Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24443 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 24443 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
SENTENZA
sul ricorso 9403-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME in qualità di erede di NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 739/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/10/2022 R.G.N. 503/2022;
Oggetto
Rivalutazione redditi da porre a base della pensione
R.G.N. 9403/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 14/05/2025
PU
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del tribunale della stessa città che aveva accolto la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME eredi di NOME COGNOME, nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e Assistenza Forense la quale aveva applicato, a partire dal 1.1.1983, ai redditi per la determinazione del tetto pensionabile il coefficiente di rivalutazione del 18,7% – sebbene questi dovessero invece essere rivalutati dal 1980 sulla base dei coefficienti e degli indici del periodo 1979/1980 nella misura del 21,1 % – con rivalutazione inferiore all’indice ISTAT e conseguente liquidazione della pensione di vecchiaia in misura inferiore a quella dovuta.
1.1. Il Tribunale aveva ritenuto che il sistema di adeguamento introdotto con l’art. 16 della legge n. 576 del 1980 (che prevede aumenti da determinare annualmente con decreto interministeriale ricognitivo degli indici Istat e da corrispondere dal 1° gennaio dell’anno successivo) trovasse applicazione anche nei confronti di coloro che all’epoca dell’adeguamento non fruivano ancora della pensione.
1.2. La Corte di appello ha ritenuto che le critiche mosse alla sentenza di primo grado fossero infondate.
1.3. Specificatamente ha accertato che il sistema di adeguamento delle pensioni dei professionisti a carico della
Cassa Forense previsto dall’art. 16 della legge n. 576 del 1980 opera anche nei confronti di coloro che al momento dell’emissione del decreto interministeriale non avevano ancora maturato il diritto alla pensione.
1.4. Ha ritenuto che a norma dell’art. 15 della citata legge n. 576 i redditi utili per la determinazione della pensione da utilizzare come base di calcolo della stessa devono essere rivalutati in base all’andamento dell’indice ISTAT e, in base al disposto dell ‘art. 16, sono aumentati in proporzione alle variazioni annue, stabilite con delibera del Consiglio di amministrazione e decorrenti dal 1° gennaio dell’anno successivo alla sua adozione. Ha evidenziato che con riguardo alla prima applicazione dell’art. 16 l’art. 27 u ltimo comma ha disposto che si debba fare riferimento all’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della legge 576 del 1980.
1.5. La Corte ha poi escluso che potesse rilevare il fatto che, per un errore imputabile alla Cassa, erano stati versati contributi in misura minore rispetto a quella dovuta, contributi medio tempore prescritti, che invece concorrono a formare l’anzianità contributiva non essendo previsto che, quando il versamento sia inferiore al dovuto questa sia annullata.
1.6. Ha evidenziato che il Regolamento del 2005, approvato nel 2006 e poi modificato nel 2011, che prevede che una volta intervenuta la prescrizione i contributi non possono essere più né pagati né richiesti e divengono inefficaci, per il suo carattere intrinsecamente normativo si applica solo dalla sua entrata in vigore e non ha carattere retroattivo.
1.7. Ha osservato ancora che la sanzione dell’inefficacia può derivare solo da un denunciato e accertato inadempimento dell’iscritto e non può operare ex post annullando un’annualità allora ritenuta regolare.
1.8. La Corte ha poi escluso che fossero dovuti i contributi omessi (chiesti dalla Cassa) osservando che la pensione di vecchiaia è ancorata ai redditi prodotti (alla media degli stessi) da rivalutare in base ai criteri indicati dalla legge n. 576 del 1980.
1.9. Infine, ha chiarito che la pensione deve essere calcolata sulla base del reddito dichiarato e che l’adeguamento di tale reddito, per effetto del meccanismo di rivalutazione previsto dalla citata legge, vale a conservare il valore di qualcosa per cui i contributi sono stati già versati (per aversi omissione contributiva sarebbe stato necessario che la Cassa avesse proceduto ad una variazione degli scaglioni di versamento dei contributi, cosa che non è avvenuta).
Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense con due motivi illustrati da memoria. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso ed hanno depositato anche memoria illustrativa.
