SENTENZA TRIBUNALE DI ROMA N. 9143 2025 – N. R.G. 00018173 2024 DEPOSITO MINUTA 22 09 2025 PUBBLICAZIONE 22 09 2025
REPUBBLICA ITALIANA I N NOME DEL POPOLO ITALIANO
nella causa iscritta al n . 18173 R.G. dell’anno 2024 all’udienza del 22.9.2025 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
TRA
, elettivamente domiciliata in Roma (RM), INDIRIZZO presso lo studio degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che la rappresentano e difendono giusta procura in atti
RICORRENTE
E
in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore Dr. Arch. , elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura generale alle liti per atto pubblico a rogito Notaio di Roma Rep.29430 Racc.18054 del 22 luglio 2020
CONVENUTA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato telematicamente il 10.5.2024 e successivamente iscritto a ruolo la parte ricorrente in epigrafe nominata esponeva: che, dopo essersi laureata ed aver superato l’esame di abilitazione, la ricorrente si è iscritta all’Albo degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma dal 20.7.1989; che a decorrere dall’apertura della partita IVA e dall’iscrizione all’Albo professionale, la ricorrente, essendo in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente e svolgendo attività professionale, si è iscritta anche ad , da cui si è cancellata dopo aver maturato il diritto a pensione; che, al momento dell’iscrizione della ricorrente ad , la disciplina del rapporto previdenziale prevedeva espressamente che la pensione di vecchiaia non potesse essere ‘ inferiore a otto volte il contributo soggettivo minimo in vigore alla data dalla quale decorre la pensione’ (art. 2, L. n. 6/1981, come modificata dalla L. n. 290/1990); che per effetto del D.Lgs. 30.6.1994, n. 509 e s.m.i., è stata trasformata in Ente associativo senza scopo di lucro che esplica attività di interesse pubblico con personalità di Diritto privato, ex art. 12, ss. c.c.. e dotata, di conseguenza, di poteri di autonormazione in riferimento alla
disciplina del rapporto giuridico contributivo e di quello previdenziale, che la provvede a regolamentare mediante apposite Delibere; che il regime previdenziale di è stato disciplinato da un apposito Statuto, approvato dal Comitato Nazionale dei Delegati e dai Ministeri Vigilanti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 296 del 20/12/1995, il quale, a partire dalla sua entrata in vigore (1996) e sino alla Riforma del 2012 ha provveduto a disciplinare il regime delle prestazioni previdenziali erogate da ; che il suddetto Statuto, all’art. 25, ha garantito, in armonia con la disciplina previgente, il diritto all’integrazione al minimo della pensione; che la disciplina emanata da ha continuato a prevedere che i professionisti la cui pensione, maturata dopo il numero di anni di iscrizione previsto da stessa, non raggiungesse un importo ritenuto adeguato, avrebbero goduto di una integrazione al minimo della pensione stessa, la quale non avrebbe potuto essere inferiore ad un determinato importo (pari a 8 volte l’importo del contributo soggettivo minimo vigente al momento del pensionamento); che dalla suindicata normativa emerge che non era posta alcuna limitazione al diritto di godere del trattamento pensionistico minimo, il quale era garantito, in ogni caso, a chiunque avesse maturato i requisiti necessari ai fini dell’erogazione della pensione, ma che non avesse raggiunto un importo adeguato ai sensi dell’art. 38 Cost.; che la ricorrente sempre provveduto a versare ad la contribuzione, soggettiva ed integrativa, dovuta all’Ente; che sia la contribuzione soggettiva che la contribuzione integrativa sono dovute da tutti gli iscritti ad in un importo minimo, a prescindere dal quantum del reddito prodotto, al fine di consentire il finanziamento di prestazioni minime adeguate ex art. 38, Cost.; che la ricorrente, nello svolgimento del proprio rapporto previdenziale, ha sempre legittimamente confidato (stante la normativa contenuta nella L. n. 6/1981, come modificata dalla L. n. 290/1990, nonché nello Statuto ratione temporis vigente ) nella facoltà di beneficiare dell’istituto della pensione minima, senza alcuna limitazione od eccezione, una volta compiuta l’età pensionabile; che ha completamente modificato la normativa del proprio regime previdenziale, che, a decorrere dal 2013, è stato disciplinato, oltre che dalla normativa di legge, dal nuovo Statuto e dal Nuovo Regolamento Generale Previdenza; che l’art. 28, comma 5, NRGP, ‘ ferma restando la normativa previgente ‘, ha previsto che l’adeguamento alla pensione minima non spetta ‘ al pensionato il cui valore dell’indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare (ISEE), di cui al d.lgs. n. 109/1998 e s.m.i., con riferimento all’anno precedente il pensionamento, sia superiore a euro 30.000,00 ‘, oggi rivalutato ad Euro 32.950,00; che la ricorrente ha reddito ISEE leggermente superiore in ragione della parziale proprietà di un immobile ricevuto in eredità; che, maturati tutti i requisiti previsti l’Arch. in data 6.3.2023, ha presentato domanda di pensione di vecchiaia attraverso il modulo predisposto dalla che con provvedimento del 20.5.2023 ha liquidato la pensione alla ricorrente, comunicandole che la stessa avrebbe avuto decorrenza dal 1°.5.2023 e che l’importo sarebbe stato pari a soli Euro 4.888,80 lordi annui, corrispondenti ad Euro 376,06 lordi mensili; che tale importo non consente alla ricorrente di assolvere adeguatamente alle sue esigenze di vita e costituisce una lesione della dignità della ricorrente stessa, la quale, nel corso del proprio rapporto previdenziale, ha sempre versato ad la contribuzione da quest’ultima indicata e maturato i requisiti pensionistici previsti e garantiti dalla che la ricorrente, tramite i propri difensori, in data 30.8.2023 ha proposto ricorso in via amministrativa, respinto da il 22.11.2023.
