Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27630 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27630 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37502/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME -ricorrente- contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’avvocatura centrale dell’istituto, in INDIRIZZO INDIRIZZO, r appresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 260/2019 pubblicata il 13/09/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia ha accolto il gravame proposto da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nella controversia con NOME COGNOME.
La controversia ha per oggetto in via principale l’accertamento della illegittimità del provvedimento di annullamento della pensione di anzianità già liquidata dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con decorrenza dallo 01/03/2006, disposto nel 2012 dall’istituto previdenziale perché era stato accertato che la COGNOME dopo essersi dimessa il 28/02/2006 aveva costituito con il medesimo datore di lavoro un nuovo rapporto di lavoro subordinato part time, con decorrenza dallo 01/03/2006. In via subordinata la irripetibilità dei ratei già erogati, per la sua buona fede.
Il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda proposta in via principale dalla COGNOME.
La corte territoriale, in integrale riforma della sentenza appellata, l’ha rigettata, richiamando i precedenti conformi di Cass. 5052/2016 e Cass.19337/2018. La corte ha rigettato anche la domanda proposta in via subordinata, ritenendo provato il difetto di buona
fede della COGNOME.
Per la cassazione della sentenza ricorre la COGNOME, con ricorso affidato a due motivi, ai quali resiste RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Al termine della camera di consiglio il collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine previsto dall’art.380 bis.1 ultimo comma cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo (rubricabile ex art. 360 comma primo n.3 cod. proc. civ.) la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 22 della legge n. 153/1969 «in relazione alla violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali di ragionevolezza ed uguaglianza».
Sul punto si intende dare continuità all’orientamento di Cass. 11/12/2023 n.34527, nel quale viene compendiata l’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte sulla questione controversa: «come già rilevato da questa Corte (v. sentenza n. 4900/12), per entrambe le disposizioni citate il requisito della cessazione del rapporto di lavoro costituisce infatti, una “presunzione di bisogno” che giustifica ai sensi dell’art. 38 Cost., l’erogazione della prestazione sociale; infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro subordinato e la produzione, che ne consegue, di reddito da lavoro – dopo il perfezionamento dei requisiti – esclude lo stato di bisogno del lavoratore e, quindi, anche l’esigenza di garantire al lavoratore medesimo (ai sensi dell’art. 38 Cost., comma 2) mezzi adeguati alle esigenze di vita; per tali ragioni il conseguimento del diritto alla pensione è subordinato alla cessazione di qualsiasi rapporto di lavoro in essere, anche diverso da quello in riferimento al quale sono stati versati i contributi alla gestione deputata ad erogare la prestazione (cfr. Cass. n. 17530/2005); peraltro, è stato anche chiarito che la cessazione del rapporto di lavoro – che condiziona il conseguimento della pensione di vecchiaia – risulta, all’evidenza, affatto diversa (ex d.lgs. n. 503 del 1992, ex art. 10, in tema di disciplina del cumulo tra pensioni e redditi da lavoro dipendente e autonomo) rispetto al cumulo tra la pensione medesima – una volta che questa sia stata conseguita – e i redditi da lavoro oppure da altra pensione, con la conseguenza che, dalla comparazione delle discipline rispettive, non può risultare, in nessun caso, la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), attesa la non omogeneità; l’interpretazione giurisprudenziale in materia, oltre a considerare la
cessazione dell’attività lavorativa, al pari dell’anzianità contributiva ed assicurativa, quale presupposto necessario per l’insorgenza del diritto alla pensione di anzianità (v. Cass. n. 6571/2002), ha ritenuto momento fondante quello di presentazione della domanda (Cass. n. 14132/2004); la giurisprudenza più recente ha rimarcato che per conseguire il diritto al trattamento pensionistico è comunque necessaria, in caso di medesimo o diverso datore di lavoro, una soluzione di continuità fra i successivi rapporti di lavoro al momento della richiesta della pensione di anzianità e della decorrenza della pensione stessa (così Cass. n. 4898/2012 cit.) e ciò al fine di evitare che la percezione della pensione di anzianità avvenga contemporaneamente alla prestazione dell’attività lavorativa subordinata (in tal senso cfr. Cass. n. 4900/2012 cit.); nell’individuazione di tale discontinuità tra la precedente attività lavorativa e quella successiva, non si dovrà, dunque ricercare un mero iato temporale più o meno significativo ma partire dalla considerazione che, laddove l’attività lavorativa successiva al pensionamento intercorra con il medesimo datore di lavoro ed alle medesime condizioni di quelle proprie del rapporto precedente a tale evento, si configura una presunzione di simulazione dell’effettiva risoluzione del rapporto di lavoro al momento del pensionamento. Tale presunzione, tuttavia, può essere vinta mediante il ricorso a plurimi potenziali indici sintomatici, ulteriori rispetto ad un mero dato temporale, idonei a provare il carattere realmente novativo del rapporto di lavoro successivo al pensionamento; in sostanza, può affermarsi il principio secondo il quale: “Il regime di cumulabilità dei redditi da lavoro dipendente e della pensione di anzianità non esclude che quest’ultima possa essere erogata solo se al momento della presentazione della relativa domanda il rapporto di lavoro dipendente sia effettivamente cessato. A riguardo, deve ravvisarsi una presunzione semplice del carattere simulato della cessazione di
tale rapporto ove essa sia seguita da immediata riassunzione del lavoratore, alle medesime condizioni, presso lo stesso datore di lavoro».
Nel caso in esame la corte territoriale ha fatto esatta applicazione dei principi di diritto di Cass. 5052/2016, Cass. 19337/2018 (specificamente richiamate in motivazione) oltre che di Cass. 34527/2023 (qui richiamata), perché ha accertato in fatto la inesistenza di alcun iato temporale tra lo svolgimento dell’attività lavorativa subordinata e la percezione della pensione di anzianità, posto che la Guardi ha continuato a svolgere la propria attività alle dipendenze della società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nel periodo dalla presentazione della domanda in via amministrativa (10/10/2005) alle dimissioni (28/02/2006), e poi senza alcuna soluzione di continuità ha proseguito lo svolgimento dell’attività lavorativa, seppure part time , sempre alle dipendenze dello stesso datore di lavoro, con decorrenza dal giorno successivo a quello delle dimissioni, lo stesso giorno di decorrenza della pensione di anzianità.
Il motivo deve pertanto essere rigettato.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta «omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio anche in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 13 legge n.412/1991».
Il motivo è infondato. In disparte la sua inammissibilità, per la commistione indistinguibile delle censure ex art.360 comma primo nn. 3 e 5, deve comunque osservarsi che l’art.13 comma 2 della legge n.412/1991 prevede che: «L’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta, che non siano già conosciuti dall’ente competente, consente la ripetibilità delle somme indebitamente percepite».
È stato accertato in fatto, con un apprezzamento non più sindacabile nel giudizio di legittimità, che, nella «dichiarazione di responsabilità» sottoscritta dalla ricorrente lo 08/03/2006, la stessa
abbia dichiarato, «sotto la propria responsabilità di non essersi rioccupato, successivamente alla suddetta data, né in qualità di lavoratore dipendente né in qualità di lavoratore autonomo».
8.Come già ritenuto dalla corte territoriale, la dichiarazione resa dalla COGNOME è «non veritiera», e ciò non solo esclude la sua buona fede, ma integra altresì la fattispecie della omessa segnalazione di fatti incidenti sul diritto a pensione, in forza della disposizione appena richiamata.
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza. La parte ricorrente deve essere condannata al pagamento della somma di euro 4.500,00 a titolo di compensi, oltre a Iva, Cpa, rimborso spese generali ed euro 200,00 a titolo di esborsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della rico rrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME