Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2428 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 2428  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
Oggetto
Retribuzione rapporto privato
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/11/2023
CC
ORDINANZA
sul ricorso 28829-2021 proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati COGNOME NOME,  NOME  COGNOME,  NOME  COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliato  in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  710/2021  della  CORTE D’APPELLO  di  MILANO,  depositata  il  16/06/2021 R.G.N. 118/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di  consiglio  del  09/11/2023  dalla  Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
La Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di RAGIONE_SOCIALE, confermando la sentenza di primo grado che, sul presupposto della inefficacia della cessione di ramo d’azienda da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE (accertata con sentenza del Tribunale di Palermo n. 2150/2011, confermata dalla Corte d’appello e dalla Corte di cassazione con sentenza n. 28508/2017), aveva respinto l’opposizione di RAGIONE_SOCIALE al decreto ingiuntivo n. 1501/2019, con cui era stato intimato alla società il pagamento, in favore di NOME COGNOME, della somma di euro 210.976,64 a titolo di retribuzioni non percepite il periodo dall’8.12.2012 al 31.3.2019.
La Corte territoriale ha giudicato irrilevante l’accordo conciliativo concluso dal lavoratore con la cessionaria, per effetto del quale il predetto ha  accettato  il  licenziamento  a  fronte  della
corresponsione della somma di euro 88.000,00 quale incentivo all’esodo; ha premesso che il lavoratore ha presentato domanda di pensionamento il 4.3.2013 e che Ł titolare del trattamento pensionistico dall’1.4.2013; ha affermato, richiamando precedenti di legittimità, che il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegra nel posto di lavoro ma determina la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica; che il trattamento pensionistico, al pari di qualunque altro emolumento, sussidio, indennità, incentivo all’esodo, che il lavoratore possa aver percepito medio tempore, ‘non incide sul sinallagma contrattuale la cui persistenza, in capo al cedente, sia accertata in sede giurisdizionale’.
 Avverso  la  sentenza  RAGIONE_SOCIALE  ha proposto  ricorso  per  cassazione,  affidato  ad  un unico  motivo.  NOME  COGNOME  ha  resistito  con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
 Il  Collegio  si  Ł  riservato  di  depositare l’ordinanza  nei  successivi  sessanta  giorni,  ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che :
Con l’unico motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione  e  falsa  applicazione  dell’art.  22, comma 1 lett. c) della legge 153/1969, dell’art. 10, comma 6, d.lgs. 503/1992 nonché dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970.
La società ricorrente sostiene che i precedenti di legittimità richiamati dalla sentenza appellata (per tutte, Cass. n. 16136/2018) non siano pertinenti rispetto alla fattispecie oggetto di causa perchØ tali precedenti concernono ipotesi in cui la fruizione del trattamento di pensione Ł avvenuta quando non era esistente alcun rapporto di lavoro. Il caso in questione, si assume, Ł ben diverso perchØ la sentenza del tribunale di Palermo del 2011 ha accertato la illegittimità della cessione ed ha dichiarato ricostituito il rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE, a far data dalla cessione, cioŁ dal 2004. Con la conseguenza che, all’epoca in cui il lavoratore ha presentato domanda di pensione, nel marzo 2013, il rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi in iure esistente. Il pensionamento non Ł intervenuto sul rapporto instaurato di fatto con il cessionario, ma ha
interessato il rapporto originario del lavoratore con il cedente.
La società aggiunge che la sentenza d’appello contiene un’affermazione, esatta in astratto, ma inconferente nel caso concreto, secondo cui l’ordinamento ammette la compatibilità tra la fruizione del trattamento pensionistico e il rapporto di lavoro subordinato. Tale affermazione Ł corretta se riferita al caso di un lavoratore che, collocato in pensione, instauri un rapporto di lavoro subordinato con la società ex datrice di lavoro o con altra società. In tal caso il rapporto di lavoro Ł successivo al pensionamento, mentre nella fattispecie oggetto di causa il pensionamento Ł avvenuto in costanza di rapporto di lavoro. Infatti, la domanda di pensionamento risale al marzo 2013, dopo che era intervenuta la sentenza del tribunale di Palermo (del 2011) dichiarativa della illegittimità della cessione e della ricostituzione del rapporto di lavoro.
Rileva che nel caso in questione non si pone, come erroneamente ritenuto dai giudici di appello, un problema di cumulo o compensazione tra trattamento pensionistico e retributivo, bensì una questione piø complessa, derivante dal fatto che la fruizione del trattamento di pensione
presuppone, in base alle disposizioni sopra citate, la cessazione del rapporto di lavoro subordinato con chiunque esso sia instaurato. La domanda di pensione di anzianità Ł incompatibile con la continuazione del rapporto di lavoro subordinato con chiunque sia instaurato, come statuito da Cass. n. 14417 del 2019. Nel caso di specie, il rapporto di lavoro Ł terminato perchØ lo stesso lavoratore vi ha posto fine per effetto della domanda di pensionamento; tale rapporto non può essere ricostituito successivamente per volontà unilaterale di una sola parte. Il lavoratore del tutto legittimamente ha scelto di andare in pensione e tale condotta evidenzia, dal punto di vista soggettivo, una volontà, quantomeno tacita, di far cessare il rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE; dal punto di vista oggettivo, risulta assolutamente incompatibile con la persistenza di quel rapporto di lavoro.
Il ricorso non Ł fondato alla luce dei principi di diritto enunciati da questa Corte e a cui si Ł uniformata la decisione di appello.
 E’  stato  costantemente  affermato  che  il conseguimento  della  pensione  di  anzianità  non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore
illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica o il diritto dell’ente previdenziale alla ripetizione delle somme erogate), ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro. Infatti, il diritto a pensione discende dal verificarsi dei requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge e non si pone di per sØ come causa di risoluzione del rapporto di lavoro (v. Cass. n. 16136 del 2018; 16350 del 2017; n. 14634 del 2016; n. 16143 del 2014; n. 6906 del 2009; S.U. n. 12194 del 2002).
11. Tale principio Ł stato ribadito con riferimento ad ipotesi di illegittima cessione del rapporto di lavoro, escludendosi che la domanda e la percezione della pensione di anzianità comportasse di per sØ la risoluzione del rapporto di lavoro ripristinato in iure con il cedente (v. Cass. n. 8949 del 2020; n. 28824 del 2022; n. 32522 del 2023; non Ł pertinente il richiamo di parte ricorrente a Cass. n. 41013 del 2021; n. 1855 del
2002 e n. 12089 del 2023 -non massimate- in cui una diversa soluzione Ł stata adottata in ragione dell’accertamento  in  concreto  del  significato negoziale della domanda di pensione, unitamente ad altri elementi indiziari, quale volontà risolutiva del rapporto di lavoro).
 NØ  elementi  di  segno  contrario  possono ricavarsi dalla sentenza di questa Corte n. 14417 del 2019 che analizza il regime di cumulabilità della  pensione  di  anzianità  e  dei  redditi  da lavoro dipendente derivanti da rapporti instaurati dopo il pensionamento.
 Per  le  ragioni  esposte,  il  ricorso  deve essere respinto.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto  processuale  per  il  raddoppio  del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per
compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre  spese  forfettarie  nella  misura  del  15%  e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma  del  comma  1  bis  dello  stesso  art.13,  se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 9.11.2023