Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8559 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 8559  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4970-2023 proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO,  presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati  NOME  COGNOME,  NOME,  NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3292/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/09/2022 R.G.N. 2380/2021;
Oggetto
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud.31/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
Con sentenza del giorno 16.9.2022 n. 3292, la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame proposto dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accolto il ricorso promosso da NOME COGNOME, volto a chiedere la rideterminazione dei supplementi di pensione erogati dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, gestione ex RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, con le decorrenze meglio indicate in ricorso. La Corte territoriale, con riguardo all’individuazione del criterio di calcolo della cd. quota B della pensione e conseguentemente, dell’ammontare del rateo RAGIONE_SOCIALEstico, ha ritenuto non più sussistente il limite di retribuzione giornaliera pensionabile di lire 315.000, sia pure rivalutato a partire dal gennaio 1998, in quanto il rinvio operato dall’art. 1 del d.lgs. n. 182/97 all’art. 12 comma 7 del DPR n. 1420/71 non impone, diversamente da quanto affermato dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, di tenere in ogni caso fermo tale limite in riferimento alla cd. quota B.
Avverso  la  sentenza  della  Corte  d’appello,  l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE  ricorre  per cassazione,  sulla  base  di  un  motivo,  illustrato  da  memoria, mentre NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il  collegio  riserva  ordinanza,  nel  termine  di  sessanta  giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso, l’istituto previdenziale deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 12 del DPR n. 1420 del 1971 e dell’art. 4 del d.lgs. n. 182/97, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che il calcolo della quota di pensione dei  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  riferita  ad  anzianità  maturate dopo  il  31.12.1992  (cd.  quota  B)  pur  se  soggetta  a  un
massimale, tuttavia tale massimale non sarebbe quello specificamente previsto per i trattamenti dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE dall’art. 12 del DPR n. 1420/71 come modificato dall’art. 1 comma 10 del d.lgs. n. 182/97 (e pari a € 315.000), ma piuttosto quello generalmente previsto tempo per tempo (diviso per il coefficiente 312), ai sensi dell’art. 4 comma 8 del d.lgs. n. 182/97, che prevede che ai fini del calcolo della parte B della pensione, si applica l’aliquota di rendimento del 2%, sino alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile, in vigore tempo per tempo, nell’assicurazione generale obbligatoria.
Il motivo di ricorso è fondato.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘In tema di RAGIONE_SOCIALE di anzianità in favore dei RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nella determinazione della “quota B” della pensione, relativa alle anzianità maturate successivamente al 31 dicembre 1992 dai RAGIONE_SOCIALE iscritti al RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE in data anteriore al 31 dicembre 1995, non si prendono in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite fissato dall’art. 12, comma 7, del d.P.R. n. 1420 del 1971, così come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 10, del d.lgs. n. 182 del 1997; tale limite, infatti, non è stato abrogato né espressamente dai successivi interventi legislativi, né per incompatibilità dall’art. 4, comma 8, del medesimo d.lgs., dovendosi ritenere che la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile, contribuendo a comporre i diversi interessi di rilievo costituzionale, sia coessenziale alla disciplina, in quanto si colloca in un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, in ordine all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della
generalità  dei  RAGIONE_SOCIALE  assicurati  presso  l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE‘ (Cass.  n. 36056/22) .
A  tale  orientamento  va  data  continuità,  tenendo  conto  delle condizioni  di  maggior  favore  di  cui  usufruisce  il  pensionato, rispetto alla generalità degli assicurati presso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
In riferimento alla sollevata questione di legittimità costituzionale (pp. 26 e ss. del controricorso), sostiene parte controricorrente che l’interpretazione del d. lgs. n. 182-97, art. 4, comma 8 adottata da questa Corte sarebbe in contrasto con la legge delega (art. 2, comma 22, lett. a n. 335/95), laddove prevede, come criterio direttivo, la “commisurazione delle prestazioni” RAGIONE_SOCIALEstiche agli oneri contributivi sostenuti”. L’interpretazione adottata verrebbe invece a commisurare la retribuzione massima giornaliera a 315.000 lire a fronte dell’onere contributivo sostenuto sulla retribuzione massima giornaliera pari a 1.000.000 lire.
Ora, nelle citate sentenze si è richiamata C. Cost. n. 202/08 che, proprio riguardo al divario tra la retribuzione sottoposta a contribuzione piena (lire 1.000.000) e la retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione (lire 315.000), ne ha escluso il contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza e di adeguatezza e di proporzionalità della tutela previdenziale, “purchè una certa proporzionalità venga assicurata e, soprattutto, non sia compromessa la realizzazione delle finalità di cui all’art. 38 della Costituzione” (punto 2 del Considerato in diritto). Si è poi ricordato che la Carta fondamentale non richiede una “necessaria corrispondenza tra i contributi versati e le prestazioni erogate”, in quanto l’adempimento dell’obbligo contributivo trascende l’interesse del singolo soggetto protetto e non obbedisce a una logica meramente corrispettiva (C. Cost. n. 173/86, punto 10 del Considerato in diritto). Dunque, la
“commisurazione” delle prestazioni agli oneri contributivi, di cui alla l. n. 335-95, art. 2, comma 22 lett. a), una volta letta non nella rigorosa accezione di “necessaria corrispondenza” cui si riferisce parte controricorrente, è rispettata dall’interpretazione qui accolta. Si deve aggiungere che, come ricordato ancora da C. Cost. n. 202/08, la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile si colloca in “un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, quanto all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei RAGIONE_SOCIALE assicurati presso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; di talché non è possibile lamentare il semplice dato della diversità esistente tra retribuzione soggetta a prelievo contributivo e retribuzione pensionabile senza tenere presente l’intero sistema previdenziale in cui detta previsione si inserisce” (punto 3 del Considerato in diritto).
La  questione  di  legittimità  costituzionale  sollevata  risulta, pertanto, manifestamente infondata (cfr. Cass. n. 21010/23). In  conclusione    il  ricorso  deve  essere  accolto  e  la  sentenza cassata  con  rinvio  della causa  alla  Corte  d’appello  di  Roma,