Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34112 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34112 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23908/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
COGNOME NOME COGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
COGNOME
NOME
-intimata-
avverso SENTENZA di CORTED’APPELLO ROMA n. 2203/2019 pubblicata il 29/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n.2203/2019 pubblicata il 29 maggio 2019, ha rigettato l’appello principale proposto da Unicredit s.p.a. e l’appello incidentale proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME nella controversia in cui è parte anche NOME COGNOME.
Il Tribunale di Roma accoglieva solo in parte le domande proposte da COGNOME e COGNOME dichiarando il loro diritto alla portabilità della posizione previdenziale maturata presso il Fondo pensione della Cassa di Risparmio di Roma (Fondo CRR), «nel valore ricavabile secondo le metodologie di calcolo elaborate dalla statistica e dalla matematica attuariale», ritenendo non applicabili i criteri di cui all’accordo sindacale del 22/12/2009.
La Corte territoriale ha rigettato l’appello principale richiamando per esteso i principi di diritto di Cass. Sez. Un. 14/1/2015 n.477. Ha, in particolare, ritenuto che la possibilità di enucleare la posizione individuale nell’ambito di un fondo a ripartizione, quale il
Fondo CRR, fosse confermata dall’accordo sindacale del 22/12/2009, relativo al progetto di portabilità della posizione individuale degli iscritti al Fondo pensione CRR (qualificata come «capitale di mobilità») presso il Fondo pensione del Gruppo Unicredit, dettando i criteri per la sua quantificazione. Quanto alla dedotta violazione della circolare COVIP del 17/01/2008, ha ritenuto tale circolare in contrasto con le disposizioni dettate dal d.m. 62/2007, ed in particolare dall’ art.3 comma 2, che consentiva specifiche deroghe in funzione di esigenze relative all’equilibrio tecnico del fondo, al rispetto del criterio di sana e prudente gestione e alla tutela degli interessi degli iscritti, ivi incluso il contenimento dei conti, «e non già il potere di esonerare tout court una determinata categoria di fondi, quali quelle a prestazioni definite».
Quanto all’appello incidentale, la Corte territoriale ha ritenuto che COGNOME e COGNOME avessero chiesto, in via alternativa, la condanna al trasferimento della posizione previdenziale in base ai criteri di quantificazione dell’accordo sindacale del 22/12/2009, ovvero secondo la diversa quantificazione operata con i criteri individuati dal giudice di prime cure; e che in sede di appello non avessero dedotto la sussistenza di un interesse ad ottenere l’applicazione dei criteri previsti dall’accordo sindacale del 22/12/2009.
Per la cassazione della sentenza ricorre Unicredit s.p.a.RAGIONE_SOCIALE con ricorso affidato a tre motivi. NOME e NOME resistono con controricorso, NOME COGNOME è rimasta intimata. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo Unicredit RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione degli artt.14 e 20 d.lgs. n.252/2005; del d.m. Economia e Finanze di concerto con il ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 10 maggio 2007 n.62, ed in particolare del suo art.3, emanato in
attuazione dell’art.20 , comma 2, d.lgs. n.252/2005; dell’art.10 d.lgs. n.124/1993, tutti con riferimento all’art.360 , comma primo, n.3 cod. proc. civ. Deduce che l’art.14 del d.lgs. n.252/2005, come già il precedente art.10 d.lgs. n.124/1993, è stato dettato per i fondi di nuova istituzione; che, con riferimento ai fondi pensione preesistenti alla entrata in vigore della legge n.421/1992, l’adeguamento alle disposizioni dettate dal d.lgs. 252/2005 avviene secondo i criteri e le modalità stabilite dal D.M.62/2007, ed in particolare l’ art.3 che, con riferimento ai fondi in regime di prestazione definita, attribuisce alla COVIP il potere di consentire specifiche deroghe, in funzione delle esigenze generali ivi specificate. Sulla base di questa premessa, e della Circolare COVIP del 17/01/2008, sostiene che nei fondi pensione a prestazione definita non può trovare applicazione la disciplina della portabilità della posizione individuale.
2. Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt.1322, 1362 e 1363 cod. civ., 20 d.lgs. 252/2005, 18 d.lgs. 124/1993, 14 d.lgs. 252/2005, 10 d.lgs. 124/1993, tutti con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ . Deduce che la Corte territoriale, con una motivazione incongrua, carente e contraddittoria ha ritenuto che l’accordo sindacale del 22/12/2009 avrebbe introdotto la portabilità delle posizioni individuali nel Fondo CRR oltre che criteri utili per la quantificazione delle posizioni medesime, nonostante il fatto tale accordo fosse applicabile ai soli soggetti in servizio al momento della sua sottoscrizione che optavano per l’iscrizione al Fondo di Gruppo Unicredit. Deduce che dalla interpretazione dell’accordo sindacale alla luce delle norme oggetto del motivo di ricorso risulta chiaro che, in caso di mancato esercizio del diritto di opzione ex art.2 dell’accordo , dovevano trovare applicazione le disposizioni dettate dal Regolamento del Fondo CRR del 30/07/1971, e non le nuove disposizioni dettate nel 2009.
Con il terzo motivo Unicredit s.p.a. lamenta la violazione degli artt.112 cod. proc. civ., 20 d.lgs. n.252/2005, 18 d.lgs. n.124/1993, del d.lgs. n.38/2005, degli artt.1322, 2697 cod. civ., art.114 cod. proc. civ., tutti con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ. Deduce che nel ricorso introduttivo del primo grado di giudizio i ricorrenti avevano chiesto la condanna al trasferimento delle posizioni previdenziali maturate presso il Fondo CRR in base ai criteri di quantificazione indicati dall’accordo del 22/12/2009 «ovvero secondo la diversa quantificazione che risulterà dall’espletanda CTU»; che , nonostante il mancato espletamento della CTU e la mancata indicazione nel ricorso introduttivo degli elementi di fatto necessari per la quantificazione delle posizioni individuali, il giudice di prime cure aveva comunque condannato Unicredit al trasferimento delle posizioni individuali utilizzando i criteri di quantificazione dallo stesso indicati. Sostiene che il giudice di prime cure avrebbe dovuto limitarsi ad una sentenza di accertamento e non pronunciare una condanna generica in violazione delle norme processuali oggetto del motivo di ricorso. Aggiunge, infine, che i criteri individuati dal giudice di prime cure, fatti propri dalla Corte territoriale, si risolvono in una violazione dei principi di autonomia previsti dagli artt.20 d.lgs. n.252/2005 e 18 d.lgs. n.124/1993
I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, per ragioni di connessione, e sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Nella parte in cui la ricorrente censura la motivazione della Corte territoriale, siccome incongrua, contraria a logica e non adeguata, il motivo si risolve in una critica alla motivazione, e non nelle violazioni della legge sostanziale che formano oggetto del primo (ed in parte del secondo) motivo di ricorso. Quanto al sindacato sulla motivazione si intende dare continuità al costante orientamento di questa Corte, secondo il quale «La riformulazione
dell’art. 360, n. 5), cod. proc. civ., disposta con l’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n.8.053).
6 Poiché nel caso in esame, con evidenza, appare soddisfatto il requisito del minimo costituzionale, deve dichiararsi l’inammissibilità dei primi due motivi, in parte qua.
Le altre censure che formano oggetto del primo motivo di ricorso sono invece infondate. La Corte territoriale ha richiamato per esteso i principi di diritto di Cass. Sez.Un. n.477/2015 cit., dei quali ha fatto corretta applicazione al caso in esame. La parte ricorrente sostiene che tali condivisi principi di diritto non sarebbero applicabili al caso in esame trattandosi di controversia soggetta, ratione temporis, al la disciplina dettata dall’art.14 d.lgs. n.252/2005, e non dall’art.10 d.lgs. n. 124/1993 oggetto del decisum delle Sezioni unite del 2015.
