Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25628 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25628 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
Oggetto
Pensione requisito contributivo e anagrafico
Art. 2, comma 3, lett. c), del d.lgs. n. 503/1992
R.G.N.13987/2022
COGNOME
Rep.
Ud 10/07/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 13987-2022 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2429/2021 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 12/01/2022 R.G.N. 520/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME Franco impugna la sentenza n. 2429/2021 della Corte d’appello di Bari che, in accoglimento del gravame dell’INPS, ha respinto la domanda volta al riconoscimento del trattamento pensionistico di vecchiaia alla data del gennaio 2012, in applicazione della deroga di cui all’art. 2, comma 3, lett. c), del d.lgs. n. 503/1992.
Propone un unico motivo di censura, illustrato da memoria. Resiste INPS con controricorso.
Chiamata la causa all’adunanza camerale del 10 luglio 2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (art.380 bis 1, secondo comma, cod. proc. civ.).
CONSIDERATO CHE
La ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 3, lett. c) del d.lgs. n. 503/1992 con riferimento al requisito contributivo per il diritto alla pensione di vecchiaia in deroga ai nuovi requisiti contributivi ed anagrafici introdotti dal d.lgs. n. 503/1992.
La sentenza ha così motivato.
-L’art. 2 del d.lgs. n. 503/1992 (rubricato ‘ Requisiti assicurativi e contributivi per il pensionamento di vecchiaia’) stabilisce: ‘1. Nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall’inizio dell’assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell’assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti.
In fase di prima applicazione i requisiti di cui al comma 1 sono stabiliti in base alla tabella B allegata.
In deroga ai commi 1 e 2: a)… b)…; c) nei casi di lavoratori dipendenti che hanno maturato al 31 dicembre 1992 una anzianità assicurativa e contributiva tale che, anche se incrementata dai periodi intercorrenti tra la predetta data e quella riferita all’età per il pensionamento di vecchiaia, non consentirebbe loro di conseguire i requisiti di cui ai commi 1 e 2, questi ultimi sono corrispondentemente ridotti fino al limite minimo previsto dalla previgente normativa’.
-Le deroghe di cui al terzo comma sono di stretta interpretazione ed insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazione estensiva.
-Quanto alla lettera c), bisogna attenersi ad un’interpretazione letterale: la formulazione della norma, nel fare riferimento per il computo dell’anzianità ai ‘periodi intercorrenti’, porta a ritenere che il requisito richiesto ai fini della deroga, consistente nell’assoluta impossibilità per il dipendente di raggiungere l’anzianità contributiva richiesta dalla sopravvenuta normativa, ‘non può che essere operata alla luce di un giudizio prognostico ex ante, computando l”anzianità maturata alla data del 31.12.1992 con quella astrattamente conseguibile nel successivo periodo precedente l’età pensionabile’.
-Deve dunque escludersi che la Franco potesse beneficiare, alla data di proposizione della domanda il 5.12.2011, del regime derogatorio di cui alla lettera c) posto che, alla data del 31.12.1992, la stessa era titolare di 677 settimane contributive, con un ‘età anagrafica di 42 anni, e pertanto, sino al compimento dell’età pensionabile (ulteriori 18 anni lavorativi) avrebbe ben potuto raggiungere -e persino superare – il requisito dei 20 anni di contribuzione, pari a 1040 settimane di contributi’.
Le censure non sono fondate.
L’art. 2 cit. stabilisce:
al comma 1, che “nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall’inizio dell’assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell’assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti”;
al comma 2, che “in fase di prima applicazione i requisiti di cui al comma 1 sono stabiliti in base alla tabella B allegata”;
al comma 3, che “in deroga ai commi 1 e 2: a) continuano a trovare applicazione i requisiti di assicurazione e contribuzione previsti dalla previgente normativa nei confronti dei soggetti che li abbiano maturati alla data del 31 dicembre 1992, ovvero che anteriormente a tale data siano stati ammessi alla prosecuzione volontaria di cui al D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, e successive modificazioni ed integrazioni; b) per i lavoratori subordinati che possono far valere un’anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati per almeno dieci anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare, e fatto salvo il requisito contributivo per il pensionamento di vecchiaia previsto dalla previgente normativa; c) nei casi di lavoratori dipendenti che hanno maturato al 31 dicembre 1992 una anzianità assicurativa e contributiva tale che, anche se incrementata dai periodi intercorrenti tra la predetta data e quella riferita all’età per il pensionamento di vecchiaia, non consentirebbe loro di conseguire i requisiti di cui ai commi 1 e 2, questi ultimi sono corrispondentemente ridotti fino al limite minimo previsto dalla previgente normativa”.
