Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3998 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 20497-2020 proposto da:
Oggetto
Licenziamento disciplinare per giusta causa
Permessi per c.d. mandato elettorale Amministratori locali nella Regione Sicilia
R.G.N. 20497/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 28/11/2023
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME; CC
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 306/2020 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 08/05/2020 R.G.N. 794/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/11/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Palermo rigettava il reclamo proposto da NOME COGNOME contro la sentenza del Tribunale di Marsala n. 498/2019, che pure aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza del medesimo tribunale che, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva disatteso le sue domande relative al licenziamento disciplinare per giusta causa intimatogli il 25.10.2017 dalla RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME era dipendente, con la qualifica di DS2, in qualità di ‘caposala’ , giusta precedente nota datoriale del 28.9.2017, nella quale era stato contestato al lavoratore di aver abusato nei giorni ivi in dettaglio specificati, in un periodo compreso tra il 31.5.2017 e il 14.9.2017, dell’esercizio del diritto di fruire dei permessi per c.d. mandato elettorale ex art. 79, comma 3, d.lgs. n. 267/2000.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale respingeva il primo motivo di reclamo, con il quale il lavoratore riproponeva la propria eccezione d’illegittimità del licenziamento in quanto intimato ‘in virtù di una norma non applicabile alla fattispecie in esame’, e sosteneva, inoltre, che l’eventuale sua assenza ‘dalla sede comunale nei giorni di permesso’ non proverebbe ‘alcunché, non essendo egli obbligato a compiere il proprio mandato politico presso la sede
comunale, né tantomeno a produrre attestazioni … in considerazione della ratio legis sottesa all’art. 20 l.r. n. 30/2000′. A quest’ultimo proposito , la Corte, nel condividere l’opzione ermeneutica già argomentata dal primo giudice, riteneva che la piana disamina della normativa vigente in materia induce, univocamente, ad escludere che la fruizione dei permessi previsti dalla l. r. n. 30/2000 (al pari di quelli di cui all’art. 79 del d.lg.vo n. 267/2000) da parte degli amministratori locali possa essere del tutto avulsa da un serio, tangibile ed apprezzabile collegamento con l’espletamento della funzione pubblica correlata al mandato elettorale.
Disattendeva, altresì, il secondo motivo di reclamo, ritenendo che erano risultati pienamente dimostrati, nel loro nucleo essenziale e qui rilevante, i fatti esaminati dal giudice di prime cure e che avevano condotto al licenziamento dell’allora reclamante, soffermandosi, in particolare, come il primo giudice, sugli episodi del 26.7.2017, del 26.6.2017, del 27.6.2017 e del 28.6.2017, tra quelli oggetto della contestazione disciplinare di cui alla lettera datoriale del 28.9.2017.
Rigettava, infine, anche il terzo motivo di reclamo, giungendo alla conclusione che doveva considerarsi adeguata e proporzionata alla gravità dei fatti accertati la sanzione espulsiva comminata.
Avverso tale decisione, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
L’intimat a ha resistito con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente dev’essere disattesa l’eccezione d’improcedibilità del ricorso per cassazione, sollevata dalla controricorrente sul rilievo che lo stesso ricorso, notificato in data 6.7.2020, era stato iscritto a ruolo in data 6.8.2020, e, cioè, ben oltre il termine di 20 giorni previsto dall’art. 369, comma primo, c.p.c.
Infatti, secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, in caso di ricorso per cassazione, mediante l’invio del plico con il servizio postale, ai fini della verifica del tempestivo deposito, fa fede la data di consegna all’ufficio postale del fascicolo da recapitare alla cancelleria della Corte di cassazione, in quanto l’iscrizione a ruolo si ritiene che sia avvenuta in tale data. Non rileva infatti che il plico pervenga a destinazione dopo il decorso del termine di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c. (così, tra le altre, Cass., sez. VI, 17.12.2021, n. 40557; e in termini id., sez. III, 18.1.2016, n. 684; id., sez. lav., 24.3.2016, n. 5898; id., sez. III, 3.3.2010, n. 5071).
Ebbene, rileva il Collegio che nella specie risulta appunto, per via documentale, che il ricorrente si è avvalso del servizio postale per l’invio del plico contenente il ricorso in questione, plico di cui la Cancelleria ha attestato il deposito in data 24.7.2020, e quindi entro il prescritto termine di venti giorni a far tempo dalla notifica del ricorso il 6.7.2020.
