Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26753 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 26753 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/10/2025
SENTENZA
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/06/2025
PU
sul ricorso 22708-2019 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 247/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 21/03/2019 R.G.N. 512/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/06/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Firenze, in riforma della decisione di prime cure, ha rigettato la domanda volta a sentir dichiarare irripetibile la somma pretesa dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE a titolo di restituzione della perequazione della pensione di vecchiaia non spettante in quanto, nel determinare l’importo del trattamento pensionistico complessivo, al fine di stabilire la sussistenza e l’eventuale misura della perequazione applicabile, ai sensi dell’art 24 L.n.214 del 2011, modificato dal d.l. n.65 del 2015, non era stato considerato l’importo percepito a titolo di assegno vitalizio derivante da carica elettiva, quale componente del Parlamento della Repubblica.
La Corte di merito, investita della retroattività o meno della disposizione di cui all’art. 1, comma 2, del d.l.n. 65 del 2015, ha ritenuto gli assegni vitalizi nel novero dei redditi componenti il trattamento complessivo del beneficiario al quale applicare il meccanismo di rivalutazione delle pensioni, alla stregua del sistema delineato dal citato decreto-legge e in linea con la garanzia di assicurare la solidarietà intergenerazionale.
COGNOME NOME ricorre, con ricorso affidato ad un motivo, ulteriormente illustrato con memoria, con il quale argomenta nel senso della portata non retroattiva della disposizione e della violazione del principio dell’affidamento e della certezza del diritto accedendo all’opzione interpretativa fatta propria dalla Corte di merito; resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il AVV_NOTAIO generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
Con il motivo di ricorso il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2,
legge n.109 del 2015 in relazione all’art. 11 disposizione sulla legge in generale e all’art. 3 Cost.
Assume che il secondo comma dell’art. 1 della legge n.109 cit. non può ritenersi norma retroattiva, pur in armonia con gli scopi d’innovare il complesso assetto normativo della perequazione automatica sui trattamenti pensionistici, in attuazione dei principi espressi da Corte cost. n.70 del 2015, salvaguardando sia l’equilibrio di bilancio che gli obiettivi di finanza pubblica e assicurando una tutela ai percettori di trattamenti pensionistici che tenesse conto anche del principio di solidarietà intergenerazionale.
Rimarca che, nel calcolo dell’ammontare del trattamento pensionistico agli effetti della perequazione, il computo dei vitalizi percepiti a seguito di cariche elettive trova fondamento nella disposizione aggiunta per perseguire gli obiettivi dianzi detti, mai prevista prima dalla normativa specifica, sicché, se ritenuta retroattiva, da un lato, intacca diritti quesiti, dall’altro, viola il principio del legittimo affidamento, senza che un’interpretazione letterale consenta tale esito.
Ribadisce che la retroattività della norma nemmeno può predicarsi per effetto di un’interpretazione sistematica, atteso che la disciplina si ricollega ai principi espressi da Corte cost. n.70 del 2015 ove la tematica dell’estensione ad altri redditi, diver si dalla pensione, non viene presa in alcuna considerazione, ed essendo limitato il vaglio della Corte all’ammontare dell’importo dei trattamenti pensionistici in senso stretto.
In definitiva, per il ricorrente, la nuova disposizione pur collocandosi nel solco di una regolamentazione più
razionale ed equa della disciplina della perequazione automatica, non può, per ciò solo, ritenersi implicitamente retroattiva, nemmeno sotto l’aspetto della sua collocazione tra il primo e il terzo comma dell’art. 1 L.n.109 cit. che si occupa del pagamento degli arretrati dovuti ai pensionati per effetto della nuova disciplina del computo della perequazione.
Il ricorso non è fondato.
Giova premettere che la perequazione automatica, quale strumento di adeguamento delle pensioni al mutato potere di acquisto della moneta, fu disciplinata dalla legge 21 luglio 1965, n. 903, all’art. 10, con la finalità di fronteggiare la svalutazione che le prestazioni previdenziali subiscono per il loro carattere continuativo.
Per perseguire un tale obiettivo, nelle mutevoli fasi economiche, la disciplina in questione ha subito numerose modificazioni.
Con l’art.19 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale), nel prevedere, in via generalizzata, l’adeguamento dell’importo delle pensioni nel regime dell’assicurazione obbligatoria, si scelse di agganciare in misura percentuale gli aumenti delle pensioni all’indice del costo della vita calcolato dall’ISTAT, ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell’industria.
