Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34983 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34983 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2795-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2973/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/07/2021 R.G.N. 1791/2020;
Oggetto
R.G.N. 2795/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 18/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
CONSIDERATO CHE
1. La Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame proposto da INPS avverso la sentenza di primo grado che, nel dichiarare l’illegittimità del provvedimento di liquidazione della pensione di anzianità a NOME NOME, lavoratore dello spettacolo in pension e dall’1/1/2010, aveva riconosciuto il diritto a conseguire le differenze maturate in applicazione della disciplina di cui all’art. 4 comma 8 del d.lgs. n. 182/97, ossia individuando come criterio di calcolo per la parte relativa alle anzianità maturate successivamente al 31/12/1992 (cd. quota B) la retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al massimale annuo pensionistico diviso 312, nei limiti della prescrizione quinquennale -interrotta dalla domanda di ricostituzione della pensione del 21/7/2017- per un ammontare pari ad euro 72.931,25 relativo al periodo dal 1/7/2012 al 31/3/2019. Enunciato il quadro normativo di riordino del sistema previdenziale ai sensi del d.lgs. n. 503/1992, rammentato il sistema del pro-quota nella liquidazione della pensione per coloro che alla data del 31/12/1995 abbiano maturato una anzianità assicurativa e contributiva inferiore a 18 anni, e richiamata la disciplina del d.lgs. n. 182/97 per i lavoratori dello spettacolo iscritti all’ex ENPALS, la Corte territoriale ha dapprima ritenuto di ricondurre il caso in esame nell’ambito del secondo comma dell’art. 3 del citato decreto legislativo, quindi ha escluso che potesse trovare ancora applicazione la disciplina dell’art. 12 comma 7 del DPR 1420/1971 sulla previsione del tetto di Lire 315.000 quale limite massimo di retribuzione giornaliera pensionabile -come sostituito dall’art. 1 comma 10 d.lgs. 182/97 con previsione
della rivalutazione annuale dal 1998, ed in forza del successivo comma 11 sulla retribuzione giornaliera di riferimento pari al massimale annuo di retribuzione pensionabile vigente tempo per tempo nell’AGO, diviso 312 -; ha poi ritenuto precettiva la regola del successivo art. 4 comma 8 d.lgs. 182/97 che prevede l’applicazione dell’aliquota di rendimento annuo del 2% , sino alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile diviso 312, e le aliquote di rendimento previste dall’art. 12 del d.lgs. 503/92, decrescenti per anni di anzianità , sulle quote di retribuzione giornaliera pensionabile eccedenti il suddetto limite secondo. In sostanza, per la quota B, anch’essa componente del metodo retributivo ma calcolata con un criterio diverso dalla quota A (retributivo puro) per le anzianità contributive maturate successivamente al 31/12/1992, la retribuzione giornaliera massima non sarebbe quella di Lire 350.000 di cui all’art. 12 co.7 DPR n. 1420/71, bensì quella annua in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso 312, di cui all’art. 4 comma 8 del d.lgs. n. 182/97 corrispondente a sua volta a quanto già previsto dall’art. 1 comma 11 cit. d.lgs.
L’Istituto ricorrente , premessa la non incompatibilità del massimale di cui all’art. 12 co mma 7 del DPR n. 1420/71 ai fini di calcolo della quota B della pensione, con le previsioni dell’art. 4 comma 8 d.lgs. 182/97, come ribadito all’art. 1 co.10 d.lgs. 182/97, impugna la sentenza affidandosi a due motivi -illustrati in successiva memoria-, a cui l’intimato interpone rituale controricorso.
La Corte, discussa la causa nell’adunanza camerale del 18 ottobre 2024, si è riservata di decidere.
