Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28567 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 28787/2022 R.G. proposto da:
REGIONE LAZIO , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura regionale , rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
VENDITTI NOME , domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al controricorso, domicilio digitale EMAIL
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE r.l.
avverso la sentenza n. 8898/2022 del Tribunale di Roma, depositata il 7.6.2022;
udita la relazione della causa svolta nell ‘ adunanza camerale del 10.7.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 7.6.2022, il Tribunale di Roma rigettò l’opposizione agli atti esecutivi proposta dalla Regione Lazio, terza pignorata, avverso due ordinanze ex artt. 549 e 553 c.p.c. del 20.9.2018, con cui il g iudice dell’esecuzione aveva rispettivamente e ad un tempo accertato la sussistenza dell’obbligazione della Regione stessa (per l’importo di € 20.631,40) nei confronti della TARAGIONE_SOCIALE, debitrice esecutata, alla data della notifica del pignoramento presso terzi (16-19.9.2016) avviato da NOME COGNOME e conseguentemente assegnato a quest’ultimo il credito da lui vantato contro la società esecutata, per l’ importo di € 17.325,38. Ciò sul presupposto che il dedotto pagamento estintivo effettuato dalla Regione Lazio in favore dell’esecutata, avvenuto in data 23.9.2016, era da considerare inopponibile al procedente, in quanto successivo alla data di notifica del pignoramento e, dunque, avvenuto in violazione degli obblighi di custodia ex art. 546 c.p.c. Il Tribunale regolò poi le spese, pure rigettando la domanda ex art. 96 c.p.c. proposta dal COGNOME.
Avverso detta sentenza la Regione Lazio ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso NOME COGNOME; la
N. 28787/22 R.G.
RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese. Il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 547, 549, 553 e 617, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per aver il Tribunale fatto malgoverno delle norme e dei principi processuali che presied ono l’assegnazione di somme pignorate. Si sostiene che il giudice, nel confermare la legittimità dell’assegnazione delle somme staggite, ha errato nel ritenere sussistente, alla data della notifica del pignoramento presso terzi, l’obbligazione passiva del debitor debitoris Regione Lazio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE nonostante essa obbligazione fosse stata estinta integralmente tre anni prima, nonché nel ritenere sussistente un atto dispositivo reso in violazione dell’obbligo di custodia.
1.2 -Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver il Tribunale affermato e motivato ‘ per relationem ‘ la disponibilità delle somme pignorate, in ragione dell’insussistenza del collegamento fra i due pagamenti di € 192.559,70 disposti nel 2013 e la regolarizzazione contabile di € 20.631,40 del 2016, nonché per aver affermato la natura equivalente al mandato di pagamento della reversale d’incasso, nonostante la documentazione prodotta in atti comprovasse il contrario, così incorrendo nel vizio di motivazione della sentenza per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, nonché omettendo di pronunciarsi sulla domanda di restituzione delle somme staggite.
2.1 -Il primo motivo è inammissibile.
Il Tribunale di Roma ha accertato che la ‘reversale d’incasso’ n. 14297 del 22.9.2016 dell’importo di € 20.631,40 , e il mandato vincolato n. 34794/2016 in favore della RAGIONE_SOCIALE, debitrice esecutata, altro non costituiscono -contrariamente all’assunto della Regione, che vi attribuisce natura di meri atti di regolarizzazione contabile di pagamenti effettuati nel 2013 – se non un mandato di pagamento, con valuta 26.9.2016, dunque successivo alla data di notifica del pignoramento (19.9.2016) e inopponibile al creditore COGNOME Conseguentemente, ha rigettato l’opposizione formale della Regione, ritenendo esenti da errori le due ordinanze emesse dal g.e. ex artt. 549 e 553 c.p.c., con cui rispettivamente era stata accertata l’esistenza del debito della stessa Regione verso la TA.CA.RO., nonostante la dichiarazione negativa della terza pignorata, ed erano state assegnate le somme in favore del pignorante COGNOME.