Con l’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, recante «Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421», oltre alla cadenza annuale, e non più semestrale degli aumenti a titolo di
perequazione automatica, si stabilì che gli stessi fossero calcolati sul valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Tale modifica mirava a compensare l’eliminazione dell’aggancio alle dinamiche salariali, al fine di garantire un collegamento con l’evoluzione del livello medio del tenore di vita nazionale. L’art. 11, comma 2, previde, inoltre, che ulteriori aumenti potessero essere stabiliti con legge finanziaria, in relazione all’andamento dell’economia.
Il meccanismo di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici governato dall’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) si prefigge di tutelare i trattamenti pensionistici dalla erosione del potere di acquisto della moneta, che tende a colpire le prestazioni previdenziali anche in assenza d’inflazione.
Con effetto dal 1° gennaio 1999, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni si applica per ogni singolo beneficiario in funzione dell’importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. L’aumento della rivalutazione automatica opera, ai sensi del comma 1 dell’art. 34 cit., in misura proporzionale all’ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all’ammontare complessivo.
Tuttavia, l’art 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), con riferimento al meccanismo appena illustrato di aumento della perequazione automatica, prevede che esso spetti, per intero, soltanto per le fasce d’importo dei trattamenti
pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE. Spetta nella misura del 90 per cento per le fasce d’importo da tre a cinque volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE ed è ridotto al 75 per cento per i trattamenti eccedenti il quintuplo del predetto importo minimo.
Questa impostazione è stata seguita dal legislatore in successivi interventi, a conferma di un orientamento che predilige la tutela delle fasce più deboli (ad esempio, l’art. 5, comma 6, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 127, ha previsto, per il triennio 2008-2010, una perequazione al 100 per cento per le fasce d’importo tra tre e cinque volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE).
In conclusione, la disciplina generale che si ricava dal complesso quadro storico-evolutivo della materia, prevede che soltanto le fasce più basse siano integralmente tutelate dall’erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche o, in generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni.
Le sospensioni del meccanismo perequativo, affidate a scelte discrezionali del legislatore, hanno seguito, nel corso degli anni, orientamenti diversi, nel tentativo di bilanciare le attese dei pensionati con variabili esigenze di contenimento della spesa.
L’art. 2 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali) previde che, in attesa della legge di riforma del sistema pensionistico e, comunque, fino al 31 dicembre 1993, fosse sospesa l’applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento o di accordi collettivi, che introducesse aumenti a titolo di perequazione
automatica delle pensioni previdenziali ed assistenziali, pubbliche e private, ivi compresi i trattamenti integrativi a carico degli enti del settore pubblico allargato, nonché aumenti a titolo di rivalutazione delle rendite a carico dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE. In sede di conversione di tale decreto, tuttavia, con l’art. 2, comma 1-bis, della legge 14 novembre 1992, n. 438 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, recante misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), si provvide a mitigare gli effetti della disposizione, che dunque operò non come provvedimento di blocco della perequazione, bensì quale misura di contenimento della rivalutazione, alla stregua di percentuali predefinite, dal legislatore, in riferimento al tasso d’inflazione programmata.
In seguito, l’art. 11, comma 5, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), provvide a restituire, mediante un aumento una tantum disposto per il 1994, la differenza tra inflazione programmata ed inflazione reale, perduta per effetto della disposizione di cui all’art. 2 della legge n. 438 del 1992. Conseguentemente, il blocco, originariamente previsto in via generale e senza distinzioni reddituali dal legislatore del 1992, fu convertito in una forma, meno gravosa, di raffreddamento parziale della dinamica perequativa.
Dopo l’entrata in vigore del sistema contributivo, il legislatore (art. 59, comma 13 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica») ha imposto un azzeramento della perequazione automatica, per l’anno 1998. Tale norma, ritenuta legittima da Corte cost. n. 256 del
2001, ha limitato il proprio campo di applicazione ai soli trattamenti d’importo medio – alto, superiori a cinque volte il trattamento minimo.
Il blocco, introdotto dall’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, trova un precedente nell’art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale) che, tuttavia, aveva limitato l’azzeramento temporaneo della rivalutazione ai trattamenti particolarmente elevati, superiori a otto volte il trattamento minimo RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
Si trattava – come si evince dalla relazione tecnica al disegno di legge (approvato dal Consiglio dei ministri il 13 ottobre 2007) -di una misura finalizzata a concorrere solidaristicamente al finanziamento di interventi sulle pensioni di anzianità, a seguito dell’innalzamento della soglia di accesso al trattamento pensionistico (il cosiddetto ‘scalone’) introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2008, dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria).