RILEVATO CHE
1.1- Con il primo motivo di gravame l’INPS denuncia la violazione dell’art. 47 DPR n. 639/70, novellato dall’art.38 co.1 lett. D, n.1, del D.L. n. 98/2011 conv. in L. n. 111/2011, in relazione all’art. 360 co.1 n.3, c.p.c., per non aver tenuto conto il giudice d’appello della decadenza triennale per la proposizione della domanda giudiziale, questione non sollevata dall’istituto ma rilevabile d’ufficio, giusta interpretazi one resa da questa Corte con sentenze S.U. 12718/2009 e 12720/2009 e successive ordinanze conformi (22052/16, 9275/19, 3548/21), e sulla quale non si era formato alcun giudicato interno non essendone stato esaminato il profilo né risultando essere oggetto di decisione; e si trattava di decadenza sostanziale, relativa ad azioni aventi ad ogge tto l’adempimento di prestazioni riconosciute soltanto in parte ed applicabile anche alle prestazioni già liquidate, a decorrere dall’entrata in vigore della disposizione dell’art. 38 d.l. 98/11 (dal 6/7/2011) introduttiva della novella del sesto comma del l’art. 47, con decadenza della domanda giudiziale proposta con ricorso del 23/3/2019.
1.2 Con il secondo motivo l’INPS , denuncia la violazione dell’art. 12 DPR n. 1420/1971 e dell’art. 4 d.lgs. n. 182/97, in relazione all’art. 360 primo comma n.3 c.p.c., non essendo stato ritenuto applicabile il massimale pensionabile di cui al citato art. 12 nel calcolo della quota B. Il ricorrente sostiene che la lettura, in successione, dei commi 10 e 11 dell’art . 1 d.lgs. n. 182/97 non consentirebbe di affermare la natura sostitutiva e non precettiva della prima, trattandosi invece di due norme diverse, l’una inerente alle quote di pensione per le anzianità maturate dopo il 31/12/1992, l’altra applicabile agli iscritti al fondo
pensioni dopo il 31/12/1995 sottoposti al sistema contributivo o che ad esso abbiano optato; e trattandosi nel caso in esame di un lavoratore dello spettacolo iscritto in epoca anteriore al 31/12/1995 andava applicato il sistema di calcolo della quota B per il periodo successivo al 31/12/1992 seguendo la disciplina dell’art. 12 co .7 DPR n. 1420/71 come modificato dall’art. 1 co.10 del d.lgs. n. 182/97, mentre non troverebbe applicazione l’art. 4 co.8 del d.lgs. n. 182/97 riferito all’individuazione delle aliquote di rendimento applicabili alle diverse fasce di retribuzione pensionabile contenute nel massimale. Trattasi di disciplina speciale rispetto all’AGO e non vi sarebbe corrispondenza fra l’art. 1 comma 11 del d.lgs. n. 182/97 e l’art. 4 comma 8 dello stesso d.lgs., riferiti a due sistemi di calcolo differenti. Nelle memorie illustrative, l’istituto ricorrente rammenta orientamenti giurisprudenziali a sostegno di entrambi i motivi.
1.3 – Nel controricorso si eccepisce l’inammissibilità del primo motivo, inquadrabile nell’ambito dell’art. 360 n.4 cpc perché l’omesso rilievo d’ufficio della decadenza integrerebbe un vizio processuale, non eccepito avverso la sentenza di primo grado che aveva trattato la questione sotto il profilo della non retroattività della novella del 2011 e della applicabilità ai sensi dell’art. 252 disp. att. c.c. del ridotto termine di prescrizione ma non anche del nuovo termine di decadenza; deduce, in caso di accoglimento del ricorso, una disparità di trattamento fra l’INPS che, in caso di liquidazione maggiore del dovuto, potrebbe procedere a correzione dell’importo in via autonoma, e il pensionato onerato di invocare in via giudiziale una corretta liquidazione. Sul secondo motivo la parte privata lamenta l’indistinto trattamento da parte di INPS di entrambe le quote, A e B, laddove diversa è la base di calcolo ed il quadro
normativo, stante l’introduzione della disciplina speciale per i lavoratori dello spettacolo a mente del d.lgs. del 1997; osserva che, per la quota di pensione successiva al 31/12/1992, l’art. 4 d.lgs. 182/97, di cui invoca una interpretazione letterale e sistematica, ha sostituito l’art. 13 d.lgs. 503/92 prevedendo l’aliquota del 2% sino alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile in vigore tempo per tempo nell’AGO diviso 312 e, venuto meno il criterio del DPR 1420/71 (previsto per la quota A per il periodo antecedente al 31/12/1992), la base di calcolo si individuerebbe nella media delle migliori 1900 giornate con aliquote di rendimento pari al 2% e, per quelle eccedenti, con le aliquote di cui all’art. 12 d.lgs. 503/92; eccepisce infine il passaggio in giudicato della sentenza nella parte in cui non ha applicato il secondo comma del citato art. 12. Conclude per l’inammissibilità o infondatezza del ricorso.
2. Il ricorso è fondato e va accolto.
Va in primo luogo definito il perimetro della controversia avente ad oggetto il regime pensionistico in Quota B per i lavoratori dello spettacolo; la tematica centrale attiene al criterio di calcolo del sistema retributivo per coloro che prima del 31/12/1995 abbiano maturato un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni, ed in particolare al criterio di calcolo della retribuzione giornaliera pensionistica per il periodo successivo al 31/12/1992 (per il periodo antecedente, la quota A è calcolata sulla media delle più elevate retribuzioni negli ultimi anni). Le parti sostengono due tesi contrapposte: se debba essere applicato l’art. 12 co. 7 DPR 1420/1971 sostituito dall’art. 1 co. 10 d.lgs. 182/97 come richiesto dall’INPS già soccombente in appello -, con individuazione di un limite massimo giornaliero di Lire
315.000 rivalutato dal 1998, oppure l’art. 4 co. 8 D.Lgs. 182/97 -come argomentato nell ‘impugnata pronuncia di accoglimento dell ‘ istanza del pensionato per la riliquidazione delle prestazioni pensionistiche e sostenuto in controricorso-, ossia con individuazione del massimale annuo pensionistico diviso 312. Altra tematica è quella della decadenza dell’art. 47 dpr 639/70 come novellato dall’art. 38 co.1 lett.D n.1 del d.l. 98/2011, di durata triennale e decorrente dalla domanda giudiziale, gravante sulla liquidazione dei ratei (adempimento di prestazioni riconosciute in parte) e non sull’inter o diritto.
3. Seguendo l’ordine dei motivi di ricorso, si osserva che la decadenza di cui all’art. 47 DPR 639/1970, nel testo novellato dall’art. 38 co.1/ lett.d n.1 del d.l. 98/2011, può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ha natura sostanziale ed è di ordine pubblico (cfr. sent. SU n.12720/2009 al punto 6.2, richiamata da successive ordinanze n.9275/19 e n.35488/21), ma non è corretta la soluzione prospettata dall’ente ricorrente circa la sua decorrenza dalla data di entrata in vigore del d.l. 98/11 al fine di dichiararne la maturazione per superamento del termine triennale alla data di presentazione della domanda giudiziale, risalente per il caso in esame al 23/3/2019 data di deposito del ricorso introduttivo in primo grado. Invero, trattandosi di prestazioni corrisposte non nella loro integrità, opera la disciplina del sesto comma dell’art. 47 cit., con decorrenza del termine dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte, sicché la decadenza è impedita dalla presentazione della domanda giudiziale; il termine di decadenza introdotto dall’art. 38 trova applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate ma solo a decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione (6/7/2011) e, come già ritenuto dalla sentenza n.28416/20, la
decadenza ex art. 47 è evitata dalla propo sizione dell’ azione giudiziaria, non anche dalla domanda amministrativa, stante il tenore letterale del primo comma dell’art. 47; ciò in linea con l’ art. 2966 c.c. a mente del quale la decadenza non è impedita se non dal compimento dell’ atto previsto dalla legge, e nella fattispecie l ‘atto previsto dalla legge è l’ azione giudiziaria; trattasi di un atto il cui compimento va effettuato nel termine previsto dalla legge, ossia entro il termine del sesto comma dell’art. 47, dal pagamento della sorte o dal riconoscimento parziale della prestazione. La ‘ nuova ‘ decadenza dell’azione giudiziaria per ottenere l’esatto adempimento prescinde dalla domanda amministrativa, a differenza del riconoscimento del diritto a pensione, come già osservato da questa Corte in ord. n. 22820/21 (ivi: ‘ 14. Del resto, a differenza di quanto avviene per l’iniziale riconoscimento del diritto a pensione, dove il termine iniziale della decadenza opera una volta esaurito il procedimento amministrativo, nel caso di domanda volta ad ottenere la riliquidazione di prestazione già parzialmente riconosciuta, la domanda amministrativa resta del tutto estranea anche in ordine al decorso del termine di decadenza, ancorato nel dies a quo alla data del riconoscimento della prestazione parziale o di pagamento della sorte, e non ad atti diversi del procedimento ‘).
