Ermellini hanno affermato che l’obbligo di comunicazione previsto dal CCNL non è un semplice adempimento formale, ma integra e conforma il potere di recesso del datore di lavoro. In altre parole, l’azienda può licenziare per superamento del comporto solo se rispetta tutte le condizioni dettate, non solo dalla legge (art. 2110 c.c.), ma anche dalla contrattazione collettiva.

Il Valore del Preavviso Licenziamento Comporto nel CCNL

La Corte ha sottolineato che, mentre in assenza di una previsione contrattuale specifica il datore di lavoro non è tenuto ad avvertire il lavoratore, la situazione cambia radicalmente quando è il CCNL a imporlo. Nel caso di specie, l’art. 46 del CCNL Fise-Assoambiente arricchisce le tutele del lavoratore, imponendo all’azienda un dovere di cooperazione e buona fede. La comunicazione preventiva, da effettuarsi al raggiungimento dei 400 giorni di assenza, serve a mettere il lavoratore in condizione di conoscere la sua situazione e, eventualmente, di richiedere un periodo di aspettativa non retribuita per evitare il licenziamento. Questo obbligo, quindi, non è accessorio, ma diventa parte integrante della procedura di recesso.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sull’interpretazione combinata dell’art. 2110 del Codice Civile e delle previsioni del contratto collettivo. L’art. 2110 c.c. regola il recesso per superamento del comporto, ma rinvia alla contrattazione collettiva per la determinazione della durata e delle modalità. Se il CCNL introduce una condizione specifica, come l’obbligo di comunicazione, questa diventa un elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. La sua mancanza non è una semplice violazione dei doveri di correttezza, ma un vizio che inficia la legittimità stessa del licenziamento. Di conseguenza, la sanzione applicabile non può essere quella meramente risarcitoria (prevista dal comma 5 dell’art. 18 L. 300/1970), ma quella più forte della tutela reintegratoria “debole” (prevista dai commi 4 e 7 dello stesso articolo), che garantisce al lavoratore il reinserimento nel posto di lavoro e un risarcimento del danno limitato a dodici mensilità.

Le conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rafforza significativamente la posizione dei lavoratori. Le aziende devono prestare la massima attenzione alle clausole dei CCNL applicati, poiché eventuali obblighi di comunicazione non possono essere ignorati. Un licenziamento intimato senza rispettare tali procedure sarà considerato illegittimo, con conseguenze ben più gravi del solo pagamento di un’indennità. Per i lavoratori, questa decisione conferma che le garanzie previste dalla contrattazione collettiva hanno piena efficacia e possono essere fatte valere in giudizio per tutelare il proprio posto di lavoro.

Il datore di lavoro è sempre obbligato a comunicare l’avvicinarsi della fine del periodo di comporto?
No, l’obbligo non esiste in via generale. Diventa vincolante solo se è espressamente previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato al rapporto di lavoro, come nel caso esaminato dalla Corte.

Cosa succede se il datore di lavoro non invia la comunicazione di preavviso licenziamento comporto prevista dal CCNL?
Secondo la Corte di Cassazione, l’omissione della comunicazione obbligatoria determina l’illegittimità del licenziamento. Questo perché l’obbligo di preavviso è considerato un elemento costitutivo del potere di recesso del datore di lavoro.

Quale tutela spetta al lavoratore licenziato senza il preavviso di fine comporto previsto dal contratto collettivo?
Al lavoratore spetta la cosiddetta “tutela reintegratoria debole”, prevista dall’art. 18, commi 4 e 7, della Legge n. 300/1970. Questa tutela comporta la reintegrazione nel posto di lavoro e il diritto a un risarcimento del danno contenuto nella misura massima di dodici mensilità della retribuzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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