Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7490 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7490 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 1660-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2512/2019 RAGIONE_SOCIALE CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/07/2019 R.G.N. 3178/2017;
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 1660/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/02/2024
CC
udita la relazione RAGIONE_SOCIALE causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2512/2019, decidendo sull’impugnazione proposta da NOME COGNOME, dirigente medico di u.o.c. ospedaliera, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, confermava la pronuncia del Tribunale che aveva respinto la domanda del COGNOME intesa ad accertare la sussistenza del suo diritto potestativo alla permanenza in servizio fino al compimento dell’anzianità contributiva massima di 42 anni e 10 mesi (data coincidente con il suo 70° anno d’età); il COGNOME aveva impugnato il provvedimento adottato dall’RAGIONE_SOCIALE di collocamento a riposo alla data del 1° dicembre 2017 (40° anno di servizio effettivo) per raggiunti limiti di età e aveva rivendicato il suo diritto alla permanenza in servizio oltre il 65° anno, deducendo l’illegittimità RAGIONE_SOCIALE determinazione aziendale che aveva respinto tale sua domanda;
la Corte territoriale, condividendo sostanzialmente il decisum del Tribunale, riteneva che, alla luce del regime speciale dettato per i dirigenti medici dagli artt. 15 nonies d.lgs. n. 502/1992 e 22 legge n. 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro), non potesse configurarsi un diritto potestativo a restare in servizio per conseguire l’anzianità contributiva massima di 42 anni e 10 mesi e che non fosse conferente il richiamo alle sentenze RAGIONE_SOCIALE Corte cost. n. 33/2013 e n. 111/2017 che concernevano il prolungamento del servizio oltre i 65 anni al fine di maturare i requisiti per l’accesso alla pensione, qui assicurato già dall’RAGIONE_SOCIALE, che aveva trattenuto in servizio il COGNOME fino al
31.12.2017 (data in cui egli aveva oltre 65 anni) consentendogli di maturare 40 anni di servizio effettivo;
aggiungeva che la tesi attorea dell’implicita modifica dell’art. 22 legge n. 183/2010, ad opera dell’art. 24 d.l. n. 201/2011, conv. in legge n. 214/2011, che innalzava sia il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia sia quello contributivo per quella di anzianità, era in realtà errata, come si desumeva dalla norma di interpretazione autentica dell’art. 24, comma 4, secondo periodo, d.l. n. 201/2011 cit. (i.e., art. 2 comma 5 d.l. n. 101/2013);
evidenziava ancora che dall’art. 72 , comma 11, d.l. n. 112 del 2008, conv. in legge n. 133 del 2008, si evinceva solo che per i responsabili di struttura complessa, come il COGNOME, non era possibile il recesso anticipato dell’Amministrazione prima del raggiungimento del limite massimo d’età, ma non altro; l’esegesi prospettata era oltretutto confortata dalle circolari ministeriali che il giudice, in funzione di ausilio e chiarificatrice, può liberamente considerare, se conformi al diritto;
per la cassazione RAGIONE_SOCIALE sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME con quattro motivi; l’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che:
1 . con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 nonies d.lgs. n. 502 del 1992, 16 d.lgs. m. 503/1992, 22 legge n. 183/2010, 24 d.l. 201/2011, 2 comma 5 d.l. n. 103/2013, 72 comma 11 legge n. 133/2008, come modif. dal d.l. n. 90/2014, conv. in legge n. 114/2014; la Corte d’appello aveva mancato di considerare che il requisito previsto dall’art. 22 legge n. 183/2012 (40 anni di servizio effettivo) era stato superato dalla c.d. riforma Fornero che