L’azzeramento della perequazione, disposto per effetto dell’art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007 cit., è stato sottoposto allo scrutinio di Corte cost. n. 316 del 2010 che ha posto in evidenza la discrezionalità di cui gode il legislatore, sia pure nell’osservare il principio costituzionale di proporzionalità e adeguatezza delle
pensioni, e ha reputato non illegittimo l’azzeramento, per il solo anno 2008, dei trattamenti pensionistici d’importo elevato (superiore ad otto volte il trattamento minimo RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE).
Corte cost. n.316 cit. ha indirizzato un monito al legislatore, fondato sul rilievo per cui la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, entrerebbero in collisione con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità. Si afferma, infatti, che « le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta».
L’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, anch’esso oggetto di sindacato di legittimità costituzionale, si colloca nell’ambito delle ‘Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici’ (manovra denominata ‘salva Italia’) e stabilisce che «In considerazione della contingente situazione finanziaria», la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, in base al già citato meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici d’importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE, nella misura del cento per cento.
29.
Tale meccanismo si discostava da quello originariamente previsto dall’art. 24, comma 4, della legge 28 febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 1986) e confermato dall’art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503
(Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che non discriminava tra trattamenti pensionistici complessivamente intesi, bensì tra fasce d’importo.
Secondo la normativa antecedente, infatti, la percentuale di aumento si applicava sull’importo non eccedente il doppio del trattamento minimo del fondo pensioni per i lavoratori dipendenti. Per le fasce d’importo comprese fra il doppio ed il triplo del trattamento minimo la percentuale era ridotta al 90 per cento. Per le fasce d’importo superiore al triplo del trattamento minimo la percentuale era ridotta al 75 per cento.
Come rimarcato da Corte cost n. 70 del 2015, le modalità di funzionamento rispetto al meccanismo antecedente sono ideate per incidere sui trattamenti complessivamente intesi e non sulle fasce d’importo. Esse trovano un unico correttivo nella previsione secondo cui, per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante, l’aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.
L’art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilità per l’anno 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge di stabilità») ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell’applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, come rimarcato da Corte cost n. 70 cit., secondo il
meccanismo di cui all’art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l’azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE e per il solo anno 2014. Rispetto al disegno di legge originario le percentuali sono state, peraltro, parzialmente modificate.
Dall’analisi dell’evoluzione normativa in subiecta materia, si evince che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici è uno strumento di natura tecnica, volto a garantire, nel tempo, il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurisprudenza del Giudice delle leggi, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, Corte cost. n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013).
Per le sue caratteristiche di neutralità e obiettività e per la sua strumentalità rispetto all’attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione s’impone, senza predefinirne le modalità, sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare, in concreto, il quantum di tutela di volta in volta necessario. Un tale intervento deve ispirarsi ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalità che perseguono.
Con la citata sentenza n. 70 la Corte costituzionale ha ritenuto inascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010.
Il Legislatore, «al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale», è intervenuto con il d.l. 21 maggio 2015 n. 65 disponendo all’art. 1, comma 1, n. 1), la sostituzione del comma 25 del d.l. n. 201 cit. e così prevedendo che per gli anni 2012/2013 la rivalutazione dei trattamenti pensionistici di importo non superiore a sei volte il trattamento minimo, nella misura del 100% – come già disposto dal comma 25 originario – per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE; dei trattamenti pensionistici pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE nella misura del 40 per cento; dei trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nella misura del 20 per cento; dei trattamenti pensionistici pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo nella misura del 10 per cento; e di nessuna rivalutazione per i trattamenti pensionistici di importo superiore a sei volte il trattamento minimo.
Con l’art. 1, comma 1, n. 2), del d.l. n. 65 cit. il Legislatore ha aggiunto, dopo il comma 25 come riformulato, il comma 25bis del seguente tenore «la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo
complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE è riconosciuta: a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento; b) a decorrere dall’anno 2016 nella misura del 50 per cento».
Con l’art. 1, comma 2, del d.l. n. 65 il Legislatore ha, poi, precisato che «le disposizioni di cui al presente articolo l’art. 25, che ha disposto in ordine alla rivalutazione dei trattamenti pensionistici a decorrere dal 2012/2013 in avanti – si riferiscono a ogni singolo beneficiario in funzione dell’importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici in godimento, inclusi gli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi».