Esposto il quadro normativo di riferimento, la giurisprudenza in materia ed alcune considerazioni in diritto circa il diritto della ricorrente al riconoscimento della pensione minima di cui all’art. 28 e alla tabella ‘O’ allegata al Nuovo Regolamento Generale di Previdenza 2012, nonché circa l’illegittimità della normativa di Inarcassa ostativa al riconoscimento del diritto all’integrazione al minimo per violazione dei presupposti di cui all’art. 3 comma 12 L. 335/1995 (violazione del principio pro rata temporis, violazione del principio di gradualità, violazione del principio di equità intergenerazionale), la violazione degli artt. 2 e 38 Cost., 1175 e 1375 cc e del principio di ragionevolezza, la parte ricorrente concludeva chiedendo di volere :’ a) in via principale, per i motivi di cui in narrativa, previa dichiarazione di illegittimità della normativa di Inarcassa di cui in narrativa ostativa al riconoscimento del diritto della ricorrente all’integrazione al minimo della pensione (sino al raggiungimento dell’importo della pensione minima di cui alla ‘tabella O’ allegata al Nuovo Regolamento Generale Previdenza 2012), e previa disapplicazione della stessa nel caso di specie, accertare e dichiarare il diritto della ricorrente al riconoscimento della pensione di vecchiaia unificata con integrazione dell’importo sino a quello minimo indicato nella ‘tabella O’ allegata al Nuovo Regolamento Generale Previdenza, con decorrenza dal 1°.5.2023 (data di decorrenza del trattamento pensionistico in corso di erogazione), o da altra data, anteriore o successiva, che dovesse essere ritenuta di giustizia; b) per l’effetto, condannare al riconoscimento ed alla riliquidazione di detto trattamento pensionistico, con decorrenza dal 1°.5.2023 (o da altra data, anteriore o successiva, che dovesse essere ritenuta di giustizia) ed a corrispondere alla ricorrente le differenze sui ratei di pensione erogati maturate dalla suddetta data (o da altra data che dovesse essere ritenuta di giustizia), maggiorate da interessi legali; c) con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio’.
RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio depositando memoria difensiva ed allegato fascicolo chiedendo, esposte alcune considerazioni in fatto e in diritto circa, tra l’altro, la disciplina regolamentare della integrazione al minimo, i principi e norme alla base dell’art.28.5 del Regolamento, il principio del pro rata ex art.3 comma 12 Legge n.335/1995, l’autonomia regolamentare degli Enti di previdenza privati/privatizzati, la giurisprudenza di legittimità in materia, il principio di affidamento e di gradualità, concludeva chiedendo di volere ‘ rigettare il ricorso proposto dall’Arch.
infondato per ciascuno dei motivi sopra esposti. Con vittoria di spese e compensi da liquidare ai sensi del D.M. 55/2014, oltre rimborso spese generali 15%, IVA e CPA’.