8. Sul punto s ‘intende dare continuità all’orientamento di Cass. Sez.Un. 14/04/2022 n.12209, e successive pronunce conformi, nei
termini che seguono: «giova rilevare che i motivi, anche ad obliterare possibili profili di inammissibilità con riferimento alle censure di violazione dei canoni interpretativi, in quanto genericamente espressi in relazione ad atti di natura pattizia (v. in proposito, ex plurimis, Cass. nr.30281 del 2022), possono congiuntamente trattarsi e sono da respingere alla stregua dell’orientamento della Corte, come, di recente, ribadito con la pronuncia delle sezioni unite nr.12209 del 2022; il precedente indicato in ultimo, pronunciandosi in relazione ad una fattispecie sostanzialmente sovrapponibile alla presente («riscatto» della posizione individuale maturata presso fondi a ripartizione e a prestazione definita preesistenti), ha confermato la portabilità e «riscattabilità» della posizione individuale, anche con riferimento ai fondi complementari preesistenti all’entrata in vigore della L. n. 421 del 1992, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali, ivi compresi quelli funzionanti secondo il sistema cd. a ripartizione o a capitalizzazione collettiva e a prestazione definita, essendo comunque ravvisabile una posizione individuale di valore determinabile, la cui consistenza va parametrata ai contributi versati al fondo, compresi quelli datoriali, ed ai rendimenti provenienti dal loro impiego produttivo; all’indicato principio – e al relativo supporto argomentativo richiamato anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod.proc.civ. – va assicurata continuità in questa sede, sicché non residuano margini di accoglimento della tesi difensiva proposta dall’odierna ricorrente, considerato che il modello interpretativo ormai prevalente, confermato dal d.lgs. nr. 252 del 2005 (art. 1, art. 3, comma 3, e art. 14, comma 6) ed esteso, ad opera dell’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, ai fondi complementari di più antica istituzione, volge nel senso di garantire la facoltà dell’aderente al fondo di trasferire e/o riscattare l’intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica, sancendo l’inefficacia di
eventuali disposizioni «limitative» contenute nelle fonti istitutive e fissando la «portabilità» come principio inderogabile anche per l’autonomia negoziale collettiva e, quindi, come regola di carattere generale (v. successivamente anche Cass. nn. 29383 e 30549 del 2022)» (Cass. 22/08/2023 n.29997).
9. Nella parte in cui la ricorrente censura la violazione degli artt.1362 e 1363 cod. civ. con riferimento alla interpretazione degli artt.2, 4 e 6 dell’accordo del 2009, giova rilevare che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza, o inammissibilità, delle censure mosse ad una delle ‘rationes decidendi’ rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (da ultimo, fra tantissime, Cass. Sez. III 26/02/2024 n.5102 ed ivi ulteriori precedenti).
10. La decisione della Corte territoriale trova il proprio fondamento nelle argomentazioni di Cass. Sez.Un. n.477/2015 cit., «confermata» dalle disposizioni dell’accordo sindacale del 2009. Si è dunque in presenza di due rationes decidendi , una principale ed una «a conferma», e la critica alla seconda non determina il venir meno della decisione sulla base della prima, a seguito delle considerazioni già svolte. Il motivo è, pertanto, inammissibile.
11. Il terzo motivo di ricorso è del pari inammissibile, nonostante si richiami in rubrica il paradigma della violazione di legge, per la devoluzione, allo scrutinio di legittimità, della violazione di regole processuali inerenti ad asseriti vizi di ultrapetizione del giudizio di prime cure senz ‘adeguata dimostrazione della devoluzione, in sede di appello, del relativo motivo di gravame avverso la decisione di prime cure, di condanna generica, ex art.278 cod. proc. civ., con
rimessione, ad un futuro e necessario giudizio, della quantificazione della prestazione secondo criteri indicati in via di massima.
Per tutti questi motivi il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza. La parte ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.