Con l’art. 1 della legge n. 109 del 2015, in sede di conversione del d.l. n. 65, il Legislatore ha poi riformulato il predetto comma 2 dell’art. 1 del d.l. 65 nei termini che seguono: «all’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Ai fini dell’applicazione del meccanismo di rivalutazione si tiene conto altresì dell’importo degli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi».
Il testo originario del decreto-legge recitava: «Le disposizioni di cui al presente articolo si riferiscono a ogni singolo beneficiario in funzione dell’importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici in godimento, inclusi gli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi».
La considerazione che il testo originario dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 65 abbia «riferito» l’inclusione dell’importo degli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi nel trattamento pensionistico complessivo a tutte le sue disposizioni – quindi anche a quelle che determinano le percentuali di rivalutazione anche per i
trattamenti pensionistici dal 2012/2013 (art. 1, comma 1, n. 1 e 2) -orienta l’interprete nel ritenere che a tale previsione il Legislatore abbia inteso assegnare effetto retroattivo.
Né una diversa volontà può desumersi dalla riformulazione del comma 2 dell’art. 25 del d.l. n. 65 cit. operata dalla legge n. 109 cit., finalizzata a generalizzare la portata del principio d’inclusione degli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi, tramite il suo inserimento nell’art. 34, comma 1, della legge 448 cit.
Se ne ricava ulteriore conferma, come rilevato anche dalla Corte di merito, dalla circostanza che il successivo comma 25, n. 3 dell’art. 24 del d.l.n. 201 del 2011 come modificato dall’art. 1 del d.l. n. 65 cit., disponendo che «le somme arretrate dovute ai sensi del presente articolo sono corrisposte con effetto dal 1° agosto 2015», importa di tenere conto della previsione inserita nell’art. 34 dal precedente comma 2 dello stesso articolo, anche ai fini della rivalutazione dei trattamenti pensionistici a decorrere dal 2012/2013.
Come ulteriormente affermato da Corte cost. n. 250/2017, nell’intento dichiarato di dare attuazione alla sentenza di questa Corte n. 70 del 2015, il legislatore ha operato un nuovo bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti nella materia.
L’art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015 ha, infatti, introdotto una nuova disciplina della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici relativa agli anni 2012 e 2013, diversa da quella dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 70 del 2015, poiché riconosce la perequazione, in misura percentuale decrescente, anche ai trattamenti pensionistici – in precedenza
esclusi dalla stessa – compresi tra quelli superiori a tre volte il trattamento minimo RAGIONE_SOCIALE e quelli fino a sei volte lo stesso trattamento.
Inoltre, il comma 25-bis, inserito dall’art. 1, comma 1, numero 2), del d.l. n. 65 del 2015, regola il cosiddetto “trascinamento”, ossia il computo degli incrementi perequativi, reintrodotti dal comma 25 per gli anni 2012 e 2013, ai fini della determinazione della base di calcolo per la rivalutazione automatica per gli anni successivi.
Non vi è dunque una «mera riproduzione» (Corte cost. n. 73 del 2013 e n. 245 del 2012) della normativa dichiarata incostituzionale, né la realizzazione, «anche se indirettamente, esiti corrispondenti» (Corte cost. sentenze n. 5 del 2017, n. 73 del 2013, n. 245 del 2012, n. 922 del 1988, n. 223 del 1983, n. 88 del 1966).
Al rilievo per cui le disposizioni denunciate presentano, al contrario, «significative novità normative» rispetto al precedente regime, Corte cost. n. 250 cit., rispondendo alle obiezioni dei numerosi giudici rimettenti, ha messo in luce che la disciplina dettata dal legislatore dev’essere considerata nella sua interezza, perché costituisce un complessivo – ancorché temporaneo nuovo disegno della perequazione dei trattamenti pensionistici.
Ancora, nei termini che seguono, Corte cost. n.250 cit.: «La sentenza n. 70 del 2015 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, «nei termini esposti», del primo periodo del previgente comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, in ragione del fatto che, con tale disposizione, il legislatore aveva fatto cattivo uso della discrezionalità a esso spettante (punto 8 del Considerato in diritto),
poiché nel bilanciare l’interesse dei pensionati alla conservazione del potere d’acquisto dei propri trattamenti pensionistici con le esigenze finanziarie dello Stato, pure meritevoli di tutela, aveva irragionevolmente sacrificato il primo, «in particolar modo, titolari di trattamenti previdenziali modesti», in nome di esigenze finanziarie neppure illustrate (punto 10 del Considerato in diritto).
Tale sentenza demandava al legislatore un intervento che, emendando questi vizi, operasse un nuovo bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, nel rispetto dei «limiti di ragionevolezza e proporzionalità», senza che alcuno di essi risultasse «irragionevolmente sacrificato».
L’art. 1, comma 1, del d.l. n. 65 del 2015 -dichiaratamente adottato «Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza n. 70 del 2015» ha introdotto una nuova non irragionevole modulazione del meccanismo che sorregge la perequazione, la cui portata è stata ridefinita compatibilmente con le risorse disponibili» (Corte cost. n.250 cit.)
La nuova disciplina, come riaffermato dal Giudice delle leggi, nell’accogliere la sollecitazione dell’organo costituzionale, non poteva nel caso in questione che produrre effetti retroattivi, purché circoscritti – come in effetti è stato – all’arco temporale relativo agli anni 2012 e 2013 cui faceva riferimento la disposizione annullata.
Va pertanto riaffermato, con Corte cost. n.250 cit., che un tale effetto retroattivo è dunque coerente con la finalità di una misura legislativa che, in attuazione della sentenza di questa Corte, si prefiggeva di sostituire per il biennio 2012-2013 -la disciplina della
perequazione, secondo diverse modalità, espressive di un nuovo bilanciamento degli interessi costituzionali coinvolti, rispettoso dei «limiti di ragionevolezza e proporzionalità» (per un intervento legislativo retroattivo conseguente a una declaratoria di illegittimità costituzionale, sentenza n. 87 del 2017).
L’obiettivo di contenimento dei Conti pubblici poteva, invero, essere ottenuto solo con un intervento di portata retroattiva, come indicato dalla Corte costituzionale.
Ancora Corte cost. n. 250 cit. ha escluso che, in capo ai titolari di trattamenti pensionistici, si fosse determinato un affidamento nell’applicazione della disciplina immediatamente risultante dalla sentenza n. 70 del 2015: quest’ultima rendeva prevedibile un intervento del legislatore che, nell’esercizio della sua discrezionalità, disciplinasse nuovamente la perequazione relativa agli anni 2012 e 2013 sulla base di un bilanciamento di tutti gli interessi costituzionali coinvolti, in particolare di quelli della finanza pubblica.
Né un affidamento avrebbe potuto determinarsi, come già affermato da Corte cost. n. 250 cit., data l’immediatezza dell’intervento operato dal legislatore, tenuto conto che il d.l. n. 65 del 2015 è entrato in vigore il 21 maggio 2015, a distanza di soli ventuno giorni dal deposito, il 30 aprile 2015, della sentenza n. 70 del 2015.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, una situazione giuridica, per dar luogo a un affidamento, deve risultare, oltre che «sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento», anche
«protratta per un periodo sufficientemente lungo» (sentenza n. 56 del 2015).
Infine, l’effetto di “trascinamento” proprio delle misure di blocco della perequazione non ne muta la natura di misure di mero risparmio di spesa e non di decurtazione del patrimonio del soggetto passivo.
Escludere l’efficacia retroattiva dell’inclusione, tra i redditi rilevanti, degli assegni vitalizi paleserebbe profili di irragionevolezza in un contesto nel quale, con effetti retroattivi, è stato attuato il riordino della rivalutazione dei trattamenti pensionistici.
In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: «in tema di rivalutazione automatica delle pensioni, secondo il meccanismo regolato dal legislatore del 2015, il decreto-legge n. 65 del 2015 come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109 del 2015, ha complessivamente regolato la materia della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici a decorrere dal 2012 in applicazione dei principi affermati da Corte cost. nn.70 del 2015 e 250 del 2017 ritenendo l’articolo 1, anche nel co mma 1, n. 2 del decreto-leggen.65 del 2015 immune da profili di costituzionalità sotto il profilo sia della retroattività della novella, sia della lesione di un asserito affidamento dei pensionati nell’applicazione della normativa precedente al decreto-legge n.201 del 2011. L’applicazione del meccanismo di rivalutazione, con effetto dal 2012, comporta anche che il complessivo trattamento pensionistico, assunto dalla legge a parametro per determinare in quale scaglione rientri il pensionato, va determinato includendo, come stabilito dal legislatore del 2015, anche gli assegni vitalizi.
In definitiva, la sentenza impugnata che si è conformato al principio dianzi enunciato è immune da censure.
La peculiare novità della questione trattata consiglia la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; spese compensate. Ai sensi dell’art.13,co.1 -quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 giugno 2025
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente
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