Istruito documentalmente il procedimento veniva rinviato per la decisione, concesso termine per note. All’odierna udienza il Giudice, dopo la discussione, decideva la causa ex art. 429 cpc con sentenza contestuale.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Nel caso di specie è pacifico tra le parti che:
-la ricorrente dal 20.7.1989 si è iscritta all’Albo degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Roma e provincia ed ha versato la contribuzione dovuta ad dalla data dell’apertura della partita IVA in poi;
-la ricorrente, maturata l’età pensionabile secondo i nuovi requisiti anagrafici introdotti dall’art. 20, punto 1, del Nuovo Regolamento Generale di Previdenza entrato in vigore l’1/1/2013, in data 6.3.2023 ha presentato domanda di pensione di vecchiaia, poi effettivamente liquidatale a decorrere dal 1.5.2023 nell’importo annuo di € 4.888,80 lordi, corrispondenti ad € 376,06 lordi mensili, senza alcuna integrazione al trattamento minimo;
-l’ente previdenziale ha giustificato il diniego dell’integrazione al trattamento minimo sulla base del disposto dell’art. 28, comma 5 NRGP, che esclude da detto beneficio i pensionati, come la ricorrente, il cui ISEE è superiore a € 30.000,00;
-prima dell’1/1/2013, ossia prima dell’entrata in vigore dell’art. 28, comma 5 NRGP, l’integrazione al trattamento minimo spettava a tutti quei pensionati la cui prestazione era « inferiore a otto volte il contributo soggettivo minimo in vigore alla data dalla quale decorre la pensione », indipendentemente dalle risultanze dell’ISEE;
Si recepiscono e condividono in questa sede ex art. 118 disp. att c.p.c. le conclusioni e le argomentazioni espresse in numerose decisioni di merito in fattispecie del tutto analoghe a quella per cui è causa (cfr. tra le altre, Trib. Roma sez. lav. sent. n. 4841/2017 del 23.5.2017, Trib. Roma sez. lav. sent. n. 4213/2020 del 25.8.2020, Corte di Appello di Roma sez. lav. sent. n. 3412/2024 del 15.10.2024, Trib. Napoli sez. lav. sent. n. 2982/2024 del 28.5.2024).
In particolare si richiama il Tribunale di Roma sez. lav. est. COGNOME, sentenza n.6405/2025 del 3.6.2025, allegata alle note autorizzate di parte ricorrente:
‘3.1.A decorrere dall’anno 2013, ha dettato, nell’esercizio della propria autonomia regolamentare ex d.lgs. 509/1994, una nuova disciplina del regime previdenziale degli iscritti tramite il Nuovo Regolamento Generale Previdenza 2012 (NRGP).
L’art. 28 del predetto Regolamento, dopo avere disposto, al comma 1, che “La misura dei trattamenti pensionistici… non può essere inferiore all’importo della pensione minima indicata nella allegata tabella O…” prevede, ai commi successivi, e, in particolare al comma 5, numerose limitazioni al diritto dell’iscritto ad ottenere la predetta integrazione al minimo della pensione tra cui, per quanto più specificamente rileva ai fini della presente decisione, alla lett. a), l’impossibilità di usufruire di tale beneficio per il “pensionato il cui valore dell’indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare (ISEE), di cui al d.lgs. n. 108/1998 e s.m.i., con riferimento all’anno precedente il pensionamento, sia superiore a euro 30.000,00”.
In precedenza, il diritto dell’iscritto ad ottenere l’integrazione al minimo della pensione era previsto e regolamentato, alla data di maturazione della necessaria anzianità contributiva, dall’art 2 della l. 6/1981, il quale prevedeva, al comma 3 che ‘La misura della pensione non può essere inferiore a otto volte il contributo soggettivo minimo in vigore alla data dalla quale decorre la pensione’ stabilendo pertanto, incondizionatamente, il diritto dell’iscritto alla percezione della pensione per un importo non inferiore a quanto ivi stabilito.
Il diritto dell’iscritto a tale importo minimo era stato successivamente ribadito, sempre in maniera incondizionata, anche dalla disciplina vigente anteriormente all’entrata in vigore del suddetto NRGP 2012 e cioè dall’art. 25 dello Statuto Inarcassa del 1995 emanato successivamente alla privatizzazione tale ente.
La clausola dell’art. 28, comma 5, lett. a) del NRGP, che elimina totalmente l’integrazione al minimo per i titolari di reddito ISEEE superiore ad Euro 30.0000,00 nell’anno precedente a quello della liquidazione della pensione costituisce violazione di quanto disposto, in ordine al principio del pro rata, dall’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995 alla cui stregua gli Enti previdenziali privatizzati possono adottare ‘i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità ed equità fra generazioni’.
Ciò ‘Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dal decreto legislativo 10 febbraio 1996 n. 103, e con esclusione delle forme di previdenza sostitutive dell’assicurazione generale obbligatoria, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, del suddetto decreto legislativo n. 509 del 1994, la stabilità delle gestioni previdenziali di cui ai predetti decreti legislativi è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore ai trenta anni (lasso di tempo successivamente esteso a cinquanta anni dall’art. 24, comma 24, dl 201/2011 conv. in l. 214/2011 n.d.e.) ‘ e ‘in esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal suddetto articolo 2, comma 2’.
