LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Pensione a superstiti: No se il lavoro non è terapeutico

La Corte di Cassazione ha negato il diritto alla pensione a superstiti a una figlia maggiorenne, totalmente inabile e a carico del genitore defunto, a causa di un’attività lavorativa svolta. Sebbene il lavoro avesse un reddito minimo e una valenza terapeutica attestata da un medico, non rispettava i rigidi requisiti previsti dall’art. 46 del d.l. n. 248/2007. La Corte ha stabilito che, per non perdere il diritto alla pensione, l’attività lavorativa deve essere svolta esclusivamente presso datori di lavoro specifici (come cooperative sociali) e con determinate forme contrattuali (es. apprendistato), condizioni non soddisfatte nel caso di specie. Il basso reddito non è stato ritenuto sufficiente a superare il mancato rispetto di tali presupposti normativi.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Pensione a superstiti e lavoro: i limiti per i figli inabili

Il diritto alla pensione a superstiti per un figlio maggiorenne e inabile è un tema delicato, che bilancia la tutela della fragilità con la necessità di rispettare precisi requisiti di legge. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito che lo svolgimento di un’attività lavorativa, anche se a basso reddito e con finalità terapeutica, può precludere l’accesso alla prestazione se non rientra in una cornice normativa molto specifica.

Il caso: Lavoro terapeutico o ostacolo al diritto?

Il caso esaminato riguarda una donna, riconosciuta inabile al lavoro al 100%, che viveva a carico del padre, titolare di pensione. Dopo il decesso del genitore, la figlia ha richiesto all’INPS la pensione di reversibilità. L’Istituto ha negato la prestazione, poiché la richiedente svolgeva un’attività lavorativa, seppur per poche ore settimanali e con un reddito molto modesto (circa 200 euro mensili).

La lavoratrice sosteneva che tale impiego avesse una valenza puramente terapeutica, finalizzata a promuovere le sue capacità residue e la socializzazione, come attestato da un medico del Servizio Sanitario pubblico. In primo grado, il Tribunale le aveva dato ragione, accogliendo un’interpretazione più ampia e costituzionalmente orientata della legge.

Tuttavia, la Corte d’Appello, su ricorso dell’INPS, ha ribaltato la decisione. Il giudice di secondo grado ha rilevato che l’attività lavorativa non soddisfaceva i rigidi requisiti previsti dall’art. 46 del d.l. n. 248/2007, una norma specifica che disciplina le condizioni in cui un’attività lavorativa non è ostativa al conseguimento della pensione per gli inabili.

La decisione della Corte di Cassazione sulla pensione a superstiti

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso della donna, ha confermato la decisione della Corte d’Appello e ha respinto il ricorso. Secondo i giudici supremi, il diritto alla pensione a superstiti in presenza di un’attività lavorativa è subordinato al rispetto tassativo delle condizioni previste dalla legge, che funge da deroga al principio generale secondo cui l’inabile non deve svolgere alcuna attività lavorativa proficua.

Le motivazioni: L’interpretazione rigorosa dell’attività lavorativa compatibile

La Corte ha basato la sua decisione su un’interpretazione letterale e rigorosa dell’art. 46, comma 1-bis, del d.l. n. 248/2007. Questa norma stabilisce che l’attività svolta con finalità terapeutica non preclude il diritto alla pensione solo se rispetta precise condizioni oggettive. Nello specifico, il lavoro deve essere svolto:

1. Presso datori di lavoro specifici: Cooperative sociali (ai sensi della L. 381/1991) o aziende che assumono tramite convenzioni di integrazione lavorativa per disabili (L. 68/1999).
2. Con forme contrattuali determinate: Contratti di formazione e lavoro, contratti di apprendistato o con agevolazioni per l’assunzione di disoccupati di lunga durata.
3. Con un orario limitato: Non superiore alle 25 ore settimanali.

Nel caso in esame, la ricorrente era impiegata come socia lavoratrice presso una cooperativa che non rientrava nella categoria delle ‘cooperative sociali’. Inoltre, il suo contratto non era né di formazione né di apprendistato. La Corte ha sottolineato che questi requisiti sono tipizzati e non ammettono interpretazioni estensive.

Di conseguenza, il semplice fatto che il reddito fosse basso o che un medico avesse attestato la valenza terapeutica del lavoro non era sufficiente. La legge ha delineato uno ‘schema normativo’ preciso per bilanciare l’esigenza di tutela con l’inserimento lavorativo, e l’attività della ricorrente non rientrava in tale schema. La Corte ha concluso che, al di fuori di queste precise eccezioni, lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa è considerato ostativo al conseguimento della prestazione.

Conclusioni: cosa significa questa sentenza per la pensione a superstiti

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: le norme che introducono eccezioni a una regola generale devono essere interpretate in modo restrittivo. Per i figli maggiorenni e inabili, la possibilità di cumulare la pensione a superstiti con un reddito da lavoro è limitata a contesti lavorativi protetti e specificamente previsti dal legislatore. Non è sufficiente dimostrare lo stato di bisogno o la finalità terapeutica dell’impiego; è indispensabile che la natura del datore di lavoro e la forma contrattuale corrispondano esattamente a quanto previsto dalla legge. Questa decisione serve da monito per chi si trova in situazioni simili, evidenziando l’importanza di verificare la piena conformità del rapporto di lavoro alla normativa previdenziale prima di intraprendere un’attività che potrebbe compromettere un diritto fondamentale.

Un figlio maggiorenne, totalmente inabile, che svolge un piccolo lavoro perde il diritto alla pensione a superstiti del genitore?
Sì, di regola perde il diritto. L’attività lavorativa è considerata ostativa, a meno che non sia svolta nel rigoroso rispetto delle condizioni previste dall’art. 46 del d.l. 248/2007, che configura una specifica deroga.

Quali sono le condizioni precise affinché l’attività lavorativa di un figlio inabile sia compatibile con la pensione a superstiti?
L’attività, con finalità terapeutica e orario non superiore a 25 ore settimanali, deve essere svolta presso cooperative sociali o datori di lavoro che assumono tramite convenzioni di integrazione lavorativa, e con contratti specifici come quelli di formazione, apprendistato o con agevolazioni per disoccupati di lunga durata.

Il basso reddito percepito dal lavoro è sufficiente a garantire il diritto alla pensione?
No. Secondo la sentenza, il reddito percepito è irrilevante se non sono rispettati i requisiti formali e oggettivi riguardanti il tipo di datore di lavoro e la forma contrattuale previsti dalla legge. La Corte si concentra sulla natura del rapporto di lavoro, non sull’entità della sua remunerazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati