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Pensione reversibilità: i limiti di cumulo con altri redditi

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15453/2024, ha stabilito che i trattamenti integrativi erogati da un ente religioso al coniuge superstite di un ministro di culto devono essere considerati reddito e, come tali, sono soggetti ai limiti di cumulo con la pensione di reversibilità erogata dall’ente previdenziale. La Corte ha chiarito che, non rientrando nel sistema dell’assicurazione obbligatoria statale, tali somme concorrono alla determinazione del reddito rilevante per l’applicazione delle riduzioni previste dalla legge.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Pensione reversibilità: i limiti di cumulo con redditi da enti privati

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per molti beneficiari di pensione reversibilità: quali redditi devono essere considerati ai fini dei limiti di cumulo previsti dalla legge? La sentenza chiarisce che anche le somme integrative, erogate da enti privati come le confessioni religiose, rientrano nel calcolo del reddito, con importanti conseguenze per l’importo della prestazione previdenziale.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato ha origine dalla richiesta di un ente previdenziale di recuperare somme che riteneva indebitamente versate alla vedova di un ministro di culto di una confessione religiosa acattolica. La signora, oltre alla pensione di reversibilità erogata dall’ente, percepiva anche un trattamento integrativo dalla confessione religiosa del defunto marito, in base a un regolamento interno dell’ente stesso.

Nei primi due gradi di giudizio, i tribunali avevano dato ragione alla vedova, sostenendo che le somme ricevute dall’organizzazione religiosa avessero natura previdenziale e, pertanto, non dovessero essere considerate come reddito ai fini del cumulo. Di conseguenza, secondo i giudici di merito, tali somme non potevano ridurre l’importo della pensione di reversibilità.

La Decisione della Cassazione sulla pensione reversibilità

L’ente previdenziale ha impugnato la decisione della Corte d’Appello, portando la questione davanti alla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha ribaltato il verdetto precedente, accogliendo il ricorso dell’ente. I giudici di legittimità hanno stabilito un principio di diritto fondamentale: i trattamenti integrativi erogati da enti non statali, basati su normative interne e non rientranti nel sistema dell’assicurazione obbligatoria (come il regime AGO o altri regimi sostitutivi ed esclusivi), devono essere considerati a tutti gli effetti come reddito.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su una rigorosa interpretazione della normativa di riferimento, in particolare l’art. 1, comma 41, della legge n. 335/1995. Secondo tale norma, i limiti di cumulo si applicano confrontando la pensione reversibilità con gli altri redditi del beneficiario. La nozione di ‘trattamento pensionistico’ che la legge intende escludere da questo calcolo è limitata a quelli erogati all’interno dei regimi pensionistici obbligatori gestiti dallo Stato.

Le prestazioni erogate dall’ente religioso, pur avendo una finalità assimilabile a quella previdenziale, trovano la loro fonte in un atto normativo non statale. Di conseguenza, non possono essere equiparate a una pensione del sistema pubblico. La Corte ha inoltre sottolineato che tali somme sono soggette a tassazione ai sensi del d.P.R. n. 917/86 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), il che ne conferma la natura di ‘reddito’.

Essendo qualificate come reddito, queste prestazioni concorrono a formare il reddito complessivo del beneficiario e devono essere considerate nel calcolo dei limiti di cumulo con la pensione ai superstiti. Pertanto, l’ente previdenziale ha il diritto di applicare le relative riduzioni all’assegno pensionistico.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza stabilisce un criterio chiaro: la natura ‘previdenziale’ o ‘pensionistica’ di una prestazione erogata da un soggetto privato è irrilevante ai fini della disciplina del cumulo. Ciò che conta è se tale prestazione rientri o meno nel sistema di assicurazione obbligatoria statale. Se non vi rientra ed è fiscalmente imponibile, essa è considerata reddito e incide sull’importo della pensione di reversibilità.

Questa decisione ha implicazioni significative per tutti i percettori di pensioni ai superstiti che ricevono anche altre forme di sostegno economico da fondi privati, casse professionali non obbligatorie, o altri enti non statali. Sarà necessario valutare attentamente la natura di tali entrate per determinare correttamente l’importo della pensione spettante ed evitare future richieste di restituzione da parte degli istituti previdenziali.

Le somme integrative erogate da un ente religioso al coniuge superstite di un suo ministro di culto sono considerate reddito ai fini del cumulo con la pensione di reversibilità?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che tali somme, non rientrando nei regimi pensionistici obbligatori statali e essendo soggette a tassazione, vanno considerate reddito e concorrono ai limiti di cumulo.

Perché tali somme sono considerate reddito e non un trattamento pensionistico escluso dal cumulo?
Perché la legge considera ‘trattamento pensionistico’ ai fini dell’esclusione dal cumulo solo quello erogato all’interno del regime AGO o di regimi sostitutivi ed esclusivi. Le prestazioni basate su normative di enti privati, come una confessione religiosa, non rientrano in questa categoria.

Qual è stato l’esito finale della causa decisa dalla Cassazione?
La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello, accogliendo il ricorso dell’ente previdenziale. Ha rinviato la causa a una diversa sezione della Corte d’Appello per ricalcolare i limiti di cumulo applicando il principio stabilito e per decidere sulle spese legali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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