La norma è ‘sopravvissuta’ alle riforme successive ( in primis , al d.l. n. 201/2011 convertito nella legge n. 214/2011). Le deroghe alla regola generale di cui al comma 3 sono di stretta interpretazione.
Sul punto, in relazione all’ipotesi di cui alla lettera b), si è ben espressa, tra le altre, Cass. n. 10272/2018 che ha dettato un principio valido per tutte le deroghe di cui all’articolo in esame: «la richiamata norma, dettata dal cit. d.lgs. n 503/1992, comma 3, ha introdotto disposizioni derogatorie alla riforma previdenziale del 1992, così regolando, specificamente e tassativamente, per alcune particolari categorie di lavoratori, la successione di leggi in materia previdenziale, con l’applicazione della disciplina previgente “in deroga”, onde, per l’esplicita connotazione di norma derogatoria, ne resta preclusa l’interpretazione estensiva, mentre quella analogica, dovendo considerarsi la disposizione de qua norma eccezionale (come tutte le norme che introducono discipline transitorie), è vietata dall’art. 14 preleggi».
Cass. n. 17726/2017, richiamata dalla sentenza gravata, in un caso in cui era in discussione la estensibilità o meno l’ipotesi di cui alla lettera c) ai lavoratori autonomi, ha in primis ricostruito la genesi delle deroghe: «Le due ipotesi di deroga previste nella legge delega sono quelle che il legislatore delegato ha trasfuso rispettivamente nel D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 2, comma 3, lett. a) e b). L’ipotesi di cui alla lett. c) non era invece contemplata nella legge delega». Pertanto, «nell’interpretazione dell’ipotesi di cui al comma 3, lett. c) -… – occorre attenersi ad un’interpretazione letterale e restrittiva, non potendo spingersi
l’interprete ad estendere ulteriormente l’alveo applicativo di una previsione che, oltre a costituire una deroga al regime generale, costituisce già il frutto di un correttivo operato dal legislatore delegato in considerazione della particolare situazione in cui si sarebbero venuti a trovare i “lavoratori dipendenti” che, assoggettati al contestuale innalzamento del requisito anagrafico (solo per costoro avvenuto) e di quello contributivo – assicurativo (riguardante invece sia i lavoratori dipendenti sia quelli autonomi), pur continuando ad incrementare la propria anzianità assicurativa e contributiva dal 31 dicembre 1992, non avrebbero comunque potuto raggiungere, alla (nuova) soglia di età prevista per la pensione di vecchiaia, il più rigoroso requisito prescritto per il conseguimento dei diritto alla pensione di vecchiaia. La ragione giustificatrice della deroga contemplata dal legislatore delegato è ravvisabile solo per i “lavoratori dipendenti”, in quanto interessati da entrambe le modifiche di cui all’art. 1 (nuova età pensionabile) e all’art. 2 (innalzamento del requisito assicurativo – contributivo)».
Non si traggono elementi di segno contrario da Cass. n. 20229/2010, citata in memoria dalla ricorrente, che, viceversa, supporta la lettura data dall’INPS.
Si trattava del caso di soggetto che al 31 dicembre 1992 vantava solo otto anni di contributi e «nell’agosto 1999 al compimento del 60° anno di età, necessario per il pensionamento di vecchiaia, valendo per i lavoratori collocati in mobilità entro il 31.12.1994 il precedente limite in forza del richiamato art.6 comma 10 bis, del d.l. n. 148/93, non avrebbe di certo potuto conseguire il requisito di 16 anni di contribuzione, di cui alla Tabella B cit». Questa Corte scrive: «ecco, allora, che interviene l’ipotesi derogatoria di cui all’art. 2, comma 3) lett. c), che riduce il requisito contributivo
necessario al conseguimento del trattamento di vecchiaia al precedente limite di quindici anni», concludendo che «Deve, infatti, accogliersi, pur di fronte ad un tutt’altro che chiaro testo normativo in materia, l’opzione ermeneutica secondo cui l’applicabilità della disposizione di favore in esame è subordinata esclusivamente al fatto che l’anzianità contributiva maturata alla data del 31.12.1992, pur se incrementata (non importa se in forza della prestazione di effettivo lavoro oppure in forza di una contribuzione “figurativa”) per tutto il periodo fino al compimento dell’età richiesta per il pensionamento di vecchiaia, non consenta di raggiungere il nuovo e più rigoroso requisito contributivo fissato dall’art.2 del d.lgs. n.503/92».
La Corte territoriale si è attenuta ai detti principi, con la conseguenza che il ricorso va rigettato, con condanna al pagamento delle spese secondo soccombenza, come liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €4000,00 per compensi , €200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 10 luglio 2025.
La Presidente NOME COGNOME