2.1. A seguito di infruttuosa trattazione in adunanza camerale, la causa è stata rinviata all’odierna udienza, in vista della quale si è costituito un nuovo difensore per la ricorrente, in luogo di quello originariamente nominato, essendosi risolto ex lege il rapporto a seguito di giuramento quale giudice della Corte costituzionale. L ‘ ufficio della Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
2.2. All’esito della camera di consiglio, il collegio si è riservato il deposito della sentenza nel termine di 90 giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma n . 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 15, 16 e 27 della legge n. 576 del 1980
e si contesta l’interpretazione data ne dalla Corte d’appello, che ha ritenuto di applicare la rivalutazione dei redditi professionali ‘pensionabili’ nel sistema previdenziale forense violando il principio di corrispondenza tra aumento delle pensioni e aumento delle contribuzioni.
1.1. Con la censura si deduce che la Corte sarebbe incorsa nella violazione delle norme citate per avere ritenuto che la misura del coefficiente di rivalutazione da applicare all’entrata in vigore della legge n. 576 del 1980 ai redditi utili per la determinazione della pensione sia quella del 21,1% (indice 1979-1980) e non quella ritenuta dalla Cassa del 18,7% (indice del 1981). Inoltre, si ritiene che la decorrenza dell’adeguamento debba essere fissata al 1.1.1983.
1.2. Si sostiene che tali conclusioni non solo comportano importanti riflessi economici sul bilancio della Cassa mettendone a repentaglio la sua stessa tenuta ma soprattutto muovono dall’errata interpretazione delle norme richiamate atteso che l’art. 27 comma 4 della legge n. 576 del 1980 non può avere una portata generale essendo piuttosto una norma a carattere eccezionale e transitorio.
Con il secondo motivo di ricorso in via subordinata è denunciata , in relazione all’art. 360 primo com ma n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l egge n. 576 del 1980 per avere la Corte d’appello ha ritenuto che l’avvocato libero-professionista abbia diritto alla pensione calcolata sui redditi dichiarati anche in caso di omissione contributiva, invece che sui soli redditi professionali corrispondenti ai contributi effettivamente versati.
Preliminarmente va respinta l ‘ eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dai controricorrenti non essendo il richiamo operato all’art. 360 commi 4 e 5 c.p.c. ed all’art . 348 ter commi
4 e 5 c.p.c. pertinente rispetto alle censure mosse alla sentenza della Corte di merito entrambe con riguardo all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c..
Il primo motivo è infondato.
4.1. In fattispecie analoghe alla presente, dove era chiesta la rivalutazione del trattamento pensionistico di vecchiaia ai sensi dell’art.2 l. n.576/80 in ragione di una diversa e maggiore rivalutazione dei redditi (artt.15 e 16, co.1), questa Corte (Cass.9698/10, Cass.16585/23, Cass.27609/24) ha affermato che la rivalutazione dei redditi, opera in conformità al disposto dell’art.27, co.4, ovvero secondo l’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della presente legge, cioè l’anno 1980, e d unque sulla base della variazione dell’indice ISTAT registrata nell’anno precedente, ovvero nel 1979.
4.2. Le citate pronunce poggiano tutte sul rilievo contenuto nella sentenza resa a sezioni unite da questa Corte (v. 7281/04) per cui, diversamente da quanto ritiene la Cassa, l’art.27, co.4 è norma non di diritto transitorio, ma che detta un criterio generale, applicabile non solo alle pensioni liquidate prima dell’entrata in vigore della l. n.576/80, bensì anche a quelle liquidate dopo. In particolare, il fatto che la legge si applichi alle pensioni di vecchiaia maturate dal primo gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, ovvero dal 1982 (art.26, co.1), non toglie che, ai fini del loro calcolo secondo il sistema retributivo, la media dei dieci migliori redditi computati sui quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione, opera previa rivalutazione di detti redditi a partire dall’anno di entrata della legge, e quindi dal 1980.
4.3. Si deve qui aggiungere che tale interpretazione non è smentita dalla sentenza di questa Corte a sezioni unite n.7281/04, nella parte in cui assume invece a riferimento
l’indice ISTAT del 1981 relativo al 1980. Tale sentenza ha riguardato infatti la diversa tematica della rivalutazione delle pensioni, ai sensi dell’art.16, co.1, non già la rivalutazione dei redditi (art.15), su cui calcolare l’ammontare della pensione secondo il sistema retributivo. Poiché le pensioni regolate dalla l. n.576/80 sono solo quelle che maturano dal 1° gennaio 1982, le sezioni unite hanno affermato che la rivalutazione della pensione avviene sulla base dell’indice del 1981 relativo al 1980 (ovv ero dell’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della legge), e quindi dell’indice precedente all’anno di prima erogazione, che tiene conto della svalutazione intervenuta nell’anno ancora precedente; in particolare in detta sentenza viene spiegato che: facendo riferimento al meccanismo di rivalutazione della pensione, se una pensione maturata nel corso di un qualsiasi anno si rivaluta già l’anno immediatamente successivo, ciò comporta necessariamente che si prenda come base di riferimento per operare la rivalutazione la delibera del consiglio di amministrazione della Cassa, emessa lo stesso anno del pensionamento, che necessariamente farà riferimento alla variazione intervenuta nel corso dell’anno precedente.
4.4. Nel caso di specie, invece, si tratta non di rivalutare le pensioni a far tempo dal primo anno successivo alla maturazione del diritto, previa delibera del consiglio di amministrazione della Cassa (commi 1 e 3 dell’art.16), ma di rivalutare i redditi, già prima della maturazione del diritto a pensione e già a partire dal 1980, anno di entrata in vigore della legge, per i redditi maturati a partire dal 1980.
4.5. Conferma della presente lettura degli artt.15, 26 e 27 l. n.576/80 si rinviene nel secondo comma dell’art.27, in base al quale la prima tabella di cui all’art.15, co.2 ovvero la tabella
dei coefficienti di rivalutazione dei redditi redatta dal consiglio di amministrazione della Cassa entro il 31 maggio di ogni anno sulla base dei dati ISTAT -è redatta entro quattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge. La prima tabella deve essere quindi redatta entro 4 mesi decorrenti dal 12.10.80, ovvero entro il 12.2.81, e quindi essa non poteva che prendere a riferimento l’indice medio ISTAT registrato nel 1980 sulla base della svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980, non certo l’ind ice ISTAT del 1981, il quale, essendo un indice medio annuo riferito all’intero anno solare, va assunto a riferimento solo al termine dell’anno 1981, anziché già dal 12.2.81.
4.6. Non osta a quanto fin qui detto il d.m. 30.9.82 adottato su delibera del consiglio di amministrazione della Cassa ex art.16, co.1, il quale fa decorrere la rivalutazione, sia delle pensioni che dei redditi, dal 1981. La delibera della Cassa, invero, ha valore meramente ricognitivo della variazione ISTAT registrata nell’anno precedente, e non può incidere sul criterio normativo primario posto dall’art.27, co.4, in tema di decorrenza della prima rivalutazione. Come affermato da questa Corte nelle citate pronunce nn.9698/10, e 16585/23, trattandosi di atto regolamentare, esso ben può essere disapplicato ove contrario alla norma primaria, ovvero l’art.27, co.4 l. n.576.
4.7. Il primo motivo di ricorso va dunque respinto, essendosi la Corte d’appello attenuta al seguente principio di diritto: ‘ In tema di previdenza forense, l’entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, va rivalutata a partire dall’anno di entrata in vigore della legge n.576/80 ai sensi dell’art.27, co.4 della stessa legge, e quindi dal 1980, applicando l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 ‘.
Il secondo motivo è fondato.
5.1. Occorre in primo luogo esaminare il tema dell’omissione contributiva, ovvero dell’inadempimento dell’obbligazione contributiva per la parte corrispondente alla differenza tra la rivalutazione dei redditi dovuta (indice medio ISTAT del 1980) e la rivalutazione invece applicata dalla Cassa (indice medio ISTAT del 1981).
