Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33960 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33960 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8283-2017 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 687/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/09/2016 R.G.N. 262/2015;
Oggetto
R.G.N. 8283/2017
COGNOME
Rep.
Ud. 26/09/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/09/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di Appello di Bologna ha confermato la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda svolta dall’attuale ricorrente per il riconoscimento del diritto alla retrodatazione della pensione di vecchiaia in godimento;
l’attuale ricorrente, premettendo che il trattamento pensionistico gli era stato liquidato con decorrenza dal 1° aprile 2009 solo dopo la cessazione del rapporto lavorativo nel marzo 2009, aveva agito nei gradi di merito vantando il diritto al trattamento pensionistico, con decorrenza dal compimento del sessantesimo anno di età (1° maggio 2004), sul presupposto di avere perfezionato il prescritto requisito contributivo al 31 dicembre 1994, a mente della deroga prevista dall’art. 10, co. 8, d.lgs. n.503/1992, come sostituito dall’art. 11 legge n.537/1993, interpretata nel senso dell’alternatività della maturazione dei requisiti (contributivi/anagrafici) e della sussistenza del diritto al trattamento pensionistico in costanza di rapporto lavorativo alle dipendenze di terzi;
avverso tale sentenza il professor NOME COGNOME ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, al quale ha opposto difese l’INPS, successore ex lege dell’Enpals , con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative;
il Collegio ha autorizzato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso con i quali la parte ricorrente si duole di violazione di legge sono da rigettare non introducendo argomenti significativi a confutazione dell’ orientamento consolidato di questa Corte, al quale vado continuità, nel senso che la conservazione del previgente regime più favorevole riguarda non solo la disciplina del cumulo tra la pensione di vecchiaia (e di anzianità) già conseguita e il reddito da lavoro – di cui all’art. 10, d.lgs. n.503/92 – ma anche l’accesso alla pensione di vecchiaia, con esonero dall’applicazione dell’articolo 1, comma 7 dello stesso decreto legislativo (v. Cass. nn. 20263/2021, 18992/2008; 15117/2005);
l’articolo 1 del decreto legislativo n.503 del 1992 ha stabilito, per la prima volta, con il comma 7, che il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia è subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro, introducendo così un requisito ulteriore rispetto a quelli assicurativo-contributivo e anagrafico;
il successivo articolo 10 ha previsto, al comma 1, la non cumulabilità della pensione di vecchiaia con i redditi da lavoro dipendente (e da lavoro autonomo nella misura del 50 per cento);
il comma 8 del medesimo articolo 10, nel testo originario disponeva: «Ai lavoratori, che alla data del 31 dicembre 1993 risultano già pensionati ovvero hanno maturato il diritto a pensionamento entro tale data e ne ottengano il trattamento nel corso del 1994, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla previgente normativa»;
la predetta disposizione è stata, poi, sostituita, con l’art. 11, comma 10, legge n. 537 del 1993, nei seguenti termini: «Ai lavoratori che alla data del 31 dicembre 1994 sono titolari di
pensione, ovvero hanno raggiunto i requisiti contributivi minimi per la liquidazione della pensione di vecchiaia o di anzianità, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alla previgente normativa, se più favorevole»;
la conservazione del previgente regime più favorevole riguarda non solo la disciplina del cumulo tra la pensione di vecchiaia (e di anzianità) già conseguita ed il reddito da lavoro – di cui allo stesso articolo 10 – ma anche l’accesso alla pensione di vecchiaia, con esonero dall’applicazione dell’articolo 1, comma 7 dello stesso decreto legislativo (v. Cass. n. 18992 del 2008 cit.; Cass. n. 15117 del 2005);
la richiamata disciplina transitoria, alla luce della intervenuta modifica normativa, è stata costantemente interpretata nel senso che per la conservazione del trattamento più favorevole quanto alla compatibilità tra la pensione e l’attività lavorativa non occorre che l’interessato ottenga la liquidazione della pensione alla data del 31 dicembre 1994 ma è sufficiente che egli raggiunga, alla medesima data, i relativi requisiti (per tutte, v. Cass. nn. 17360 del 2010, 3085 del 2015, 8545 del 2018);
parte ricorrente sostiene che la conservazione del trattamento previgente al decreto legislativo n. 503 del 1992, ai sensi del citato articolo 10, comma 8, non richiede, per la pensione di vecchiaia, il raggiungimento, al 31 dicembre 1994, anche del requisito anagrafico ma unicamente il possesso, alla stessa data, del requisito contributivo, facendo leva su di una interpretazione strettamente letterale della norma, nella parte in cui si riferisce esclusivamente al requisito «contributivo»;
trattasi di interpretazione non condivisa dalla costante giurisprudenza di legittimità (v. i precedenti richiamati nei paragrafi che precedono);
questa Corte ha già affermato, con sentenza 2 aprile 2004 n. 6573, che la pensione di vecchiaia può essere liquidata al «lavoratore» ove alla data del 31 dicembre 1994 abbia raggiunto i requisiti contributivi minimi «ed abbia maturato la anzianità anagrafica necessaria»;
la ratio della norma dell’articolo 10, comma 8, d.lgs. n.503 del 1992 è quella di non estendere il regime di nuova introduzione, più rigoroso quanto all’esercizio di un’attività lavorativa, a coloro che avessero maturato il diritto a pensione entro il 31 dicembre 1994 (e non il solo requisito contributivo), indipendentemente dall’effettivo pensionamento;
la limitazione letterale del testo normativo alla maturazione al 31 dicembre 1994 dei soli requisiti «contributivi» del diritto a pensione trova, invece, agevole giustificazione nel rilievo che nella pensione di vecchiaia i requisiti di contribuzione non possono essere disgiunti dal requisito anagrafico, in quanto la contribuzione richiesta è quella necessaria al momento di compimento dell’età pensionabile;
la stessa legge n. 503 del 1992 nell’elevare, con l’articolo 2, comma 1, il requisito contributivo della pensione di vecchiaia dai previgenti 15 anni a 20 anni, di assicurazione e contribuzione, ha stabilito un regime transitorio per il periodo compreso tra il 1° gennaio 1993 ed il 31 dicembre 2000 (articolo 2 comma 2 ed allegata tabella B) nel quale il requisito contributivo variava in aumento proprio in relazione all’anno di compimento dell’età pensionabile;
in definitiva, la norma dell’articolo 10, comma 8, d.lgs. n.503 del 1992 allorquando fa riferimento ai requisiti contributivi della pensione di vecchiaia dà per presupposto il raggiungimento dell’età pensionabile, sulla base della quale deve essere preventivamente determinato il requisito di contribuzione necessario alla maturazione del diritto a pensione;
quanto al requisito della cessazione del rapporto di lavoro si è affermato, in più occasioni (v. Cass. n. 4900 del 2012 e, più di recente, n. 14417 del 2019), che costituisce una presunzione di bisogno che giustifica, ai sensi dell’art. 38 Cost., l’erogazione della prestazione sociale;
la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato e la produzione, che ne consegue, di reddito da lavoro – dopo il perfezionamento dei requisiti – esclude lo stato di bisogno del lavoratore e, quindi, anche l’esigenza di garantire al lavoratore medesimo (ai sensi dell’art. 38, secondo comma, Cost.) mezzi adeguati alle esigenze di vita;
per tali ragioni il conseguimento del diritto alla pensione è subordinato alla cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro in essere, anche diverso da quello in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione deputata ad erogare la prestazione (cfr. Cass. n. 17530 del 2005);
peraltro, costituisce principio ormai acquisito che la cessazione del rapporto di lavoro -che condiziona il conseguimento della pensione di vecchiaia -risulta, all’evidenza, affatto diversa (arg. ex d.lgs. n. 503 del 1992, ex art. 10, in tema di disciplina del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro dipendente e autonomo) rispetto al cumulo tra la pensione medesima – una volta che questa sia stata conseguita – e i redditi da lavoro oppure da altra pensione,
con la conseguenza che, dalla comparazione delle discipline rispettive, non può risultare, in nessun caso, la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), attesa la non omogeneità;
assorbito ogni ulteriore profilo di censura, da quanto esposto discende che è immune da censure la sentenza impugnata che, in assenza del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia al 31 dicembre 1994 e della cessazione del rapporto di lavoro, ha escluso l’applicabilità del più favorevole regime previgente;
segue, coerente, la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai sensi dell’art.13,co .1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 26 settembre