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Pensione e lavoro in nero: quando si restituisce

La Cassazione conferma il diritto dell’INPS a richiedere la restituzione della pensione di anzianità a chi svolge un’attività di lavoro in nero. La mancata comunicazione dello stato occupazionale, anche se irregolare, legittima la ripetizione dell’indebito e l’annullamento dei contributi fittizi. Questo caso chiarisce l’obbligo di trasparenza del pensionato e le conseguenze della sua omissione in tema di pensione e lavoro in nero.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Pensione e Lavoro in Nero: La Cassazione Conferma la Restituzione all’INPS

La combinazione tra pensione e lavoro in nero rappresenta una questione delicata con importanti conseguenze legali e previdenziali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: chi percepisce una pensione di anzianità ma continua a lavorare in modo non dichiarato è tenuto a restituire le somme indebitamente ricevute dall’INPS. La sentenza chiarisce inoltre che l’obbligo di comunicazione all’ente previdenziale sussiste sempre, anche quando il rapporto di lavoro è irregolare.

Il caso: Pensione di Anzianità e Impiego non Dichiarato

Il caso esaminato riguarda un lavoratore che, dopo aver ottenuto la pensione di anzianità, aveva continuato a prestare attività lavorativa “in nero” presso un’organizzazione sindacale. La situazione era ulteriormente complicata dall’accredito di contribuzione figurativa basata su un presupposto falso: il lavoratore risultava formalmente assunto da un altro datore di lavoro e distaccato presso il sindacato, mentre in realtà era direttamente alle dipendenze di quest’ultimo.

L’INPS, una volta accertata la reale situazione di fatto (confermata anche da una precedente sentenza passata in giudicato tra il lavoratore e il sindacato), ha agito per ottenere la restituzione dei ratei pensionistici erogati e per annullare la contribuzione figurativa indebita. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’ente previdenziale, spingendo il lavoratore a ricorrere in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Posizione dei Giudici di Merito

Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre motivi principali:

1. Nullità della sentenza d’appello: per presunta contraddittorietà nell’aver utilizzato le prove emerse nel precedente giudizio di lavoro.
2. Inesigibilità della comunicazione: sostenendo che non gli si poteva imputare la mancata comunicazione all’INPS, poiché denunciare il lavoro in nero lo avrebbe esposto al rischio di licenziamento.
3. Violazione del diritto quesito: affermando che l’INPS non poteva annullare retroattivamente la contribuzione figurativa, in quanto si trattava di un diritto ormai acquisito.

I giudici di merito avevano respinto tali argomentazioni, sottolineando che la sentenza precedente aveva effetti riflessi anche nei confronti dell’INPS e che l’obbligo di comunicare la propria situazione lavorativa non ammette eccezioni.

Pensione e Lavoro in Nero: Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello con motivazioni chiare e precise, che rafforzano i principi di trasparenza e correttezza nei rapporti con l’ente previdenziale.

Validità delle prove e giudicato

La Corte ha stabilito che non vi era alcuna contraddizione nella sentenza impugnata. Le prove acquisite nel giudizio tra il lavoratore e il sindacato erano pienamente utilizzabili, data l’efficacia riflessa del giudicato. Poiché il lavoratore era parte di quel processo, il suo diritto di difesa era stato pienamente garantito.

L’obbligo di comunicazione all’INPS

Questo è il punto centrale della decisione. Secondo la legge (in particolare l’art. 13 della L. 412/91), il pensionato ha il dovere di segnalare qualsiasi fatto che incida sul diritto o sulla misura della pensione. La sussistenza di un rapporto di lavoro, anche se “in nero”, è un fatto incompatibile con la pensione di anzianità e doveva essere comunicato. La Corte ha precisato che il lavoratore non può giustificare la propria omissione con il timore di perdere il lavoro, poiché egli ha il diritto di agire legalmente per la regolarizzazione del rapporto, come di fatto aveva poi fatto.

L’insussistenza del diritto quesito

Infine, la Cassazione ha smontato la tesi del diritto quesito sulla contribuzione figurativa. Un diritto può definirsi “quesito” solo se sorge sulla base di presupposti validi e reali. In questo caso, i presupposti per la contribuzione figurativa (assunzione presso un datore e distacco sindacale) erano fittizi. L’INPS aveva accreditato i contributi basandosi su una rappresentazione errata della realtà. La mancanza dei requisiti costitutivi fin dall’origine impedisce la formazione di qualsiasi diritto o affidamento legittimo.

Le Conclusioni: Obblighi di Trasparenza e Conseguenze

L’ordinanza ribadisce che la percezione di una pensione è subordinata al rispetto di precisi obblighi di trasparenza. La mancata comunicazione di un’attività lavorativa, per quanto irregolare, costituisce una violazione che legittima pienamente l’INPS a richiedere la restituzione delle somme indebitamente percepite. La decisione serve da monito: la scelta di non regolarizzare la propria posizione lavorativa non solo è illegale, ma non offre alcuna protezione contro le azioni di recupero degli enti previdenziali.

Chi percepisce la pensione di anzianità può svolgere un lavoro “in nero”?
No. La sentenza chiarisce che la sussistenza di un rapporto di lavoro, anche se “in nero”, è incompatibile con il diritto alla pensione di anzianità e obbliga alla restituzione delle somme percepite.

Il pensionato è obbligato a comunicare all’INPS che sta lavorando, anche se il rapporto è irregolare?
Sì. La Corte ha stabilito che l’omessa o incompleta segnalazione di fatti che incidono sul diritto alla pensione, come un rapporto di lavoro, consente all’INPS di chiedere la restituzione delle somme. Il timore di perdere il lavoro non giustifica tale omissione.

L’INPS può annullare la contribuzione figurativa accreditata per errore?
Sì. Se i presupposti per l’accredito della contribuzione figurativa si rivelano inesistenti fin dall’origine (in questo caso, un finto distacco sindacale), non sorge alcun “diritto quesito”. Di conseguenza, l’INPS può legittimamente annullare tali contributi in via retroattiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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