5.2. Non è condivisibile l’idea per cui la rivalutazione sia una componente per così dire neutra, ovvero irrilevante ai fini della modulazione dell’obbligazione contributiva. Essa, al contrario, è parte integrante del reddito, di cui condivide la stessa natura, con la conseguenza che, ai fini dell’obbligo contributivo, così come ai fini del calcolo della prestazione secondo il metodo retributivo, importa non il reddito dichiarato, ma il reddito dichiarato ai fini IRPEF rivalutato.
5.3. Che la rivalutazione (dei redditi) incida sul quantum contributivo, nel senso che quest’ultimo ascenda a maggior importo dovuto in ragione del meccanismo rivalutativo, emerge chiaramente dall’impianto della legge n.576. Ai sensi dell’art.16, co.4, infatti, il contributo soggettivo minimo (art.10, co.2) è aumentato periodicamente proprio in relazione alla variazione dell’indice ISTAT. Per il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.1 l. n.576/80, invece, l’incidenza della rivalutazione sull’obbligo c ontributivo opera a mezzo della rivalutazione del reddito: rivalutando anno per anno il reddito su cui calcolare l’aliquota del contributo soggettivo (art.16, co.4 nel suo riferimento al limite di reddito di cui all’art.10, co.1), viene aumentato di anno i n anno l’importo del contributo (in percentuale del 10% sul maggior montante reddituale a seguito di rivalutazione).
5.4. Dunque, essendo stati versati contributi ex art.10, co.1, lett. a) inferiori a quelli dovuti, poiché parametrati nell’aliquota ad un montante reddituale rivalutato in misura inferiore rispetto a quella da considerare (18,7% anziché 21,1%), si deve conclude re per l’esistenza di una violazione dell’obbligazione contributiva. Ovviamente tanto rileva in questa sede non ai fini del profilo sanzionatorio (art.18), bensì ai fini del rapporto tra effettiva contribuzione (art.2) e misura della pensione, come oltre si dirà.
5.5. L’inadempimento nemmeno può essere ‘sanato’ dal fatto che sono stati poi pagati i contributi di cui all’art.10, co.1, lett. b), nonché il contributo integrativo dell’art.11. Nel caso di specie rileva l’inadempimento all’obbligazione contributiva di cui alla sola lettera a) dell’art.10, essendo tale obbligazione l’uni ca rilevante ai fini del diritto e della misura della pensione di vecchiaia (v. l’art.2, co.2, che richiama la sola lettera a) dell’art.10, co.1).
5.6. La difesa di parte controricorrente argomenta poi che inadempimento non vi sarebbe in quanto, all’epoca, fu pagato il contributo come richiesto dalla Cassa, sulla base della rivalutazione dei redditi operata dalla Cassa, sicché non vi fu errore addebitabile, stante la buona fede.
5.7. Premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’errore circa la convinzione di non essere obbligati (nel caso di specie, la convinzione di essere obbligati per una minor misura dell’obbligo contributivo), può valere come causa non imputabile di inadempimento ex art.1218 c.c. ove si tratti di errore non vincibile con la dovuta diligenza (Cass.1003/86, Cass.2586/86, Cass.7729/04), va detto che tale profilo attiene non all’inadempimento, il quale sussiste come violazione dell’obbligazione con tributiva (adempiuta solo
parzialmente), bensì alla sua non imputabilità, ai sensi dell’art.1218 c.c.
5.8. Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, al creditore basta allegare l’inadempimento (v. Cass., sez. un., n.13533/01), mentre incombe sul debitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere.
5.9. Il tema della prova liberatoria, non indagato dalla sentenza impugnata, andrà quindi valutato in sede di giudizio di rinvio.
Detto che vi fu inadempimento all’obbligazione contributiva occorre stabilire se tale inadempimento (parziale) incida sulla misura della pensione.
6.1. Ai sensi dell’art.2, co.1 l. n.576/80, la pensione di vecchiaia è pari, ‘ per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione ‘, all’1,75% della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.
6.2. Questa Corte (v. Cass.5672/12, Cass.7621/15, Cass.15643/18, Cass.30421/19, Cass.694/21) ha avuto modo di affermare, in relazione all’ ‘effettiva contribuzione’ dell’art.2, che essa non significa ‘integrale’, con la conseguenza che, sebbene parziale, essa s erve a far computare l’annualità di anzianità contributiva. Si è aggiunto in tali pronunce che la pensione di vecchiaia si ‘commisura’ alla contribuzione effettiva, essendo escluso ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige per il lavoro dipendente e che resta inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti. In particolare è stato specificato dalla sentenza n.5672/12, che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel
calcolo della pensione, e che il calcolo della pensione si fa ‘prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo’ Ancora, la sentenza n.15643/18, relativa alla pensione di vecchiaia dei geometri incentrata sull’art.2 l. n .773/82, che ha un testo identico a quello dell’art.2 l. n.576/80, per quanto qui di rilievo (‘per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione’), ha affermato che l’aggettivo effettiva ‘introduce un parametro di commisurazione della pensione alla con tribuzione “effettivamente” versata’.
6.3. Dal citato orientamento emerge il principio per cui il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati ‘effettivamente’ i contributi. Tale conclusione non rinnega il metodo di calcolo retributivo, poiché la pensione si calcola pur sempre prendendo a base la media dei miglior redditi, ma con il limite per cui -non vigendo il principio dell’automatismo della prestazione pensionistica -la misura del reddito denunciato ai fini IRPEF è da rapportare ai contributi effettivamente versati. Se, come nel caso di specie, sono stati versati contributi in misura parziale in ragione di una minor percentuale di rivalutazione del reddito, tale minor percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici. Né, così facendo, viene meno il principio di solidarietà che connota la previdenza forense e si trasforma questa in una previdenza mutualistica mediante introduzione di una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione e la prestazione (pensione di vecchiaia) (sul punto v. Corte Cost. n.67/18). Premesso che nemmeno riguardo alle pensioni calcolate secondo il metodo contributivo, dove più stringente è il rapporto tra contributi e ammontare della prestazione, si è mai sostenuto che esso introduca un meccanismo di stratta sinallagmaticità tale da far
perdere il connotato solidaristico al sistema pensionistico, nel caso di specie la pensione continua a essere rapportata non in via sinallagmatica alla contribuzione, poiché invece modulata su un parametro indipendente quale è quello del reddito. Inoltre, la presenza di contributi dovuti e tuttavia correlati non alla prestazione ma intesi a finanziare la solidarietà di categoria -quali sono il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.2, lett. b) e il contributo integrativo dell’art.11 conferma il carattere non mutualistico della previdenza forense.
6.4. Piuttosto, come già anticipato, è in ragione dell’assenza della regola di automaticità delle prestazioni che si giustifica la conclusione per cui, inadempiuto (in parte) l’obbligo contributivo, non v’è diritto ad una prestazione che non sia sorretta nel suo quantum dall’adempimento di tale obbligo, dovendo la contribuzione essere sempre ‘effettivamente’ versata.
6.5. Pare opportuno aggiungere, infine, che proprio l’assenza della regola di automaticità delle prestazioni dà ragione dell’irrilevanza della maturata prescrizione: il fatto che la Cassa abbia lasciato prescrivere il proprio credito contributivo non dà comunque diritto alla prestazione pensionistica maggiorata nel quantum , allo stesso modo per cui, non operando più l’art.2116 c.c. una volta maturata la prescrizione contributiva entro il sistema dell’AGO, il lavoratore non ha comunque diritto ad ottenere la prestazione dall’Inps, quanto piuttosto il risarcimento dei danni.
La sentenza va dunque cassata in accoglimento del secondo motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per gli accertamenti conseguenti all’applicazione del seguente principio di diritto: ‘ In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione
di vecchiaia, ai sensi dell’art.2 l. n.576/80, sono quelli coperti da contribuzione ‘effettivamente versata’, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt.10 e 18, co.4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto ‘.
In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per le spese di lite del presente giudizio di cassazione.
Roma, deciso nella camera di consiglio del 14.5.25
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
La Presidente
NOME COGNOME