Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14910 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14910 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12158-2020 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
ASUR MARCHE – AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE ora AST DI ANCONA, in persona del Commissario Liquidatore pro tempore , elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 300/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 12/11/2019 R.G.N. 304/2018;
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
RICONOSCIMENTO POSIZIONE ORGANIZZATIVA
R.G.N. 12158/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 05/02/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/02/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso promosso congiuntamente i signori COGNOME NOMECOGNOME NOME e NOME hanno richiesto al Tribunale di Ancona il riconoscimento del diritto all’attribuzione delle posizioni organizzative, rispettivamente denominate ‘S terilizzazione gruppo operatorio formazione integrata personale ‘ NOME dall’01/01/2013 , ‘C ontrollo igiene ed infezioni ospedaliere ‘, Cittadini dall’01/06/2010, ‘D ipartimento di emergenza ‘ dall’01/01/2015 NOME e, conseguentemente, la condanna dell’Asur Marche al pagamento del relativo indennizzo economico quantificato in euro 18.120,76 in favore di NOME, euro 21.460,38 in favore di Cittadini Serenella ed euro 10.140 in favore di NOME. In via subordinata i dipendenti hanno richiesto la condanna al pagamento di una somma proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto ex art. 36 Cost., commisurata alla retribuzione di posizione a prescindere dall’attribuzione formale della posizione organizzativa.
Con note in atti i dirigenti dei rispettivi servizi avevano provveduto a richiedere l ‘ assegnazione della posizione organizzativa, ma l’amministrazione non provvedeva al formale conferimento dell’incarico, lasciando che i ricorrenti continuassero a svolgere le relative funzioni in continuità con i precedenti dipendenti collocati a riposo per pensionamento, senza alcun riconoscimento economico.
Il Tribunale di Ancona riconosceva il diritto all’attribuzione della posizione organizzativa e per l’effetto condannava la Asur Marche al pagamento delle differenze retributive.
L’azienda sanitaria proponeva appello che veniva accolto, con conseguente rigetto delle domande congiuntamente proposte dagli odierni ricorrenti.
Ad avviso della Corte territoriale per il riconoscimento del diritto oltre alla individuazione ed alla istituzione della posizione organizzativa è necessario il conferimento formale del relativo incarico, con provvedimento scritto e motivato ai sensi dell’articolo 21, comma 3 del CCNL del comparto sanità del 17 Aprile 1999. Pertanto, nulla sarebbe dovuto ai dipendenti a fronte della pacifica circostanza che gli incarichi temporanei della posizione organizzativa non sono stati formalmente conferiti con uno specifico provvedimento scritto emesso dal Direttore di Area Vasta, dal momento che i dipendenti sarebbero soltanto di fatto subentrati in occasione del pensionamento di coloro che erano stati precedentemente designati come titolari della posizione organizzativa. Ciò sulla scorta dell’articolo 21 comma 2 del CCNL di comparto che prevede ai fini del conferimento degli incarichi che le aziende siano vincolate a tener conto ‘ rispetto alle funzioni ed attività prevalenti da svolgere, della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e della capacità professionale ed esperienza acquisite dal personale, prendendo in considerazione tutti i dipendenti collocati nella categoria D’.
Orbene, ad avviso della Corte distrettuale, mancando il provvedimento scritto di conferimento della posizione organizzativa non può essere riconosciuta l’indennità richiesta in considerazione della circostanza che le mansioni svolte di fatto dai tre funzionari sono state in realtà riconducibili alle mansioni proprie della categoria di
appartenenza; in altri termini, le mansioni svolte di fatto, comunque riconducibili all’inquadramento contrattuale di ognuno dei dipendenti, non legittimano ad ottenere il riconoscimento della indicata posizione né i relativi emolumenti, non essendo risultate collegate a dirette assunzioni di responsabilità, ravvisabili solo in presenza di provvedimenti esterni o dell’attestato conseguimento degli obiettivi da parte del dirigente dell’Area Vasta.
I signori COGNOME COGNOME e COGNOME hanno proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, resistito da controricorso di Asur Marche che ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli articoli 20 e 21 del CCNL comparto sanità del 17 aprile 1999, i n relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.- Omessa considerazione nella sentenza impugnata della prova derivante dall’assenza di contestazione della controparte ai sensi degli articoli 115 e 416 c.p.c.motivazione apparente e incomprensibile in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
Ad avviso dei ricorrenti, la Corte di appello avrebbe errato nella misura in cui ha ritenuto necessario il provvedimento scritto unitamente alle prove acquisite, ai fini dell’accoglimento delle domande retributive dei dipendenti, essendo a tal fine sufficiente l’allegazione del subentro dei funzionari nelle mansioni già assegnate ai precedenti titolari in occasione del loro pensionamento.
A tal fine i ricorrenti richiamano l’orientamento costante della Suprema Corte secondo cui la condizione imprescindibile perché il diritto possa venire ad esistenza è integrata dalla istituzione delle posizioni organizzative stesse, evidenziando
che ‘ ove il dipendente venga chiamato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa previamente costituita e ne assuma tutte le connesse responsabilità, la mancanza o l’illegittimità del provvedimento formale di attribuzione non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ivi compreso quello di carattere accessorio che è, comunque, diretto a commisurare l’entità della retribuzione alla qualità della prestazione resa ‘. (Cass. SU 11/12/2007 n. 2583 e 16/02/2011 n. 3814). Tale orientamento è coerente con i principi dettati dalla Corte costituzionale in ordine all’applicabilità anche al pubblico impiego dell’articolo 36 della Costituzione (ex pluris Corte Cost. n. 115/2003; n. 229/2003).