3.1 – Ciò posto, la questione va risolta nel senso di ritenere valutabile il periodo di decadenza antecedente all’ultimo triennio che precede la proposizione del ricorso giudiziale (cfr. Cass. 24555/2023: ‘ può dunque affermarsi che, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza, in considerazione della natura della prestazione, si applichi solo alle differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla
domanda giudiziale ‘). Si osservi pure che, diversamente da quanto eccepito in controricorso, non è inammissibile il motivo di ricorso inerente all’omesso rilievo d’ufficio di una decadenza sostanziale, stante la sua diretta incidenza sull’esercizio di un diritto soggettivo la cui tutela è stata azionata nei termini di rito e di cui, da un lato, è stata comunque affrontata la tematica in primo grado (come ricordato dallo stesso controricorrente nel richiamare alcuni passi della pronuncia di merito), dall’alt ro si prospetta una violazione nell’ambito della stessa normativa integrante la disciplina primaria (l’art. 47 nella sua interezza); l’applicazione della citata disposizione non costituisce un vizio procedurale non esplicitato, ma integra l’osservanza di una regola di giudizio coerente con il sistema decadenziale, come innanzi illustrato. L’ulteriore aspetto della ipotizzata violazione dell’art. 252 disp. att. c.p.c. non è corretto dovendo rinvenirsi una soluzione bilanciata tra un diverso termine di decadenza introdotto dalla nuova normativa del 2011 (tre anni dal pagamento parziale del rateo e non un anno dalla domanda amministrativa) e l’effetto ablativo di una tutela non esercitata dall’entrata in vigore della novellata disposizione (quale conseguenza della prospettata doglianza dell’istituto ove si tenga conto della decorrenza della pensione dal gennaio 2010, data anteriore all’entrata in vigore della d.l. 98/2011). Il tema del bilanciamento di interessi e della tutela del nucleo essenziale di una prestazione costituzionalmente protetta produce riflessi sull’autonoma cadenza temporale della decorrenza del termine decadenziale riferito ai singoli ratei oggetto di lamentato parziale adempimento; ‘ l’applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all’intera pretesa del privato attua, del resto, un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l’obiettivo decorso del
tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell’integrazione dei ratei ultratriennali rispetto alla domanda giudiziale ‘ ( cfr. ord. n.24555/23), sicché l’ incidenza degli effetti decadenziali sui ratei pregressi non vanifica il diritto alla pensione. Sul punto si richiamino anche ord. n. 17382/23 e 17493/23, alle cui argomentazioni si intende dare continuità (‘ Una diversa interpretazione (che applicasse la decadenza all’intera pretesa di rideterminazione travolgendo i ratei futuri ed infratriennali) sarebbe del resto incompatibile con la Costituzione tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardi il nucleo essenziale della prestazione, come nel caso che solo una parte esigua della prestazione sia riconosciuta e pagata dall’ente previdenziale. Per tali casi, ritenere il diritto alle differenze pensionistiche perduto per decadenza comporterebbe di fatto la vanificazione del diritto alla pensione, in netto contrasto con l’art. 38 Cost. Sarebbe peraltro non agevole individuare (per ciascuna prestazione periodica), in difetto di criteri legali o costituzionali espliciti, quale sia il nucleo essenziale della prestazione pensionistica non comprimibile. L’applicazione della decadenza della domanda di riliquidazione ai soli ratei pregressi oltre il triennio e non all’intera pretesa del privato attua, del resto, un giusto equilibrio tra il diritto alla pensione e l’obiettivo decorso del tempo assicurato dalla decadenza mobile, che comunque sanziona il pensionato in modo significativo con la perdita dell’integrazione dei ratei ultratriennali rispetto alla domanda giudiziale. Per converso, alcun bilanciamento tra gli opposti interessi sarebbe assicurato dall’accoglimento della tesi opposta, che produrrebbe una pensione decurtata per sempre in modo contra legem, con effetto completamente ablativo del
diritto alle differenze (a fronte di una situazione di ignoranza del pensionato in ordine all’esatto importo della prestazione, che potrebbe protrarsi per anni) e con incidenza normalmente rilevante su una situazione soggettiva costituzionalmente protetta. Può dunque affermarsi che, in riferimento alla richiesta di adeguamento o ricalcolo di prestazioni pensionistiche parzialmente già riconosciute, la decadenza riguardi, in considerazione della natura della prestazione, solo le differenze sui ratei maturati precedenti il triennio dalla domanda giudiziale ‘). Conformi, in tal senso, anche ord. 23988/24, 24245/23, 17353/23, 17430/21).
3.2 – Un ultimo cenno alla ipotizzata disparità di trattamento del pensionato rispetto ad INPS nel caso di ratei liquidati in misura inferiore: la possibilità di correggere solo per via giudiziale l’importo liquidato in misura inferiore, a fronte dell’auto noma correzione a cura dell’istituto qualora avesse provveduto a liquidare in misura maggiore, non pone problemi di limitazione del diritto di difesa stante l’ampia tutela giudiziale riconosciuta dall’ordinamento a rimedio di una lesione di diritti patrimo niali, e ciò sia nel caso di invocata liquidazione in aumento sia in caso di lamentata liquidazione in ribasso (ove trattenuta su ratei futuri); la diversità dei piani di azione delle due parti si correla con i poteri autoritativi dell ‘ente a cui è affidata la gestione del sistema previdenziale pubblico nei rispetto dei principi di cui agli art. 38 e 97 Cost. Peraltro, la delimitazione temporale dell’accoglimento del primo motivo di ricorso esclude la rilevanza della questione prospettata solo in via subordinata.
Il secondo motivo di ricorso è fondato e va accolto.
4.1 – In via preliminare, richiamando quanto già osservato in recente pronuncia di questa sezione su un caso analogo (ord. n.
23988/2024) è da respingere l’eccezione di inammissibilità o, in alternativa, improcedibilità del ricorso svolta in controricorso, sul presupposto che sarebbe passata in giudicato l’affermazione della sentenza secondo cui non si applicherebbero i limiti massimi alla retribuzione pensionabile di cui all’art.12, co.2 d. lgs. n.503/92. ‘ In realtà, il motivo di ricorso contesta in radice le argomentazioni della Corte d’appello in ordine all’abrogazione del ‘massimale pensionabile’ per la ‘quota B’. Ne consegue che la perdurante vigenza, anche per tale quota, del limite previsto dall’art. 12, co.7 d.P.R. n.1420/71 rappresenta un tema ancora controverso e che nessun ‘giudicato interno’ può precluderne l’esame. Il giudicato non si forma, difatti, sulle singole affe rmazioni in diritto della pronuncia gravata, ma sull’unità minima di decisione, che ricollega a un fatto, qualificato da una norma, un determinato effetto (fra le molte, di recente, Cass., sez. lav., 3 ottobre 2022, n. 28565) ‘ (idem, ord. n. 24249/24).
4.2 Riguardo alla perdurante vigenza applicativa dell’art. 12 co.7 DPR 1420/1971, va osservato, in primo luogo, che l’art. 4 comma 8 del d.lgs. 182/97, riferito al calcolo dei trattamenti pensionistici aventi decorrenza successiva alla data di entrata in vigore del decreto, non abroga né sostituisce il criterio di calcolo ivi previsto, limitandosi ad integrarlo sotto il profilo dell’applicazione dell’aliquota di rendimento del 2% sulla retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso 312, mentre per la parte di quota di retribuzione giornaliera pensionabile eccedente il predetto limite, il computo è effettuato secondo le ali quote di rendimento previste dall’art. 12 del d.lgs. 503/1992. La norma in esame fornisce un criterio determinativo dell’aliquota di rendimento applicabile in misura fissa per una
prima parte di retribuzione giornaliera pensionabile, ed in misura variabile decrescente per una seconda parte; non si introduce, dunque, una nuova nozione di retribuzione giornaliera pensionabile per i lavoratori dello spettacolo che al 31/12/1995 abbiano già maturato un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, né una deroga al criterio del pro-quota per le anzianità maturate dopo il 31/12/1992 (criterio retributivo in quota B), e va osservato che il rinvio alla retribuzione annua pensionabile diviso 3 12 costituisce il parametro (‘limite massimo’) di retribuzione giornaliera pensionabile (‘corrispondente’) al quale applicare l’aliquota di rendimento del 2%, destinata a decrescere per le quote retributive eccedenti il predetto limite secondo gli scaglion i dell’art. 12 del D.Lgs. 503/92. Si aggiunga che il criterio di calcolo della retribuzione giornaliera è connaturato alle prestazioni dei lavoratori dello spettacolo, e che il tetto di retribuzione giornaliera pensionabile del settimo comma (di Lire 315mila) è rimasto inalterato nella sua astratta oggettività, fatta salva la rivalutazione annua in base ISTAT a decorrere dal 1/1/1998 come novellato dall’art. 1 co .10 D.Lgs. 182/97. Infine, alcuna incidenza ha, ai fini di una diversa determinazione della base di calcolo nel caso in esame, il successivo comma 11 dell’art. 1 del d.lgs. 182/97, riferito al ‘ personale di cui al comma 1, nonché a coloro che esercitano la facoltà di opzione ai sensi dell’art. 1 comma 23 della Legge 8 agosto 1995 n.355 ‘, ossia a colo ro che sono sottoposti al regime contributivo, puro o opzionato.
4.3Resta fermo, pertanto, il criterio di calcolo dell’art. 12 co .7 DPR 1420/1971 come corretto dall’art. 1 co .10 D.Lgs. 182/97. Anche sul punto si rimanda a recenti pronunce di questa sezione; è stato affermato in ord. n.23988/2024 quanto segue: ‘ Sulla questione è recentemente intervenuta questa Corte (v.
Cass. 36056/22, seguita da altre, tra cui Cass. 38018/22, Cass. 870/23, Cass. 1775/23), affermando che nella determinazione della ‘quota B’ non si prendono in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite fissato dall’art. 12, co.7 d.P.R. n.1420/71, come modificato dall’art.1, co.10, d.lgs. n.182/97. Tale limite -si è spiegato- non è stato abrogato né espressamente dai successivi interventi legislativi, né per incompatibilità dall’art. 4, co.8, del medesimo d.lgs., dovendosi ritenere che la fissazione di un tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile, contribuendo a comporre i diversi interessi di rilievo costituzionale, sia coessenziale alla disciplina, in quanto si colloca in un sistema ampiamente favorevole per gli iscritti, in ordine all’entità delle prestazioni ed alle condizioni di accesso, rispetto a quello della generalità dei lavoratori assicurati presso l’Inps. ‘
Quanto affermato in tali pronunce viene qui condiviso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si uniformerà ai menzionati principi espressi da questa Corte e provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese della presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2024.
La Presidente
NOME COGNOME