aveva introdotto nuovi requisiti per la pensione di vecchiaia e la nuova pensione anticipata, sicchè era ormai anacronistico il riferimento ai 65° anno d’età dell’art. 15 nonies d.lgs. n. 502/1992, perché per andare in pensione bisogna avere 67 anni di età oppure 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, donde l’ulteriore rilievo che il COGNOME con 40 anni di servizio effettivo, al 1.12.2017, non avrebbe avuto diritto alla pensione;
con il secondo motivo si denuncia sempre la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 nonies d.lgs. n. 502 del 1992, 16 d.lgs. m. 503/1992, 22 legge n. 183/2010, 24 d.l. 201/2011, 2 comma 5 d.l. n. 103/2013, 72 comma 11 legge n. 133/2008; la Corte d’a ppello non si era avveduta che la circolare n. 2 del 2015 del RAGIONE_SOCIALE mai avrebbe potuto modificare la disciplina pensionistica vigente per i dirigenti di struttura complessa, che doveva essere interpretata nel senso di ritenere non più operante per i direttori medici l’art. 15 nonies d.lgs. n. 502/1992, come modif. dall’art. 22 legge n. 183/2010; quest’ultima norma era stata emanata nel periodo in cui la massima anzianità contributiva era fissata in 40 anni e questo requisito non poteva che essere considerato aggiornato (a partire dal 1.1.2012) dalle nuove soglie (42 anni e 10 mesi) ex art. 24 comma 4 d.l. n. 201/2011, conv. in legge n. 214/2011;
con il terzo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 nonies del d.lgs. n. 502 del 1992, 16 del d.lgs. n. 503/1992, 22 RAGIONE_SOCIALE legge n. 183/2010, 24 del d.l. 201/2011, 2 comma 5 del d.l. n. 103/2013, 72 comma 11 RAGIONE_SOCIALE legge n. 133/2008, nonché violazione dei principi enunciati da Corte cost. n. 33/2013 e n. 111/2017; la Corte d’appello non si era accorta che il requisito
dell’anzianità contributiva minima richiesto dalla Consulta nelle indicate pronunce andava letto con riferimento all’art. 2 comma 5 legge n. 125/2013, che a sua volta fa rinvio all’art. 24 comma 4 RAGIONE_SOCIALE legge n. 214/2011 e quindi non ha più nulla a che vedere con l’art. 22 comma 1 RAGIONE_SOCIALE legge n. 183/2010;
con il quarto, ed ultimo, motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 nonies del d.lgs. n. 502 del 1992, 16 del d.lgs. n. 503/1992, 22 RAGIONE_SOCIALE legge n. 183/2010, 24 del d.l. 201/2011, 72 comma 11 RAGIONE_SOCIALE legge n. 133/2008; la Corte d’appello aveva rigettato la deduzione con cui il ricorrente aveva denunciato, sulla base RAGIONE_SOCIALE delibera n. 1474 del 29.8.2017, la disparità di trattamento con altro dirigente medico di u.o.c., al quale era stato consentito il superamento del requisito dei 65 anni, ritenendola nuova e infondata nel merito, senza accorgersi che la delibera era successiva all’emissione RAGIONE_SOCIALE sentenza di primo grado, sicché la sua produzione non poteva dirsi tardiva;
erroneo era altresì il richiamo del giudice d’appello a Cass. n. 16354/2017 che non teneva conto del mutato (dopo il 2011) quadro normativo con le leggi Fornero e Madia (n. 214/2011 e n. 114/2014) né dell’equiparazione dei direttori di u.o.c. del SSN ad al tre figure professionali (magistrati e professori universitari) che non hanno vincoli di pensione di anzianità e per cui v’è permanenza in servizio fino ai 70 anni (che il COGNOME avrebbe raggiunto solo il 13.8.2020 in quanto nato il DATA_NASCITA);
i motivi, da valutarsi congiuntamente per ragioni di connessione logico-giuridica, sono nel complesso infondati;
5.1 occorre premettere che vanno chiaramente distinte nel pubblico impiego le due nozioni di «età lavorativa massima» e di «età pensionabile». La prima costituisce il limite massimo ordinamentale oltre
