Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24559 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24559 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10224/2024 R.G. proposto da : MILANO RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in PEC DEL DIFENSORE DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 215/2024 depositata il 26/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con sentenza del 26.2.24 la corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale della stessa sede del 2023, che aveva annullato il licenziamento per giusta causa del 27.4.22 intimato al lavoratore in epigrafe e condannato il datore alla reintegra ed al pagamento di un’indennità dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione, con il versamento della contribuzione come per legge.
In particolare, il lavoratore era stato licenziato per 31 giorni di assenza ingiustificata per non aver documentato correttamente di essersi recato per l’assistenza al fratello per il quale il lavoratore fruiva di permesso ex lege 104/92.
La corte territoriale ha riconosciuto che vi era incompletezza della documentazione, ma ha rilevato che ciò si giustificata in ragione del carattere nuovo della richiesta del datore di giustificare l’assenza (che mai simile richiesta era stata fatta in passato e che era richiesta solo l’8.2.22 per tutto l’anno 2001 e quindi a distanza di diversi mesi) e che comunque il datore non aveva dimostrato l’asserito abuso del lavoratore.
Avverso tale sentenza ricorre il datore per sei motivi, cui resiste il lavoratore con controricorso.
Il Collegio, all’esito della camera di consiglio, si è riservato il termine di giorni sessanta per il deposito del provvedimento.
CONSIDERATO CHE:
Il primo motivo di ricorso deduce violazione dell’articolo 33, comma 3, l.n. 104/92 per violazione dell’obbligo di attestare il raggiungimento del luogo di residenza familiare.
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 112 c.p.c.per mancato accertamento dell’assenza ingiustificata per 31 giorni.
Il terzo motivo deduce violazione dell’articolo 33, comma tre bis, predetto e 2697 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto che l’uso improprio dei permessi era onere del datore di lavoro.
Il quarto motivo deduce violazione degli articoli 1175 e 1375 c.c., per avere la corte territoriale ritenuto la buona fede in funzione estintiva e non integrativa dell’obbligo di giustificare i permessi.
Il quinto motivo deduce violazione dell’art. 115 c.p.c., per non aver considerato l’insufficienza delle prove del lavoratore per giustificare i permessi.
Il sesto motivo deduce violazione dell’articolo 132 e 118 attuazione c.p.c., per motivazione apparente circa la tardività dell’azione disciplinare.
I motivi di ricorso possono essere esaminati insieme per la loro connessione: essi sono infondati.
Occorre premette che l’onere della prova in materia circa l’uso improprio o fraudolento da parte del lavoratore dei permessi cui ha diritto è a carico del datore di lavoro e che, nella specie, tale onere non è stato adempiuto.
Invero, la corte territoriale ha ben rilevato che il datore del lavoro non aveva assolto all’onere della prova della giusta causa del recesso, e che per converso il lavoratore aveva preventivamente chiesto l’autorizzazione e documentato (sia pur parzialmente) i viaggi da Milano a Paola; peraltro, priva di rilievo è la distanza tra le due città (la sede di lavoro ed il luogo dell’assistenza), posto che questa non esclude l’effettività dell’assistenza, peraltro ben
possibile in quanti permessi erano presi sempre in concomitanza di ferie e riposi.
Spese secondo soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
p.q.m.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 4500 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% ed accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2025.