Così stando le cose, il motivo risulta del tutto aspecifico: esso riporta un confuso affastellamento di dati e di questioni di contabilità, meramente assertivi, che in nessun modo confermano -con le modalità e nei limiti in cui tanto è possibile fare nel giudizio di legittimità -che il giudice del merito ha errato nel considerare quei documenti (ossia, la ‘reversale d’incasso’ e il mandato vincolato prima descritti) come dimostrativi di un pagamento (e quindi di un preesistente e corrispondente debito della Regione verso l’esecutata , dunque assegnabile ex art. 553 c.p.c.). Il mezzo difetta dunque di specificità, tanto che non è dato comprendere (perché la ricorrente non lo spiega, se non -in parte -su base meramente assertiva) in che modo il Tribunale avrebbe violato le norme in rubrica.
2.2 Se poi, col mezzo in esame, la Regione avesse voluto significare che il Tribunale ha del tutto travisato il contenuto dei documenti in questione, attribuendo loro un ‘informazione probatoria opposta rispetto all’effettivo contenuto, allora risulterebbe ulteriormente confermata l’inammissibilità della censura, sotto altro profilo.
Infatti, sul punto, è recentemente intervenuta Cass., Sez. Un., n. 5792/2024, così massimata: ‘ Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale ‘ .
Poiché, nella specie, la questione sulla natura della ‘reversale d’incasso’ in parola costituisce indubbiamente punto controverso, sicché non avrebbe potuto percorrersi la revocazione per errore di fatto, ex art. 395, n. 4, c.p.c., la Regione avrebbe dovuto denunciare in questa sede di legittimità -nella suddetta ipotetica prospettiva -il vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., venendo qui in rilievo indubbiamente un fatto di natura sostanziale (essere stato o meno effettuato un pagamento), ma tanto non è avvenuto, donde l’ ulteriore profilo di inammissibilità del mezzo.
3.1 -Il secondo motivo è del pari inammissibile.
Ribadito quanto già osservato riguardo al primo motivo sull ‘accertamento fattuale operato dal Tribunale circa l’esistenza del pagamento, nei termini suddetti, deve qui evidenziarsi che il preteso vizio di motivazione non è dedotto in conformità a ll’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 8053/2014 , facendosi riferimento ad una ‘omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove’ , nonché alla omessa pronuncia sulla domanda di restituzione delle somme.
In realtà, i profili censurati non rispettano i crismi di denunciabilità del vizio di motivazione in questa sede di legittimità, la scarna censura sostanzialmente riecheggiando la disposizione del previgente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non più in vigore dal 2012. Non senza dire che la domanda che si pretende pretermessa -condanna alla restituzione delle somme pagate in esecuzione dell’ordinanza di assegnazione – è di per sé inammissibile nel giudizio di opposizione agli atti esecutivi, stante la natura necessariamente (e unicamente) rescindente della sentenza che lo definisce (per tutte, Cass. n. 28926/2023, ove altri e compiuti riferimenti).
Per quanto concerne, poi, la pretesa violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la denuncia non è in linea con l’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, che ne delinea i contorni di giustiziabilità, in questa sede di legittimità, in termini assai ristretti, certamente non rispettati dalla ricorrente, che nella sostanza chiede a questa Corte di esprimere valutazioni in ordine alle risultanze probatorie, riservate però al giudice del merito.
Quanto infine al la pretesa violazione dell’art. 2697 c.c., la censura è del pari inammissibile perché aspecifica, neppure risultando che il Tribunale abbia
N. 28787/22 R.G.
attribuito l’onere della prova dei fatti decisivi alla parte che non vi era tenuta per legge (sul modo di dedurre la violazione dell’art. 2697 c.c., si vedano Cass., Sez. Un., n. 16598/2016, in motivazione, nonché, ex multis , Cass. n. 26769/2018).
4.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti del controricorrente. Nulla va disposto nel rapporto con l’intimata, che non ha svolto difese.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del controricorrente , che liquida in € 2.400,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno