Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6132 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 6132 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso 9886-2024 proposto da:
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE E DEL MERITO, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo PEC dei difensori ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 32/2024 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 17/02/2024 R.G.N. 155/2023; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME;
Oggetto
Personale docente assunto a tempo determinato e poi immesso in ruolo Principio di non discriminazione
R.G.N. 9886/2024
Cron. Rep. Ud. 04/02/2025 PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Perugia ha respinto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto il ricorso proposto dalla docente NOME COGNOME e aveva accertato il carattere discriminatorio dell’art. 2 del CCNL 4 agosto 2011, nella parte in cui prevede per i soli assunti a tempo indeterminato in servizio alla data del 1° settembre 2010 la conservazione del diritto a percepire ad personam il trattamento retributivo previsto dalla preesistente fascia stipendiale. Il Tribunale aveva di conseguenza condannato il Ministero al pagamento delle differenze stipendiali, nei limiti della prescrizione quinquennale.
La Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che alla COGNOME al momento della immissione in ruolo, avvenuta il 1° settembre 2015, il servizio prestato a far tempo dall’anno scolastico 2007/2008 sulla base di plurimi contratti di docenza a tempo determinato, era stato riconosciuto in applicazione delle regole dettate dagli artt. 485 e seguenti del d.lgs. n. 297/1994 per complessivi anni 6, da valere a fini giuridici ed economici. All’appellata era stato corrisposto il trattamento retributivo previsto dalla contrattazione vigente per i docenti inseriti nella 1ª fascia stipendiale (0/8) e la successiva posizione stipendiale era stata attribuita a partire dal 1° settembre 2018.
Il giudice d’appello ha precisato che l’originaria ricorrente non aveva contestato il provvedimento di ricostruzione della carriera ed aveva agito in giudizio solo per rivendicare che di quella anzianità si tenesse conto ai fini della applicazione della cosiddetta clausola di salvaguardia prevista dal citato C.C.N.L. 2011, in ragione del carattere discriminatorio di quest’ultima, nella parte in cui aveva escluso
dall’ambito di applicazione anche i docenti in servizio alla data del 1° settembre 2010 con contratto a tempo determinato, successivamente immessi in ruolo.
La Corte distrettuale, nel condividere il percorso argomentativo del Tribunale, quanto al carattere discriminatorio della clausola ha richiamato i principi affermati da questa Corte con sentenza n. 2924 del 2020, ribaditi da successive decisioni conformi, ed ha, poi, ritenuto infondato l’assunto difensivo del Ministero secondo cui, avendo la COGNOME goduto di un trattamento di favore al momento della ricostruzione della carriera con riconoscimento di un’anzianità superiore a quella reale, per effetto della fictio iuris prevista dall’art. 489 del T.U., non poteva la stessa domandare la disapplicazione della norma contrattuale sulla clausola di salvaguardia, perché ciò avrebbe determinato una discriminazione alla rovescia in danno dei docenti assunti ab initio a tempo indeterminato.
Ha precisato al riguardo il giudice d’appello che la disciplina della ricostruzione della carriera si muove su un piano diverso e distinto rispetto a quello della quantificazione del trattamento stipendiale, sicché, una volta riconosciuta una data anzianità di servizio, il carattere discriminatorio o meno del trattamento riservato all’ex assunto a tempo determinato va verificato assumendo come lavoratore in ruolo comparabile quello con la medesima anzianità riconosciuta in sede di ricostruzione della carriera, senza che possa assumere alcun rilievo la durata del servizio effettivamente prestato.
Per la cassazione della sentenza il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, al quale ha opposto difese con controricorso NOME COGNOME
L’Ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte ed ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la «violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994 in combinato disposto con l’articolo 2 del C.C.N.L. del 4.08.11 e con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE». Il Ministero, richiamato in premessa il principio di diritto enunciato da Cass. n. 2924/2020, circoscrive la questione controversa e sottolinea che non viene qui in contestazione il principio generale di parità nelle condizioni di impiego fra lavoratori assunti a termine e dipendenti in servizio con contratti a tempo indeterminato, poiché si discute unicamente del diritto del lavoratore che abbia ottenuto il riconoscimento dell’anzianità di servizio sulla base di parametri legali di miglior favore, non applicati al personale di ruolo, di far valere quella anzianità anche con riferimento alla domandata clausola di salvaguardia.
Ribadisce che la COGNOME al momento della immissione in ruolo poteva vantare un’anzianità effettiva di anni 4 mesi 4 e giorni 14 a fronte della quale il Ministero ha riconosciuto 6 anni di servizio e, di conseguenza, avendo già goduto dell’applicazione di un trattamento più favorevole rispetto al docente a tempo indeterminato comparabile, non poteva poi pretendere anche la disapplicazione della norma contrattuale sulla clausola di salvaguardia.
Richiama il principio affermato da Cass. n. 31149/2019 per sostenere che in tema di ricostruzione della carriera e di conseguente trattamento economico non è ammissibile una commistione di regimi, che è quella che si realizzerebbe nella fattispecie con l’attribuzione del trattamento ad personam in aggiunta al vantaggio dell’anticipazione al 1° settembre 2018 in luogo del 31 marzo 2020 per il passaggio alla fascia successiva.
Deduce che il principio di non discriminazione va applicato senza che si determini una mortificazione per il lavoratore comparabile assunto ab initio a tempo indeterminato, che nella specie va individuato in quello avente la medesima anzianità di servizio effettivo.
Sono infondate le plurime eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della controricorrente.
Il motivo di ricorso non pone a suo fondamento il decreto di ricostruzione della carriera e svolge unicamente considerazioni in diritto che, nel ribadire le circostanze di fatto già dedotte nel giudizio di appello (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), sono volte a contestare la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrilevanti, per ragioni giuridiche e non fattuali, quelle allegazioni. Gli oneri di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. devono essere assolti in relazione agli atti ed ai documenti sui quali il motivo si fonda, sicché la sanzione di inammissibilità non si può estendere a tutta la documentazione che sia stata prodotta nel giudizio di merito, ma non abbia una specifica valenza in quello di legittimità.
La censura, inoltre, è specifica, perché, da un lato, individua il capo della sentenza del quale si chiede la cassazione, dall’altro, non si limita a denunciare la violazione dell’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, norma, questa, che incide solo indirettamente sulla soluzione della questione controversa, bensì, come reso evidente anche dalla indicazione dell’oggetto contenuta a pag. 1 del ricorso, fa leva sulla non corretta applicazione della clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 199/70/CE, per inferirne la violazione dell’art. 2 del CCNL 4 agosto 2011 che, secondo l’assunto del ricorrente, sarebbe stato applicato erroneamente oltre i limiti consentiti dalle parti collettive.
Il motivo, seppure ammissibile, non può trovare accoglimento, perché correttamente la sentenza impugnata ha deciso la controversia sulla base del principio di diritto enunciato da Cass. 7 febbraio 2020 n. 2924, ribadito da successive pronunce conformi ( cfr. fra le più recenti Cass. 11 giugno 2024 n. 16144), secondo cui la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE non consente alle parti collettive di prevedere, nel caso di passaggio fra sistemi diversi di sviluppo professionale rilevante ai fini del trattamento economico, di riservare ai soli assunti a tempo
indeterminato la conservazione ad personam degli effetti, più favorevoli, del regime previgente.
Si tratta di un principio alla cui enunciazione questa Corte è pervenuta alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale anche nel recente arresto del 17 ottobre 2024, in causa C-322/23, nel ribadire quanto già affermato a partire da CGUE 8 settembre 2011, NOME COGNOME in causa C-177/10, ha evidenziato che «norme, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, relative ai periodi di servizio necessari per poter essere classificato in una categoria retributiva rientrano nella nozione di «condizioni di impiego»» e, pertanto, non si sottraggono al divieto «di trattare i lavoratori a tempo determinato in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che un diverso trattamento non sia giustificato da ragioni oggettive.» (punti 33 e 34 della pronuncia citata).
3.1. Il Ministero ricorrente non contesta in questa sede il principio affermato né adduce l’esistenza di differenziazioni oggettive fra la prestazione resa, in ambito scolastico, dagli assunti a tempo determinato rispetto a quella assicurata dai docenti di ruolo, bensì, come si è evidenziato nella sintesi del motivo, fa leva unicamente sulla «discriminazione alla rovescia» che l’applicazione congiunta della clausola di salvaguardia e dell’istituto della ricostruzione della carriera, come disciplinato dagli artt. 485 e 489 del d.lgs. n. 297/1994, determinerebbe in danno dell’assunto ab origine a tempo indeterminato, nei casi in cui ai fini dell’inserimento nelle fasce stipendiali previste dal sistema previgente, venga fatto valere, non il servizio effettivamente prestato, bensì l’anzianità riconosciuta in base alla fictio iuris prevista dal citato art. 489.
Sulla premessa che l’estensione della clausola di salvaguardia anche ai docenti assunti a tempo determinato alla data del 1° settembre 2010 e poi immessi in ruolo consentirebbe agli stessi una progressione stipendiale più
favorevole rispetto a quella degli insegnanti assunti ab origine a tempo indeterminato, deduce che, per ciò solo, la disposizione contrattuale non potrebbe essere disapplicata, risultando giustificata da una ragione oggettiva.
La tesi, seppure suggestiva, non merita condivisione, innanzitutto perché fa leva su un principio, che questa Corte ha affermato nella motivazione della sentenza 28 novembre 2019 n. 31149, che non si attaglia alla fattispecie.
In quel caso, infatti, si discuteva unicamente della conformità alla clausola 4 dell’Accordo quadro della disciplina nazionale dettata in tema di riconoscimento del servizio prestato dai docenti assunti a tempo determinato prima dell’immissione in ruolo, disciplina che nel testo all’epoca vigente (l’articolo 14, comma 1, del d.l. 13 giugno 2023, n. 69, convertito con modificazioni dalla l. 10 agosto 2023, n. 103 ha riformulato gli artt. 485 e 489 del d.lgs. n. 197/1994 prevedendo il riconoscimento, senza abbattimenti, della sola anzianità effettiva) se, da un lato, prevedeva all’art. 485 un abbattimento dell’anzianità, dall’altro, sulla base dell’interpretazione autentica dettata dall’art. 11, comma 14, l. 3 maggio 1999, n. 124 (anch’esso riformulato dal citato d.l. n. 69/2023), equiparava ad un anno di servizio la supplenza prestata per almeno 180 giorni o continuativamente dal 1° febbraio sino al termine delle attività didattiche. A fronte, quindi, di una disciplina della ricostruzione di carriera che introduceva una discriminazione in danno dell’assunto a tempo determinato (l’abbattimento) ma, al tempo stesso, lo favoriva quanto al computo dell’anno di servizio, questa Corte nell’occasione ha affermato che la natura discriminatoria della stessa poteva essere ritenuta solo apprezzando la disciplina nel suo complesso e, quindi, valutando l’anzianità effettiva del docente assunto a tempo determinato, non potendo, quest’ultimo, domandare la disapplicazione del solo abbattimento e pretendere, al contempo, di avvalersi della fictio iuris .
Il riferimento alla ‘commistione di regimi’, quindi, è stato fatto in relazione al medesimo istituto della ricostruzione della carriera ed alle modalità attraverso le quali, in base alla disciplina all’epoca vigente, si perveniva ad individuare l’anzianità da riconoscere al docente, poi immesso in ruolo, a fini giuridici ed economici.
3.2. Nel caso di specie, al contrario, vengono in rilievo due diversi istituti, che, seppure incidenti entrambi sul trattamento retributivo da riservare al personale assunto a tempo indeterminato dopo un periodo di pre-ruolo, restano distinti, perché il primo attiene all’anzianità di servizio, da attribuire a fini giuridici ed economici, e l’altro alla individuazione della fascia stipendiale nella quale il docente, con l’anzianità risultante all’esito della ricostruzione, deve essere collocato.
Si tratta, quindi, di distinte ‘condizioni di impiego’ e, pertanto, come questa Corte ha già affermato (cfr. Cass. 29 dicembre 2022 n. 38100) il carattere discriminatorio o meno delle stesse deve essere valutato in relazione alla condizione che viene in rilievo e non all’esito di una comparazione globale dell’intero trattamento riservato all’assunto a termine rispetto a quello a tempo indeterminato.
3.3. Ciò detto, nel richiamare integralmente la motivazione delle pronunce citate al punto 3, non si può dubitare della natura discriminatoria della disciplina dettata dal CCNL 4 agosto 2011, con la quale le parti collettive, dopo aver rimodulato le fasce stipendiali prevedendo un’unica nuova fascia da 0 a 8 anni di servizio, in luogo delle preesistenti 0-2 e 3-8, implicanti un incremento stipendiale al momento del passaggio dall’una all’altra, hanno limitato ai soli assunti a tempo indeterminato alla data del 1° settembre 2010, non solo il diritto a conservare il maggiore valore stipendiale 3-8 già acquisito a quella data (art. 2, comma 2), ma anche il diritto a conseguire ad personam , pur dopo l’entrata in vigore del nuovo sistema, l’incremento in precedenza previsto al partire dal terzo anno di servizio.
Si tratta di un beneficio economico dal quale gli assunti a tempo determinato sono stati esclusi per il solo fatto che alla data indicata al contratto fosse stato apposto un termine di durata, sicché la disparità di trattamento non appare in alcun modo giustificata per le ragioni che questa Corte ha in più occasioni indicato a partire da Cass. 23 novembre 2016 n. 23868.
3.4. E’ incontestato che la COGNOME, sulla base dell’anzianità di servizio maturata nel periodo di pre-ruolo, ove la clausola di salvaguardia non fosse stata limitata ai soli assunti a tempo indeterminato, avrebbe avuto titolo ad essere collocata al momento dell’immissione in ruolo, avvenuta il 1° settembre 2015, nella seconda delle fasce stipendiali previgenti ( 3-8) e ciò sia considerando l’anzianità indicata nel decreto di ricostruzione della carriera (6 anni), sia quella effettiva di servizio allegata dal Ministero ( anni 4 mesi 8 e giorni 14).
Si è, quindi, in ogni caso in presenza di un trattamento deteriore per il periodo 1° settembre 2015/31 agosto 2018 (data del passaggio riconosciuto dal Ministero alla successiva fascia stipendiale 9/14), che non può essere giustificato facendo leva sulla circostanza che la maggiore anzianità rispetto al servizio effettivo (peraltro si tratta di allegazione che la Corte territoriale non ha verificato in quanto ritenuta irrilevante e che in questa sede la controricorrente contesta) ha consentito il conseguimento ‘anticipato’ della fascia 9/14, riconosciuto a partire dal 1° settembre 2018 in luogo del 31 marzo 2020 (data, questa, che il Ministero indica come quella di conseguimento di effettivi 8 anni di servizio).
Nella citata pronuncia del 17 ottobre 2024, in causa c322/23, la Corte di Giustizia ha, infatti, osservato che la violazione o meno della clausola 4 dell’Accordo quadro deve essere verificata « alla luce degli elementi di fatto e di diritto che possono essere accertati al momento in cui quest’ultima è invocata dalla persona che ritiene di esserne colpita, senza che possano essere presi in considerazione eventuali elementi futuri, la cui esistenza stessa e la cui esatta portata restano
incerte a tale momento» (punto 48) ed ha ulteriormente specificato che un meccanismo futuro di riallineamento della retribuzione, di portata limitata perché non retroattivo, non vale a giustificare la disparità di trattamento, sia perché incerto (lo stesso, infatti, non potrebbe operare in caso di risoluzione per qualunque causa del rapporto), sia in quanto « la circostanza che, in taluni casi, l’applicazione di tale meccanismo possa eventualmente essere favorevole ai docenti interessati è, se del caso, atta a compensare soltanto parzialmente la differenza di trattamento subita» ( punto 47).
D’altro canto la stessa Corte di Giustizia ha in più occasioni osservato che la finalità di evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia, che sono quelle che il Ministero fa valere in questa sede, non può integrare una ragione obiettiva «quando la normativa nazionale di cui trattasi esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti da lavoratori nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione» ( CGUE 30 novembre 2023 in causa c- 270/22, punto 74). E’ quanto si realizza nella fattispecie, perché la clausola di salvaguardia della cui legittimità si discute non considera affatto il servizio prestato sulla base del rapporto a tempo determinato, escluso ai fini della sua applicazione nella sua totalità.
4. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato perché la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto di seguito enunciato: « L’art. 2 del CCNL 4 agosto 2011 per il personale del comparto della scuola contrasta con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE nella parte in cui limita al solo personale in servizio a tempo indeterminato alla data del 1° settembre 2010 la conservazione ad personam della fascia stipendiale 3-8 e riconosce al medesimo personale il diritto a percepire, sempre ad personam , l’incremento stipendiale previsto dalla predetta fascia al compimento del periodo di permanenza nella fascia
0-2. La disposizione deve essere, pertanto, disapplicata, nella parte in cui esclude gli assunti a tempo determinato in servizio alla medesima data del 1° settembre 2010, ai quali, dopo l’immissione in ruolo, va estesa la clausola di salvaguardia anche qualora il docente faccia valere l’anzianità riconosciuta ai sensi del combinato disposto degli artt. 485 e 489 del d.lgs. n. 197/1994, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.l. 13 giugno 2023 n. 69. La diversità nella condizione di impiego va verificata al momento in cui si realizza la dedotta disparità e non può essere esclusa facendo leva su un trattamento, anche se eventualmente più favorevole, che sia futuro, incerto e non idoneo a compensare integralmente il trattamento discriminatorio subito».
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno poste a carico del Ministero ricorrente nella misura indicata in dispositivo, con distrazione in favore degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno reso la dichiarazione indicata dall’art. 93, comma 1, cod. proc. civ.
Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il Ministero dell’Istruzione e del Merito al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge, con distrazione in favore degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.