il quale non è consentito lavorare alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; la seconda individua il limite minimo di età anagrafica per accedere alla pensione. La prima nozione attiene dunque al rapporto di lavoro e la seconda al rapporto previdenziale, senza alcuna interferenza tra l’una e l’altra (Cass., Sez. L, n. 14267 del 2022). Il limite massimo dell’età lavorativa per i dipendenti dello Stato è fissato, salvo specifiche eccezioni, al compimento del 65° anno, in base all’art. 4 del d.P.R. n. 1092 del 1973. Tale limite, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non è stato elevato a seguito dell’innalzamento del requisito anagrafico per il conseguimento RAGIONE_SOCIALE pensione di vecchiaia operato con la riforma delle pensioni dell’anno 2011 (DL nr. 201/2011, conv. in L nr. 241/2011, articolo 24). La norma è intervenuta sulla disciplina pensionistica e non già su quella del limite dell’età lavorativa dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
5.2 ciò posto, va ricordato che l’art. 15 nonies del d.lgs. n. 502 del 1992 (Riordino RAGIONE_SOCIALE disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 RAGIONE_SOCIALE legge 23 ottobre 1992, n. 421), come modificato dall’art. 22, RAGIONE_SOCIALE legge n. 183 del 2010 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), ha previsto, al comma 1, che: «Il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e del ruolo RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, è stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno di
età, ovvero, su istanza dell’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti …»;
5.3 con sentenza n. 33 del 2013 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 15 nonies, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, e 16, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 503 del 1992 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 RAGIONE_SOCIALE legge 23 ottobre 1992, n. 421) – nel testo di essi quale vigente fino all’entrata in vigore dell’art. 22 RAGIONE_SOCIALE l. n. 183 del 2010, n. 183 – nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite massimo di età per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo RAGIONE_SOCIALE pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età;
5.4 con riferimento al rapporto tra l’art. 15 nonies del d.lgs. n. 502 del 1992 e l’art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 (come ratione temporis vigente all’epoca delle modifiche apportate a detto art. 15 nonies dall’art. 22 RAGIONE_SOCIALE l. n. 183 del 2010), questa Corte ha già affermato che la prima disposizione, non esclude l’ammissibilità del recesso anticipato, ai sensi dell’art. 72, comma 11, nei confronti del dirigente responsabile di struttura non complessa (e non è questo il caso di specie) che abbia maturato la massima anzianità contributiva (v. Cass. 22 ottobre 2020, n. 23153); si tratta, invero, di norme non incompatibili fra loro, perché operano su piani distinti, essendo l’una destinata a fissare i limiti massimi RAGIONE_SOCIALE permanenza in servizio, l’altra a consentire il recesso anticipato,
rispetto a detti limiti massimi, qualora sussistano le condizioni previste dalla legge (v. Cass. 3 luglio 2017, n. 16354);
5.5 nella fattispecie in esame il ricorrente lamenta che la sua istanza di trattenimento in servizio del 21.2.2012 sia stata respinta dall’A USL per il raggiungimento dei limiti d’età di 65 anni;
5.6 senonché, come indicato in detto art. 15 nonies d.lgs. n. 502/1992, il limite massimo di età per il collocamento a riposo resta stabilito al compimento del 65mo anno di età; è prevista la possibilità, previa istanza dell’interessato, di permanere in servizio oltre i sessantacinque anni di età ma per raggiungere i quaranta anni di servizio effettivo e purché sussistano due condizioni: a) che non sia stato raggiunto dal dirigente il settantesimo anno di età; b) che la permanenza in servizio non determini un aumento del numero dei dirigenti; salvo che si tratti di dirigente di struttura complessa, sulla volontà del dirigente di proseguire il rapporto di lavoro fino al quarantesimo anno di servizio effettivo e oltre il sessantacinquesimo anno di età può comunque prevalere l’esigenza dell’amministrazione di risolvere unilateralmente il contratto secondo la disciplina contenuta nell’articolo 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 112, convertito con modifiche dalla l. n. 133 del 2008 (ma, come detto, non è questa l’ipotesi che qui rileva); in ogni caso, l’aumento del numero dei dirigenti si configura come un fatto estintivo (o impeditivo) del diritto al mantenimento in servizio;
5.7 orbene, con riferimento alla situazione del COGNOME, la Corte territoriale ha ritenuto che la condizione soggettiva del mancato raggiungimento del 70° anno di età vi fosse ma, con accertamento in fatto insuscettibile di revisione in questa sede di legittimità, ha evidenziato che il dirigente aveva già maturato quarant’anni di
servizio effettivo alla data, di decorrenza RAGIONE_SOCIALE pensione, del 1.12.2017, in cui aveva compiuto 67 anni e 3 mesi; in considerazione di tanto, la permanenza in servizio non era necessaria a conseguire il diritto a pensione, avendo il dirigente medico maturato i requisiti pensionistici alla data del 1.12.2017: di conseguenza, come ritenuto dai giudici di secondo grado, non si appalesava conferente il richiamo alle pronunce RAGIONE_SOCIALE Corte cost. n. 33/2013 e n. 111/2017;
5.8 infatti, pur con la possibilità di procrastinare la cessazione dal servizio al fine di conseguire l’anzianità minima, il limite ordinamentale per la permanenza in servizio, previsto a 65 anni, è rimasto quello fissato, in via generale, dall’art. 4 del d.P.R. n. 1092 del 1973, per i dipendenti statali, e dal d.P.R. n. 761 del 1979, art. 53, per il personale RAGIONE_SOCIALE (si veda anche l’art. 12 RAGIONE_SOCIALE l. 20 marzo 1975, n. 70 per i dipendenti degli enti pubblici).
5.9 Tale limite non è stato (s’è già detto) modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia dall’art. 24, comma 6, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni in l. 22 dicembre 2011 n. 214, e costituisce soglia non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile RAGIONE_SOCIALE pensione ove essa non sia immediata (si veda quanto precisato dall’art. 2, comma 5, del d.l. 31 agosto 2013, n. 101, convertito nella l. 30 ottobre 2013, n. 125, che ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 24, comma 4, secondo periodo, del d.l. n. 201 del 2011).
5.10 Quindi, il collocamento a riposo d’ufficio nella pubblica amministrazione resta obbligatorio al compimento dei 65 anni del dipendente, salvo che il superamento del limite anagrafico serva a consentire al lavoratore il perfezionamento del diritto a una prestazione
pensionistica. Il suddetto limite è stato ribadito, appunto, dall’art. 15 nonies del d.lgs. n. 502 del 1992, aggiunto dall’art. 13, comma 1, del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229 cui sopra si è fatto riferimento, senza alcuna eccezione (si noti) per i responsabili di struttura complessa (Cass. n. 11008 del 09/11/2020).
in definitiva, l’insieme di tali considerazioni orienta senz’altro per la reiezione del ricorso, senza che sia suscettibile di apprezzamento l’ulteriore doglianza secondo cui il giudice d’appello si sarebbe adagiato sull’interpretazione circolare n. 2/2015 del RAGIONE_SOCIALE.
Invero, la Corte territoriale non ha (certo) posto in dubbio il principio per cui l’ordinamento affida esclusivamente al giudice il compito di interpretare la norma, ma si è limitata piuttosto a osservare, più semplicemente, che la circolare interpretativa può avere bensì una funzione di ausilio all’attività del giudice, (beninteso) se ‘conforme a diritto’ .
Del pari, a fronte RAGIONE_SOCIALE disciplina cogente sull’età lavorativa massima sopra richiamata, non ha pregio l’ ulteriore allegazione in ordine alla ventilata disparità di trattamento rispetto ad altro dirigente medico di u.o.c., in relazione alla cui posizione sarebbe preclusa, peraltro, ogni indagine di fatto in sede di legittimità.
Il ricorso, in via conclusiva, deve essere rigettato ed alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore RAGIONE_SOCIALE controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma-1 quater, dà atto RAGIONE_SOCIALE sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024.