Trattasi di disposizione legislativa che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr, tra le molte, Cass., S.U., 8/9/2015, n. 17742) costituisce parametro di validità della norma regolamentare in esame.
Com’è noto il d.lgs. 509/1994 emanato in attuazione della delega conferita dalla l. 537/1993 aveva attribuito alle Casse previdenziali “privatizzate”, all’art. 2, ‘autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta ” prevedendo, al comma 2, che” la gestione economico-finanziaria deve assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale”.
Il d.lgs. n. 509/1994 e le disposizioni ivi contenute ‘non hanno, peraltro, attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2,( che indica i regolamenti di delegificazione come quelli “destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite) sicché ad essi… non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse “privatizzate”, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art.3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate’ (v. Cass. 14/1/2019, n. 603).
A tale proposito, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che ‘Il necessario rispetto del principio del pro rata temporis contenuto nella ricordata L. n.335 del 1995 (art. 3, comma 12) indica chiaramente che i provvedimenti adottandi dalle Casse di previdenza “allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio” devono garantire l’intangibilità degli effetti derivanti, per gli assicurati le cui prestazioni pensionistiche non siano state ancora acquisite, dalle quote di contribuzione già versate’ (Cass .15/6/2016, n. 12338) e ancora che, gli enti previdenziali privatizzati ‘non possono adottare – in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle proprie gestioni, provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongono un massimale allo stesso trattamento e, come tali, risultino incompatibili con il rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti'(Cass. SU 8/9/2015 n. 17742).
Ne consegue che la disposizione regolamentare in esame viola i limiti imposti dall’art. 3, comma 12, legge n. 335/1995, facendo venire del meno per gli assicurati la cui situazione economica familiare ecceda quella stabilita dalla , i meccanismi di integrazione della pensione minima, senza tenere in alcun modo presente il principio del pro rata (e le connesse esigenze di tutela dell’affidamento) né dei principi di gradualità e del perseguimento dell’equità tra generazioni.
La disposizione regolamentare in esame non ha in particolare, nell’ancorare l’importo della pensione dovuta esclusivamente alla complessiva condizione economica familiare dell’assicurato nell’anno precedente al pensionamento, tenuto in alcun conto le anzianità contributive maturate prima della data di operatività delle disposizioni dettate dalla legge n. 335/1995 e dal Regolamento anzidetto, finendo per vanificarle del tutto ai fini del conseguimento del diritto alla pensione minima.
Né può sostenersi l’inapplicabilità di tale principio all’importo pensionabile minimo oggetto delle rivendicazioni dell’odierna ricorrente, atteso che tale inapplicabilità che non solo non trova riscontro in quanto previsto dall’art. 3, comma 12, l. 335/1995 (ove impone tale principio in modo generalizzato) ma non potrebbe essere ritenuta nemmeno sotto un profilo squisitamente fattuale essendo ben possibile, così come rilevato dalla difesa di parte ricorrente, prevedere una riduzione percentuale dell’importo della pensione minima parametrata alla contribuzione versata sino alla data di entrata in vigore del regolamento.
Osserva, poi, il Tribunale che la resistente non ha fornito a tale proposito idonee allegazioni, omettendo di spiegare in quale misura la nuova disciplina regolamentare avrebbe rispettato i limiti imposti dal legislatore; e ciò, in particolare, con riferimento al principio del pro rata che, sebbene non debba essere rigorosamente rispettato va comunque ‘tenuto presente’ (ai sensi di quanto previsto dalla norma menzionata) -ed al criterio di gradualità, omettendo, in particolare, di fornire dimostrazione in ordine alla sussistenza di una relazione di necessaria funzionalità tra la norma regolamentare contestata e il mantenimento dell’equilibrio finanziario di lungo periodo della gestione previdenziale.
A tale fine, non è certamente sufficiente evidenziare l’avvenuta approvazione del Regolamento da parte dei vigilanti, atteso che tale approvazione è di per sé sola inidonea a sanare l’eventuale violazione di leggi vigenti alla data della sua emanazione (v. Cass. 23/03/2017 n. 7516) e non certamente vincolante nella presente sede giurisdizionale.
3.2. La totale esclusione dell’integrazione al minimo in relazione alla condizione economica e familiare dell’assicurato in un determinato momento storico non può del resto nemmeno ritenersi rispettoso dei vincoli ex art. 3, comma 12, l. n. 335/1995, di gradualità ed equità tra generazioni.
Trattasi infatti di requisito che proprio in quanto riferito ad un dato (quello della situazione economica familiare nell’anno anteriore al pensionamento) suscettibile di variazioni nel corso del tempo, non può certamente ritenersi idoneo criterio di determinazione degli importi pensionistici futuri nemmeno nella prospettiva di proporzionare tali importi alle condizioni economiche concrete del beneficiario.
Lo stesso risulta invece palesemente irrazionale ove compie, una tantum, la valutazione della spettanza o meno dell’integrazione al minimo sulla base di situazioni economiche invece variabili nel tempo e in contrasto con il principio costituzionale, sancito in materia previdenziale dall’art. 38, comma 2, Cost. (applicabile al presente caso di specie in ragione della prestazione oggetto di controversia), ove impone che la prestazione pensionistica debba garantire ai lavoratori ‘mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita…e vecchiaia’.»
3.3. Neppure appare fondata la tesi propugnata dalla secondo cui all’integrazione del trattamento minimo dovrebbe riconoscersi natura assistenziale, sicché essa sarebbe sottratta all’applicazione del principio del pro -rata.
È sufficiente richiamare in questa sede, ai sensi dell’art. 118 att. c.p.c., quanto già puntualizzato da altra decisione della Corte di Appello di Roma ( v. App. Roma, V sez., 30.7.2024 n. 2556), ossia che l’integrazione al trattamento minimo è una mera «modalità di calcolo della prestazione previdenziale, applicata ove, in base alla contribuzione accreditata, la sua misura risulti inferiore al minimo necessario per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita ai sensi del secondo comma del l’art. 38 della Costituzione (v. Cass. n. 107 e 240 del 1994 e Corte costituzionale n. 127/1997): dunque si tratta di un istituto previdenziale fondato sul principio di solidarietà».
Rileva il Tribunale che l’erogazione di prestazioni previdenziali in misura non inferiore ad un determinato importo trova giustificazione nel principio posto dall’art. 38, co. 2, Cost.. L’integrazione al minimo, infatti, ha la funzione di integrare la pensione quando dal calcolo in base alla contribuzione versata risulti un importo inferiore ad un minimo ritenuto necessario ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita, secondo quando disposto dal precetto dell’art. 32, co. 2, Cost. Tale funzione qualifica l’integrazione al trattamento minimo come istituto previdenziale (anziché assistenziale) fondato sul principio di solidarietà ( v. Corte Cost. 10/6/1994, n. 240 e Corte Cost. 3/6/1992, n. 243).
Non appare, poi, superfluo ricordare chela Corte costituzionale ( v. Corte Cost. 15/5/1990, n. 243), con riferimento alla previdenza dei Geometri, ha dichiarato l’incostituzionalità degli artt. 4 e 5 della legge n. 773/1982, nella parte in cui prevedono che le pensioni di inabilità e di invalidità siano calcolate in proporzione ai redditi professionali escludendo ogni intervento di solidarietà che valga a garantire il minimo vitale. Ha, poi, ( v. Corte Cost. 6/5/1997, n. 119) dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, co. 4, legge n. 773/1982 nella parte in cui garantisce, indipendentemente dalla posizione reddituale, a tutti gli iscritti alla […
la pensione minima di vecchiaia.
Occorre, inoltre, ricordare, con riferimento al trattamento minimo pensionistico per i liberi professionisti, che l’art. 7, legge 29 dicembre 1988, n. 544 prevede a favore dei titolari di pensione corrisposta da una Cassa di previdenza la garanzia di un importo della pensione non inferiore a quello minimo a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, pur precisando che le Casse adottano i provvedimenti necessari ad assicurare la copertura dei relativi oneri, che restano a loro carico, nei limiti in cui le disponibilità complessive delle rispettive gestioni lo consentano e con esclusione di oneri a carico dello Stato.
La resistente non ha dedotto concreti e specifici elementi atti a dimostrare che la conservazione dell’integrazione al minimo della pensione di vecchiaia nel rispetto del principio posto dall’art. 3, comma 12, l. n. 335/1995, nel testo applicabile ratione temporis, in favore di coloro che sono in possesso del reddito ISEE considerato preclusivo, fosse totalmente incompatibile, nell’ano e nel quantum, con il rispetto degli equilibri finanziari.
3.4. Rileva, infine, il Tribunale che diversa conclusione, in ordine all’esito della domanda proposta, non può fondarsi sul principio affermato dalla Suprema Corte della recente sentenza n. 34273 del 24/12/2024 , secondo cui ‘il principio del pro -rata, previsto dall’art. 1, comma 12, l. n. 335 del 1995, attiene ai meccanismi di calcolo della pensione e non ai requisiti di maturazione del corrispondente diritto, e quindi non può essere richiamato per i trattamenti pensionistici introdotti ex novo dai regolamenti adottati dalle casse professionali; ne consegue che la pensione anticipata di vecchiaia, introdotta dall per gli ingegneri e architetti liberi professionisti con il Regolamento approvato nel 2012, e maturata in vigenza di quest’ultimo, rinviene solo in esso la disciplina dei relativi requisiti, senza alcun rilievo del principio anzidetto’.
Osserva il Tribunale che la fattispecie in esame non ha ad oggetto il riconoscimento del diritto all’integrazione al minimo della pensione di vecchiaia unificata anticipata introdotta dal NRGP di nel 2013, su cui è intervenuta la citata sentenza della Corte di Cassazione, la quale ha esaminato la legittimità dell’art. 28 del NRGP nella parte in cui preclude il diritto alla pensione minima per coloro che hanno avuto accesso alla pensione di vecchiaia anticipata, cioè a coloro che hanno avuto accesso al pensionamento con un anticipo di massimo 3 anni rispetto all’età
pensionabile ordinaria, ma ha ad oggetto il riconoscimento del diritto all’integrazione al minimo della pensione di vecchiaia unificata c.d. ordinaria, precluso dall’art. 28 del NRGP a coloro che, come la ricorrente, alla cui è stata appunto riconosciuta una pensione di vecchiaia unificata ordinaria e non una pensione di vecchiaia anticipata, godevano nell’anno antecedente al pensionamento di un ISEE superiore ad Euro 30.000.
Tale distinzione è essenziale, in quanto la sentenza della Corte di Cassazione citata, nell’escludere l’applicabilità del principio del pro -rata di cui all’art. 3, comma 12, L. n. 335/1995, da cui fa discendere la legittimità dell’esclusione del diritto all’integrazione al minimo della pensione, fonda la sua motivazione esclusivamente sulla considerazione per cui la pensione di vecchiaia anticipata è un trattamento diverso dalla pensione di vecchiaia ordinaria, ‘istituito ex novo’ dal Regolamento del 2012, con la conseguenza per cui ‘il diritto soggettivo alla pensione anticipata di vecchiaia è maturato in capo alla controricorrente tutto e solo nella vigenza del Regolamento del 2012, e quindi ad esso solo si conforma la relativa regolamentazione, senza che venga in gioco il principio del pro rata’ e che, avendo ‘la controricorrente, nel nuovo regime, … esercitato un diritto diverso, al pensione di vecchiaia anticipata’, … ‘l’anzianità maturata e rilevante ai fini del pregresso diritto venuto meno ha perso rilievo ai fini dell’integrazione al minimo nell’alveo del nuovo diritto’, evidenziando, infine, come ‘del tutto legittimamente, il vantaggio del pensionamento anticipato di 2 anni rispetto alla regola dei 65 anni, è stato controbilanciato dalla assenza di un minimo pensionabile’.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha affatto goduto del beneficio dell’anticipo della pensione, che potrebbe giustificare la esclusione totale dall’integrazione al minimo della pensione, ma ha chiesto ed ottenuto la liquidazione della pensione di vecchiaia nel rispetto dei requisiti anagrafici e contributivi ‘ ordinari’ previsti dall’art. 20 del NRGP, secondo cui ‘Dal 1° gennaio 2013 la pensione di vecchiaia unificata è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età ed abbiano maturato almeno trenta anni di iscrizione e contribuzione ad
.
A decorrere dal 1° gennaio 2014 l’età pensionabile ordinaria è elevata di tre mesi per ogni anno fino
a raggiungere, a regime, i sessantasei anni, come da allegata tabella I, ed il requisito contributivo minimo è aumentato di sei mesi ogni anno fino ad arrivare a trentacinque anni, come indicato nella stessa tabella I.
Al raggiungimento del requisito anagrafico di sessantasei anni previsto dalla tabella I, l’età pensionabile ordinaria è aggiornata agli incrementi della speranza di vita’.
(…)
3.5.Alla luce delle considerazioni esposte, sufficienti per accogliere la domanda avanzata dalla ricorrente, restando così assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità della disposizione regolamentare censurata fatti valere dalla stessa, deve dichiararsi il diritto della medesima alla pensione di vecchiaia con integrazione del suo importo sino al raggiungimento di quello della pensione minima di cui alla ‘tabella O’ allegata all’art. 28 del Nuovo Regolamento Generale Previdenza 2012 con decorrenza dal 1° aprile 2024, con conseguente condanna della resistente al riconoscimento del suddetto trattamento ed alla corresponsione di tutte le differenze sui ratei di pensione maturati, oltre interessi legali sulle differenze maturate’.
Anche il Tribunale di Bologna sezione lavoro, in fattispecie del tutto analoga a quella per cui è causa, ha così stabilito nella sentenza n.32/2025 del 15.1.2025:
‘ 1. Preliminarmente, in ordine agli aspetti fattuali, le allegazioni delle parti non sono in contestazione, risultando dunque corretto il calcolo della pensione (con il sistema del pro-rata retributivo/contributivo a cavallo delle modifiche normative), così come il versamento degli importi, la formalizzazione della domanda e le decorrenze del trattamento.
Nel merito, il DPR n. 301/75 prevedeva il diritto dell’iscritto alla cassa alla pensione di vecchiaia il primo giorno del mese successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età, con 20 anni di anzianità contributiva e, per quanto interessa in questa sede, fissava un preciso importo minimo al di sotto del quale il trattamento pensionistico sarebbe stato integrato.
Di seguito, l’art 2 della L. n. 6/1981 prevedeva che «La pensione di vecchiaia è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno 65 anni di età, dopo almeno 30 anni di iscrizione e contribuzione alla . . La misura della pensione non può essere inferiore a otto volte il contributo soggettivo minimo in vigore alla data dalla quale decorre la pensione».
Con riferimento al merito della questione, la domanda della parte ricorrente pare meritevole di accoglimento.
Al momento della privatizzazione della resistente, il suo Statuto disponeva all’art 25 che: «La pensione di vecchiaia è corrisposta su domanda a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età, dopo almeno trenta anni di iscrizione e contribuzione ad » e venivano poi confermati i criteri per la determinazione della pensione minima
Come allegato dalle parti, è stato emanato il nuovo Regolamento; in vigore dal gennaio 2013, con il quale inequivocabilmente dispone all’art. 17, che «A decorrere dal 1° gennaio 2013 la pensione di cui al presente articolo è eliminata e sostituita dalla pensione di vecchiaia unificata di cui all’art.20», il quale articolo conferma che «Dal 1° gennaio 2013 la pensione di vecchiaia unificata è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno sessantacinque anni di età ed abbiano maturato almeno trenta anni di iscrizione e contribuzione ad ». Infine, l’art 28 ha poi previsto che «La misura dei trattamenti pensionistici erogati da non può essere inferiore all’importo della pensione minima indicata nella allegata tabella O, salvo quanto previsto ai commi successivi e dall’art. 19. 5 . Ferma restando la normativa previgente l’adeguamento alla pensione minima non spetta nei seguenti casi: a) al pensionato il cui valore dell’indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare (ISEE), di cui al d. lgs. n. 109/1998 e s.m.i., con riferimento all’anno precedente il pensionamento, sia superiore a euro 30.000,00; b) al titolare della pensione di vecchiaia unificata che consegua la pensione al compimento del 70° anno di età senza aver raggiunto il requisito dell’anzianità contributiva minima ovvero che opti per l’anticipazione rispetto all’età pensionabile ordinaria».
Come anticipato, parte ricorrente sostiene in primo luogo l’illegittimità del Regolamento nella parte in cui esclude la previsione della pensione minima per i casi di redditi superiori ad un determinato importo, in quanto innanzitutto violerebbe il principio del prorata di cui all’art 3 c. 12 della L. n. 335/1995, la quale espressamente consente provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, tenendo sempre presente il principio del pro -rata in relazione alle anzianità già maturate prime delle eventuali modifiche, tenendo, in ogni modo, conto dei criteri di gradualità e equità fra generazioni.
Al contrario, per la difesa della resistente, alla luce del fatto che l’integrazione al minimo è un beneficio assistenziale e non previdenziale, come tale non ancorato ai contributi e non frazionabile, in questo caso non si porrebbe alcun problema di compatibilità della previsione statutaria con il dettato normativo allegato dal ricorrente.
In merito a questo aspetto, occorre evidenziare che certamente l’integrazione al minimo, come tale, prescindendo dalla sua natura, sicuramente è svincolata da requisiti contributivi (cfr., solo per il principio, in un diverso caso, Cassazione civile, sez. lav., 13/02/2019, n. 4228: «L’integrazione al trattamento minimo della pensione non è esportabile in ambito comunitario, in virtù del principio, contemplato dall’art. 10-bis, comma 1, del Regolamento CEE n. 1247 del 1992 , per cui le prestazioni speciali in denaro, sia assistenziali che previdenziali, ma non aventi carattere contributivo, sono erogate esclusivamente nello Stato membro in cui i soggetti interessati risiedono ed ai sensi della sua legislazione, sicché non è dovuta all’assicurato residente fuori dal territorio nazionale»), ma è altrettanto vero che, nel momento in cui una diritto all’integrazione viene previsto e, dunque, viene sancito un trattamento minimo (ancorato necessariamente a principi di dignità della persona e congruità per il suo sostentamento), detto diritto entra a far parte della quantificazione della pensione del soggetto beneficiario.
Se così è, la causa concreta dell’integrazione, prevista senza limiti per anni di iscrizione del contribuente, sicuramente può essere successivamente limitata per le finalità consentite dall’ordinamento, ma non retroattivamente , in quanto «Il necessario rispetto del principio del pro rata temporis contenuto nella ricordata L. n.335 del 1995 (art. 3, comma 12) indica chiaramente che i provvedimenti adottandi dalle Casse di previdenza “allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio” devono garantire l’intangibilità degli effetti derivanti, per gli assicurati le cui prestazioni pensionistiche non siano state ancora acquisite, dalle quote di contribuzione già versate» (così, Cassazione n. 12338/2016).
Quindi, non vi sono dubbi che l’art 28 del Regolamento, nel momento in cui esclude tout court l’integrazione al minimo dal gennaio 2013 per coloro che, al momento della domanda di pensione abbiano redditi superiori ad una determinata soglia, non ha tenuto in debita considerazione l’anzianità maturata prima della sua entrata in vigore, rispetto alla quale il calcolo delle quote di pensione imputabili al periodo avrebbe dovuto prevedere una sicura integrazione al minimo.
Per altro, salvaguardando la gradualità, la avrebbe, in ogni modo, ottenuto l’effetto della realizzazione dell’equilibrio finanziario a lungo termine, potendo prevedere scaglioni di integrazioni parametrati alla percentuale dei periodi contributivi precedenti alla riforma e successivi, dunque ottenendo, comunque, un evidente risparmio.
In altre parole, la previsione di un limite reddituale per la concessione del beneficio integrativo non rappresenta, in sé, una misura illegittima, ma lo diventa nel momento in cui non prevede una gradualità della sua applicazione con riferimento ai periodi contributivi anteriori alla sua previsione, con la conseguenza che le corrette allegazioni della parte resistente sul punto, sono idonee, come tali, a rafforzare la connotazione legittima della modifica, ma nulla aggiungono in ordine all’elusione del principio del pro -rata.
Sul punto, anche le conclusioni della Procura Generale presso la Suprema Corte richiamate da parte resistente per dimostrare la correttezza del proprio operato, non possono essere prese in esame in ordine al caso di specie.
Infatti, le stesse riguardano l’altro limite all’operatività della pensione minima, quello della neoistituita pensione anticipata, la quale, evidentemente contiene un elemento di vantaggio per il beneficiario, consistente nell’anticipare il pensionamento.
Quindi rappresenta una prestazione con caratteristiche diverse che influiscono sulla misura del trattamento sulla base di una volontaria opzione del lavoratore, a differenza del limite reddituale, che il beneficiario si trova a subire a prescindere da ogni sua manifestazione di volontà.
In definitiva, le domande così come proposte dal ricorrente possono essere accolte e l’accoglimento del punto relativo alla L. 335/1995 rende irrilevante l’esame degli ulteriori profili allegati. (…).
Per le considerazioni che precedono deve essere dichiarato il diritto della ricorrente all’integrazione al minimo della pensione di vecchiaia liquidatale dalla resistente con decorrenza dal 1.5.2023 sino al raggiungimento dell’importo della pensione minima di cui alla ‘tabella O’ allegata all’art. 28 del Nuovo Regolamento Generale Previdenza 2012.
In conseguenza deve essere condannata a corrispondere alla ricorrente la pensione di vecchiaia determinata nella misura suindicata e le conseguenti differenze sui ratei di pensione già liquidati, oltre interessi legali a decorrere dal 121 giorno successivo a quello di proposizione della domanda amministrativa.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate ex D.M. n. 55/2014 e 147/2022 come da dispositivo in calce.
P.Q.M.
dichiara che la ricorrente ha diritto all’integrazione al minimo della pensione di vecchiaia liquidatale dalla resistente con decorrenza dal 1.5.2023 sino al raggiungimento dell’importo della pensione minima di cui alla ‘tabella O’ allegata all’art. 28 del Nuovo Regolamento Generale Previdenza 2012:
condanna a corrispondere alla ricorrente la pensione di vecchiaia determinata nella misura di cui al punto 1), e le conseguenti differenze sui ratei di pensione già liquidati, oltre interessi legali a decorrere dal 121 giorno successivo a quello di proposizione della domanda amministrativa;
condanna la parte convenuta al pagamento delle spese di lite, che liquida in € 2.700,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettario nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge, nonché rimborso del contributo unificato versato.
Roma, 22.9.2025 IL GIUDICE Dott.ssa NOME COGNOME