Conseguentemente, una volta accertato lo svolgimento delle mansioni corrispondenti alla posizione organizzativa, non potrebbe attribuirsi alcun rilievo, come, invece, ha fatto la Corte, all’omessa adozione di un provvedimento formale da parte dell’amministrazione, laddove abbia consentito lo svolgimento di fatto delle mansioni proprie degli originari titolari delle posizioni organizzative collocati in congedo pensionistico.
I ricorrenti si dolgono, altresì, della motivazione della Corte distrettuale che ha ritenuto non sussistente la prova dell’effettivo svolgimento delle funzioni relative alle posizioni organizzative sulla base dei documenti e delle prove acquisite che dimostrerebbero unicamente che i funzionari hanno in realtà svolto le mansioni proprie della categoria D di appartenenza. Ed invero, la Corte avrebbe errato nel non considerare la mancata contestazione da parte di Asur Marche dell’istituzione delle posizioni organizzative e la
sostituzione dei titolari in congedo pensionistico con i ricorrenti nella comparsa di costituzione del 13 maggio 2017. Inoltre, l’argomento utilizzato dalla Corte d’appello secondo cui le mansioni svolte sarebbero riconducibili alla categoria professionale di appartenenza non avrebbe pregio ad avviso dei ricorrenti, atteso che la posizione organizzativa non è altro che un modo per valorizzare una professionalità che indubbiamente è afferente alla medesima categoria contrattuale del soggetto che la svolge.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha accertato che le attività svolte dai dipendenti, oltre a rientrare nel profilo professionale di ‘collaboratore professionale sanitario’ di cui alla categoria D, non si sono estrinsecate in provvedimenti aventi rilevanza esterna, con relativa assunzione di responsabilità esterna all’unità operativa nella quale hanno agito i ricorrenti.
In particolare, il giudice d’appello , ha richiamato il principio affermato anche recentemente da questa Corte (cfr. Cass. 8141/2018) secondo cui ove il dipendente venga assegnato a svolgere le mansioni proprie di una posizione organizzativa previamente istituita dall’ente, la mancanza o l’illegittimità del provvedimento di formale attribuzione non esclude il diritto a percepire l’intero trattamento economico corrispondente alle mansioni di fatto espletate, ma ha anche rimarcato la necessità dell’assunzione di tutte le connesse responsabilità derivanti dalle funzioni strategiche e di alta responsabilità che poi giustificano il riconoscimento di un’indennità aggiuntiva.
Orbene, con un giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, la Corte distrettuale ha accertato la insussistenza nel caso concreto della necessaria assunzione di
responsabilità nello svolgimento delle mansioni dedotte dai ricorrenti, previa assegnazione da parte dell’amministrazione degli obiettivi e della valutazione dei risultati raggiunti.
Tale autonoma ratio decidendi , da sola sufficiente a sorreggere il decisum , è inammissibilmente censurata attraverso la denuncia di violazione degli artt. 115 e 416 c.p.c. che, nella sostanza, sollecita un diverso apprezzamento delle risultanze processuali.
Va ricordato, infatti, che «spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte» (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
Risulta, dunque, irrilevante la questione sollevata dai ricorrenti circa l’erroneità della sentenza impugnata, laddove desume dalla mancanza dell’atto di conferimento formale la giuridica impossibilità di applicare l’art. 52 D.Lgs. n. 165/2001 e l’art. 36 Cost..
Con il secondo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione degli articoli 414 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.. – Omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio – mancata valutazione di documenti-travisamento della prova, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
Ad avviso dei ricorrenti la Corte territoriale avrebbe errato nel valutare le mansioni svolte come non riconducibili a quelle delle posizioni organizzative rilevando che le stesse non si sarebbero estrinsecate in provvedimenti aventi rilevanza esterna con relativa assunzione di responsabilità in capo al medesimo funzionario. Tale affermazione sarebbe contraria
al concetto stesso di posizione organizzativa che descrive una funzione alla quale si correlano compiti predeterminati dall’amministrazione, per cui una volta che la stessa sia stata istituita e si accerti che il dipendente abbia svolto con pienezza di poteri le mansioni connesse all’incarico assumendone la relativa responsabilità non si può escludere il conferimento di fatto della posizione organizzativa medesima.
Il motivo è inammissibile.
Va al riguardo premesso che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 25348/2018; Cass. 7921/2011).
Più in particolare, va richiamato al riguardo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte che reputa “inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei
fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019). (Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 19/02/2021), n.4627).
Ciò posto, la censura è finalizzata a richiedere a questa Corte una rivalutazione del materiale probatorio ed un nuovo e diverso accertamento di fatto inammissibile in questa sede, soprattutto con riferimento alla assunzione di responsabilità dei ricorrent i nell’espletamento delle attività lavorative come dedotte.
In conclusione, il ricorso è integralmente inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione