Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 754 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 754 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12486-2023 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE rappresenta e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 905/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/01/2023 R.G.N. 867/2022;
Oggetto
Licenziamento individuale
R.G.N. 12486/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 20/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Con verbale di conciliazione del 28.1.2021 Poste Italiane RAGIONE_SOCIALE, in linea con l’Accordo sindacale dell’8.3.2019, assumeva NOME COGNOME COGNOME (già dipendente della società con contratto a tempo determinato dal 2.11.2009 al 30.1.2010 e svolgente mansioni di recapito quale portalettere junior ) a tempo indeterminato dall’1.2.2021, con contratto part time , per lo svolgimento di operatore di sportello. In pari data veniva sottoscritto il contratto part time al 51,40%, assegnazione al livello di inquadramento ‘D’ con applicazione presso l’Ufficio Postale di Cinisello Balsamo INDIRIZZO e con previsione di un periodo di prova di gg. 183. Il 29.7.2021 il Serreti veniva licenziato per il mancato superamento del periodo di prova.
Impugnato il provvedimento di recesso, il Tribunale di Milano rigettava le domande avanzate dal lavoratore.
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 905/22, respingeva il gravame del Serreti.
I giudici di seconde cure rilevavano che: a) il patto di prova era stato espressamente previsto nella lettera di assunzione, con indicazione di un periodo di giorni 183 in relazione all’art. 19 CCNL, conformemente all’accordo di conciliazione del 28.1.202 1 ove non era prevista alcuna rinuncia su tale punto; b) il patto non era stato illegittimamente posto perché relativo a mansioni diverse da quelle svolte in precedenza dal lavoratore; c) la durata di gg. 77 lavorativi effettivi, calcolati dalla società quale periodo di prova in proporzione al rapporto di lavoro a tempo parziale intercorso tra le parti non era stata contestata dalla difesa del Serreti nella prima udienza; d) calcolando i n. 77 giorni lavorativi in relazione alle giornate di lavoro del Serreti (impiegato il lunedì, mercoledì e venerdì e al netto delle festività) il termine di prova scadeva venerdì 30 luglio 2021 per cui il recesso intimato il 29.7.2021 era tempestivo.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso Poste RAGIONE_SOCIALE
Le parti depositavano memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 4 del RDL n. 1825 del 13.11.1924, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc. Si deduce che l’interpretazione della norma di cui all’art. 19 del CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane spa, che consentirebbe lo sforamento del limite di tre mesi, quale durata massima del periodo di prova, contrasta con la norma di rango primario che prevede appunto quale limite massimo il periodo di tre mesi.
Con il secondo motivo si censura l’errato calcolo della scadenza del periodo di prova. Si obietta che la Corte territoriale, adagiandosi erroneamente alle considerazioni di Poste Italiane spa e ritenendo non contestata la durata dei gg. 77, aveva individuato la scadenza del periodo al 30 luglio 2021 trascurando del tutto la quantità (il 51,4% del full time) di lavoro resa dal ricorrente di talché, protrarre la prestazione per uguale periodo, avrebbe significato arrivare ad una percentuale del 102,8%, con la conseguenza che il periodo di prova, anche se si fosse voluto considerare concluso il 28.7.2021, avrebbe comportato la tardività del recesso intimato il 29 luglio 2021.
Con il terzo motivo si eccepisce l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, costituito dalla circostanza che erano state svolte ore di lavoro straordinarie (45,68) per cui il periodo di prova doveva ritenersi esaurito il 16/17.7.2021.
Il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
E’ inammissibile perché la questione della violazione della norma di rango primario, ad opera della contrattazione collettiva, è
stata posta solo in grado di appello e non è stata analizzata dalla gravata sentenza; parte ricorrente non ha, peraltro, specificato il ‘dove’, il ‘come’ ed il ‘quando’ essa sia stata prospettata anche in primo grado negli esatti termini con cui è stata in questa sede sollevata.
E’, invece, infondata in ogni caso, in quanto non è ravvisabile alcuna violazione del termine di tre mesi, quale durata massima del periodo di prova perché l’art. 19 del CCNL di categoria, come correttamente statuito dalla Corte territoriale, prevede che per il personale assunto a tempo parziale, il periodo di prova che deve essere garantito è pari a quello previsto per il personale a tempo pieno.
E’ logico e consequenziale, quindi, che i giorni lavorativi di prova, per tale categoria di lavoratori, dovranno essere spalmati in un periodo più lungo dei tre mesi, ma ciò non comporta, sicuramente, sotto l’aspetto sostanziale, un maggior periodo di pro va in violazione della disposizione di cui alla legge primaria.
Anche il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
Il numero di 77 giorni lavorativi effettivi, individuato quale periodo di prova in termini percentuali rispetto a quello previsto per i lavoratori a tempo pieno e conteggiati in un arco temporale di 183 giorni (cfr. contratto individuale di lavoro intercorso tra le parti e pacificamente concordato e sottoscritto) è stato ritemuto dalla Corte territoriale processualmente non contestato e tale statuizione non è stata specificamente ed idoneamente criticata.
Quanto, invece, all’asserito superamento della quantità di lavoro resa dall’odierno ricorrente (51,4%) che avrebbe determinato un superamento del periodo di prova arrivando al 102,8% rispetto alla percentuale del 100% di un lavoratore full-time, deve rilev arsi l’errore di impostazione del COGNOME in quanto il calcolo del periodo di prova, per i lavoratori part-time, va effettuato, ai sensi dell’art. 19 del CCNL, in termini di giorni lavorativi e, applicando tale criterio, sono stati calcolati i 77 giorni, avendo riguardo al fatto che il
Serreti lavorava solo il lunedì, mercoledì e venerdì, in un arco temporale di 183 giorni.
Anche il terzo motivo non è meritevole di accoglimento: in primo luogo, perché si verte in una ipotesi di cd. ‘doppia conforme’ che preclude la proposizione di censure veicolate ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc; in secondo luogo, perché, per quanto sopra detto, in occasione dello scrutinio del secondo motivo, il calcolo del periodo di prova andava effettuato in termini di giorni lavorativi e non di ore lavorate in relazione alle quali sarebbero potuto venire in rilievo le ore di straordinario effettuate.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 novembre 2024