Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23339 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23339 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15198-2020 proposto da:
, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME; G.S.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 719/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO depositata il 04/10/2019 R.G.N. 38/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/03/2025 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME.
Oggetto
Pensione a superstiti
Art.46 d.l. 248/07
R.G.N.15198/2020
COGNOME.
Rep.
Ud.25/03/2025
CC
RILEVATO CHE
1.La Corte d’appello di Torino, in accoglimento del gravame proposto da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ha riformato la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto di a conseguire, quale orfana maggiorenne, la pensione di reversibilità del proprio genitore deceduto il 29/02/2016 già titolare di pensione di vecchiaia, a cui carico viveva essendo inabile al 100% e non essendo ritenuto ostativo il suo impegno in un’attività lavorativa di carattere terapeutico svolta prima, durante e dopo il decesso del genitore. G.S.
La Corte territoriale, tenuto conto delle ragioni del diniego della domanda in sede amministrativa non rispondendo l’attività svolta dalla richiedente ai requisiti di cui all’art. 46 d.l. n.248/2007 conv. in L. n. 31/2008, pur rilevando la condizione di invalidità con totale e permanente attività lavorativa certificata dall’ASL e la convivenza con il padre e la non autosufficienza della richiedente percettrice di un reddito inferiore alla sog lia di cui all’art 14 -septies L. n.33/1980, ha rilevato che la cooperativa presso la quale aveva svolto attività come socio lavoratore per dieci ore settimanali ed inquadramento di operaio di secondo livello CCNL RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE non rientrava tra le categorie dei datori di lavoro previsti dal citato art. 46, non trattandosi di una cooperativa sociale, né essendo stata la richiedente assunta con le modalità e forme contrattuali previste dalla legge, ossia con contratto di formazione e lavoro o apprendistato. G.S.
La Corte non ha, quindi, condiviso l’interpretazione più ampia resa dal Tribunale circa una lettura costituzionalmente orientata del dettato legislativo in ragione di una durata della prestazione
inferiore alle 25 ore settimanali, per un limitato periodo di pochi mesi di attività, con percezione di un esiguo reddito di euro 200,00 mensili, la cui valenza terapeutica era stata attestata da un medico del Servizio Sanitario pubblico che aveva riconosciuto la finalità di promozione delle residue capacità lavorative personali, la RAGIONE_SOCIALEzzazione gratificante per l’interessata, con funzione di stimolo e crescita personale. La Corte territoriale aveva, invece, escluso un’interpretazione disapplicativa del nucleo normativo richiedente elementi descrittivi tipici per definire un’attività connotata da finalità terapeutica.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione affidandosi a due motivi di ricorso, a cui RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. G.S.
La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 25/3/2025.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, sub art. 2, della Legge n.218/1952, così come sostituito dall’art. 22 della Legge n.903/1965, dell’art. 8 della Legge n.222/1984, dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 2907 c.c., per avere la Corte distrettuale negato il diritto della ricorrente ad ottenere la pensione ai superstiti sebbene possedesse i requisiti di legge. In applicazione della normativa citata si considerano a carico dell’assicurato i figli maggiorenni per i quali questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa, e si considerano inabili le persone che si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attiv ità lavorativa, e l’accertamento dell’inabilità deve essere
operato secondo un criterio concreto, avuto riguardo al possibile impiego di eventuali energie lavorative residue, sicché il diritto ad ottenere la prestazione si riconduce all’impossibilità di svolgere qualsiasi proficua attività lavorativa; la Corte avrebbe errato nel porre attenzione alla compatibilità dell’attività svolta dalla ricorrente con quella prevista dall’art. 46 d.l.n.248/2007, piuttosto che accertare se il reddito percepito escludesse o meno il suo stato di bisogno, condizione necessaria per e scludere sia l’inabilità che la vivenza a carico, e d’altronde lo svolgimento di un’attività lavorativa non conforme a quella prevista dall’art. 46, co . 1-bis, d.l. n. 248/2007 non osta di per sé alla liquidazione della prestazione se non sia sufficiente a garantire almeno il soddisfacimento delle elementari esigenze di vita. Nel caso di specie, lo svolgimento di un’attività lavorativa con un reddito di euro 1.278,00 annui non faceva venir meno lo stato di bisogno. La Corte non avrebbe dovuto, cioè, concent rare la propria attenzione solo sull’art. 46 ma avrebbe dovuto tener conto dell’intera normativa che disciplina la pensione ai superstiti.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co. 1 n.3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 46 d.l. n. 248/2007 nella sua interpretazione costituzionalmente orientata; un’interpretazione meramente letterale rischierebbe di porre la disciplina in esame in contrasto con l’orientamento costituzionale che, ad esempio per il figlio maggiorenne studente, aveva ritenuto di escludere la perdita della reversibilità in caso di esigua remunerazione di un’attività lavorativa; un’ interpretazione meramente letterale sarebbe ‘antistorica’ e non coerente con l’intero sistema normativo , laddove una prestazione precaria e saltuaria con reddito minimo
non fa perdere all’orfano studente la reversibilità finalizzata a garantire la continuità del sostentamento.
Nel controricorso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE osserva che la normativa vigente di cui all’art. 46, di cui non è consentita la disapplicazione, costituisce una deroga al principio per il quale spetti la pensione di reversibilità al figlio maggiorenne inabile oggettivamente impossibilitato a svolgere qualsiasi attività lavorativa a causa della propria infermità.
2. Il ricorso è infondato.
I due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente per evidente connessione delle disposizioni normative asseritamente violate.
La disciplina della pensione di reversibilità dettata dall’art. 13 del r.d.l. n.636/1939 come modificato dall’art. 22 della L. 903/1965, prevede al primo comma che nel caso di morte del pensionato spetti, al coniuge e ai figli superstiti che al momento del decesso del congiunto non abbiano superato l’età di 18 anni ed ai figli di qualunque età inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso, una pensione nella misura percentuale stabilita dal comma successivo, secondo aliquote gradate in ragione del rapporto di coniugio e filiazione, e della compresenza e numero dei superstiti.
4.1 – La giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi. Il requisito della “vivenza a carico”, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una
situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va comunque considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile (cfr. Cass. n.9237/2018). In sostanza si tratta di requisito che, sebbene non richieda la dimostrazione della convivenza desumibile dalla comune residenza al momento del decesso, né della soggezione finanziaria del figlio maggiorenne ed inabile al genitore pensionato, pretende tuttavia che si accerti in fatto un mantenimento continuativo e prevalente.
4.3 La disciplina dell’art. 22, sopra citata, trova una sua deroga nella particolare disposizione di cui all’art. 46 del d.l. n.248/2007, che, in tema di disposizioni in favore di inabili, ha aggiunto all’art. 8 della L. n.222/1984 il seguente comma 1 -bis: ‘ L’attività svolta con finalità terapeutica dai figli riconosciuti inabili, secondo la definizione di cui al comma 1 con orario non superiore alle 25 ore settimanali, presso le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui alla legge 8/11/1991 n.381, o presso datori di lavoro che assumono i predetti soggetti con convenzioni di integrazione lavorativa, di cui all’art. 11 della legge 12/3/1999 n.68 , con contratti di formazione e lavoro, con contratti di apprendistato o con le agevolazioni previste per le assunzioni di disoccupati di lunga durata, non preclude il conseguimento delle prestazioni di cui al citato art. 22, comma 1, della legge 21/7/1965 n.903 ‘.
4.4 – La disposizione normativa qui richiamata mira a coniugare gli obiettivi di solidarietà sociale e le finalità assistenziali che presidiano l’istituto della reversibilità con la finalità di non deRAGIONE_SOCIALEzzare gli inabili attraverso forme di inserimento in ambiti lavorativi idonei a sviluppare la personalità in modo
adeguato alle proprie condizioni socio-sanitarie. In questa ottica la disciplina del comma 1bis dell’art. 46 non può che essere letta secondo un’interpretazione rigorosa, vuoi per la peculiarità del beneficio riconosciuto in costanza di prestazioni pensionistiche ai superstiti, vuoi per la specificità dell’ambito organizzativo presso cui tali attività con finalità terapeutica vengano svolte, escludendone lo scopo di profitto insito nelle attività delle RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, società a mutualità prevalente finalizzate alla realizzazione di servizi alla persona o all’inserimento di lavorativo di soggetti svantaggiati.
4.5 – Va poi evidenziato che la normativa in esame introduce limiti orari e modalità assunzionali anch’essi orientati al soddisfacimento dell’interesse dell’inabile chiamato a svolgere un’attività con finalità terapeutica accertata , come prevede il successivo comma 1quater, dall’ente erogatore della pensione ai superstiti.
L’accertamento emerso nel corso del giudizio di merito ha escluso che l’attività lavorativa svolta dall’appellata, in questa sede ricorrente, rientri nello schema normativo delineato dall’art. 46 citato : per la natura della cooperativa datrice, non rientrante nella categoria delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; per le modalità di assunzione, non avvenuta nelle forme dei contratti di formazione e lavoro o con contratti di apprendistato o con le agevolazione previste per l’assunzione di disoccupati di lunga durata; e per la fonte di accertamento della finalità terapeutica dell’attività svolta, proveniente da un medico del Servizio Sanitario pubblico e non dall’ente erogatore della pensione ai superstiti.
La ricorrente non specifica le ragioni per le quali la pronuncia impugnata abbia errato nel non discostarsi dai requisiti oggettivi previsti dall’art. 46 d.l. n. 247/2008, tipizzati per fonte normativa e rispondenti a forme e modalità coerenti con gli obiettivi previsti dalla citata normativa.
6.1 – Non è poi riscontrato quanto assunto nel primo motivo di ricorso circa la preminente attenzione che avrebbe rivolto la Corte territoriale nell’accertamento della compatibilità dell’attività lavorativa svolta dalla ricorrente con quanto previsto dall’art. 4 6, in luogo della verifica che attraverso il reddito percepito sia o meno rimasto escluso lo stato di bisogno del richiedente. È la stessa disposizione normativa che prevede la non preclusione del conseguimento delle prestazioni dell’art. 22 L. n. 903/1965 nel caso di attività svolte con le finalità e le modalità previste dal comma 1-bis, pertanto, nel caso contrario in cui non ricorrano le predette caratteristiche resta invece preclusa la prestazione ai superstiti ex art.22.
6.2 Va anche precisato che l’impugnata sentenza aveva invece ritenuto pacificamente accertato il dato della invalidità civile al 100%, con totale e permanente inabilità lavorativa della richiedente, e la sua vivenza a carico al momento del decesso del genitore , essendo all’epoca non autosufficiente.
I motivi di ricorso non offrono specifici e puntuali argomenti idonei a sostenere l’eventuale compatibilità delle prestazioni svolte dopo il decesso del genitore con la prestazione pensionistica al figlio superstite a fronte di uno svolgimento di un’attivi tà lavorativa che, come asserito in sentenza, ‘oggettivamente si pone in contrapposizione con l’accertata situazione di invalidità al 100 %’, con la precisazione che essa
non è ostativa al conseguimento delle prestazioni ai superstiti qualora detta attività sia svolta con finalità terapeutiche: la mancata integrazione dei requisiti secondo definizione e disciplina dell’art. 46 rende, per contro, lo svolgimento dell’attività lavorativa ostativo al conseguimento della invocata prestazione.
Non è in questa sede, poi, verificabile, trattandosi di accertamento di merito non sindacabile, la valenza terapeutica dell’impegno lavorativo richiesto e svolto con la patologia che aveva determinato l’invalidità al 100%, rendendo la persona totalmente e permanentemente inabile al lavoro; né è verificabile in sede di legittimità la compatibilità economica del compenso percepito con il trattamento pensionistico in oggetto. Sul punto si rammenti che è onere della parte fornire la dimostrazione del mancato raggiungimento della soglia reddituale minima per il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita, sì da integrare la sussistenza dello stato di bisogno fra i requisiti di ammissione al trattamento pensionistico di reversibilità (sull’onere probatorio a carico del richiedente, cfr. tra le altre, Cass. n.8023/2016 e Cass. ord. n.11190/2025).
Sul piano del requisito dell’inabilità richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilità ai figli superstiti del pensionato, pur volendo seguire un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità ed alle generali attitudini del soggetto, questa Corte ha anche affermato che nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del 100% della astratta capacità di lavoro sia verificabile la permanenza della capacità del soggetto di svolgere attività idonee nel quadro dell’art. 36 Cost . e tali da
procurare una fonte di guadagno non simbolico (cfr. ord. n.19530/2024 e n.28614/2020); nel caso di specie la condizione totalmente invalidante del 100% impedirebbe anche la verifica di un concreto e possibile impiego di energie lavorative residue, compatibile soltanto, si ripete, nel caso in cui ricorrano, invece, i requisiti di cui all’art. 46 d.l. n.248/2007. Ed infatti, come osservato in ord. n. 8678/2018, l’art. 8 della L. n. 222/1984 attribuisce rilevanza, ai fini del riconoscimento della pensione di r iversibilità prevista dagli artt. 21 e 22 della L. n. 903/1965 ‘al criterio oggettivo della assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, nel senso che questa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità ed alle generali attitudini del soggetto’.
La sentenza, nel rigettare l’originaria domanda si è attenuta ai citati principi. Il ricorso va, quindi, respinto non sussistendo le denunciate violazioni.
Alla soccombenza non fa seguito la condanna alle spese tenuto conto della dichiarazione di cui al l’art.152 disp. att. c.p.c.
Ai sensi dell’art. 52, co.2, del d.lgs. n. 196/2003, in presenza di dati sensibili a tutela della dignità dell’interessata e della riservatezza sulle condizioni di salute, si dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l’omissione delle generalità e di ogni altro dato identificativo della parte ricorrente.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente.
Roma, deciso all’adunanza camerale del 25 marzo 2025 La Presidente NOME COGNOME