Con l’unico motivo di ricorso il lavoratore denuncia: ‘Violazione dell’art. 12 delle Disposizioni della legge in generale, e dell’art. 20 della l.r. 23 dicembre 2000, n. 30, in relazione all’art. 2119 c.c. (art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte di Appello ritenuto che la norma citata consentisse al datore di lavoro di sindacare e controllare le modalità di utilizzo dei permessi in questione, e che questi dovessero essere impiegati esclusivamente per attività strettamente collegate allo svolgimento delle riunioni degli organi comunali’.
Tale censura è infondata. In nessun passo della propria decisione, infatti, la Corte di merito ha ‘ritenuto che’ l’art. 20 della Legge regionale Sicilia 23.12.2000, n. 30 (norma di cui il ricorrente segnatamente assume la violazione) ‘consentisse al datore di lavoro di sindacare e controllare le modalità di utilizzo dei permessi in questione’, né che questi permessi ‘dovessero essere impiegati
esclusivamente per attività strettamente collegate allo svolgimento delle riunioni degli organi comunali’, come invece asserito dal ricorrente.
3.1. Contrariamente, invero, a quanto opinato dal ricorrente, la Corte d’appello ha esplicitamente confermato, richiamandole testualmente, le considerazioni sul punto svolte dal primo giudice, secondo il quale i permessi per mandato elettorale, sebbene possano essere utilizzati per forme atipiche di espletamento del mandato amministrativo, richiedono un obiettivo collegamento istituzionale con l’attività dell’ente .
3.2. Nelle sue ulteriori osservazioni la Corte di merito ha tenuto ben presente, come già il giudice di primo grado, che alla fattispecie concreta trovava applicazione in tema di ‘permessi e licenze’ per gli amministratori locali, quale era il COGNOME perché consigliere comunale del Comune di Marsala, l’art. 20 della cit. Legge regionale siciliana , recante ‘Norme sull’ordinamento degli enti locali’ , nel quale non è contemplato, come invece nella disposizione di applicazione nazionale, che ‘l’attività ed i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono ed ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti, devono essere prontamente e puntualmente documentati mediante attestazione dell’ente’.
La stessa Corte, poi, ha in primo luogo focalizzato la ratio di tale disposizione , tenendo conto, oltre che dell’art. 51 Cost., dell’art. 15, comma 1, della stessa legge regionale n. 30/2000, che, sotto la rubrica ‘Disposizioni generali’, recita: ‘La Regione tutela il diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali ad espletare il mandato, disponendo del tempo, dei servizi e delle risorse necessari ed usufruendo di indennità e di rimborsi spese nei modi e nei limiti previsti dalla legge’.
3.3. Ha, tuttavia, osservato che ‘non può sovrapporsi, né tampoco confondersi, l’esistenza o meno di un requisito meramente formale, avente natura di supporto documentale/contabile, con la (sempre) necessaria (ed imprescindibile) riconducibilità al mandato dell’attività svolta dal dipendente (pubblico e/o privato) il quale se, da un lato, usufruisce dei permessi di cui all’art. 20, commi 3 e 4, innescando, così, il meccanismo dei rimborsi (disciplinato dal comma 5) posti a ‘carico dell’ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche’, dall’altro, determina l’onere per la parte datoriale di (ri)organizzare diversamente il proprio agire imprenditoriale in tutte le sue possibili estrinsecazioni’.
3.4. Infine, ha tratto argomento in tal senso dal comma 6 dell’art. 20 cit., a termini del quale: ‘I lavoratori dipendenti di cui al presente articolo hanno diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili qualora risultino necessari per l’espletamento del mandato’, ‘giacché tale disposizione normativa non fa altro che ribadire (esplicitandolo) il principio, ineludibile, che i permessi (anche laddove non retribuiti) devono essere sempre apprezzabilmente correlati all’espletamento del mandato ricevuto’.
Ritiene il Collegio che la linea interpretativa dei giudici di merito, nella quale non s’intravvede alcun contrasto con l’art. 12 delle preleggi, fondata sulla lettera della legge regionale e sulla sua ratio , individuata anche in base a rilievi di ordine sistematico, a loro volta, non privi della considerazione della matrice costituzionale del diritto ai permessi in questione (ex art. 51 Cost.), sia pienamente condivisibile, giacché volta a cogliere il collegamento funzionale tra i permessi e l’esplicazione del mandato. Correttamente, poi, la Corte territoriale non ha annesso rilievo all’assenza nell’apposita normativa della regione Sicilia di disposizione equipollente a quella statale di cui al comma 6 dell’art. 79 d.lgs. n. 267/2000. Invero, quest’ultim o comma, come ben risulta dal suo tenore letterale, contiene soltanto
una previsione, di rilievo probatorio (documentale), su come e quando attività e tempi di espletamento del mandato elettorale debbano essere dimostrati.
Risulta smentita, quindi, la tesi del ricorrente secondo la quale ‘la mancanza nell’ordinamento regionale di una norma analoga a quella di cui al c. 6 dell’art. 79 del D.lgs. 267 del 2000 rivela la volontà del legislatore siciliano di svincolare l’uso dei permessi per l’esercizio di funzioni pubbliche dalla necessità di una puntuale giustificazione. Con la conseguenza che gli aventi diritto -sollevati dall’obbligo di documentare l’attività svolta per l’espletamento della loro carica istituzionale -possono decidere le modalità più idonee all’esercizio del mandato politico’.
Allo stesso modo da disattendere è l’assunto del ricorrente di fondare il diritto ad assentarsi dal lavoro ex comma 4 dell’art. 20 di tale legge regionale esclusivamente sulla qualifica soggettiva ricoperta dagli amministratori locali ivi in dettaglio indicati, tale previsione riguardando, al pari di quella nazionale pressoché speculare, permessi retribuiti, sicché sarebbe privo di qualsivoglia plausibile giustificazione eccettuare soltanto tali permessi aggiuntivi e retribuiti dal dover essere collegati all’espletamento del mandato, laddove anche gli ulteriori permessi non retribuiti disciplinati dal comma 6 dell’art. 20 l. reg. cit. (e dal praticamente identico comma 5 dell’art. 79 d.lgs. n. 267/2000) devono risultare ‘necessari per l’espletamento del mandato’ (si noti, infatti, in ambo le disposizioni l’adozione della voce verbale ‘risultino’ che mette in luce l’esigenza che tali permessi non solo siano necessari in tesi, ma debbano essere dimostrabili come tali, per l’espletamento del mandato).
Al contrario, un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata del comma 4 dell’art. 20 cit. impone di concludere che i permessi retribuiti ivi disciplinati si noti, in eventuale aggiunta ‘ai permessi di cui ai commi precedenti’ (come nel correlativo art. 79,
comma 4, d.lgs. n. 267/2000), ma previsti entro un determinato numero massimo di ore su base mensile (diversamente sul punto da quelli dei permessi retribuiti dei commi precedenti), ossia, i c.d. permessi plafond -, trovino fondamento nell’impegno ulteriore connesso alle particolari cariche rivestite dagli amministratori locali indicati nella norma; impegno che rientra nelle ‘funzioni pubbliche di cui ai commi precedenti’, considerate nel successivo comma 5 dell’art. 20, ai fini della disciplina degli ‘oneri per i permessi retribuiti’ , ivi compresi, perciò, quelli contemplati dal comma 4 precedente.
In base a quanto previsto dal comma 4 dell’art. 20 cit. , in alcun modo era precluso alla datrice di lavoro privata di controllare se la fruizione dei permessi in questione rispondesse alle causali autodichiarate dal lavoratore, secondo la Corte territoriale, genericamente.
Si è già notato in precedenza che anche i giudici del doppio grado di giudizio nel merito sono stati concordi nel ritenere che i c.d. permessi plafond possano essere utilizzati per forme atipiche di espletamento del mandato amministrativo (diverse, cioè, da quelle tipizzate nei primi tre commi dell’art. 20 della legge regionale apposita, e nei correlativi primi tre commi dell’art. 79 d.lgs. n. 267/2000, in relazione a convocazioni, sedute e riunioni dei vari organi).
I medesimi giudici di merito, tuttavia, hanno escluso, mediante accertamento in fatto compiuto ed esaustivo, che l’attuale ricorrente abbia usufruito dei permessi in questione, in forme c.d. atipiche, nell’ambito delle attività che in astratto lo stesso ricorrente profila quali consentite dalla ridetta norma.
Tanto induce al rigetto del ricorso. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannat o al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale de l 28.11.2023.