Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21867 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 21867 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28721-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 678/2021 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/09/2021 R.G.N. 270/2020;
Oggetto
Lavoro privato Licenziamento
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 04/06/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Bologna, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 177.178,04 a titolo di risarcimento del danno da inadempimento delle obbligazioni assunte con il contratto stipulato tra le parti il 6 marzo 2014 (detratto l’importo di 15 mensilità dovute per l’esercizio dell’opzione prevista dall’art. 18, comma 3, della legge n. 300 del 1970, a seguito di reintegrazione nel posto di lavoro giudizialmente disposta in primo grado);
la Corte territoriale, in sintesi, ha innanzitutto premesso che erano passate in giudicato le statuizioni del giudice di prime cure in ordine al rigetto dell’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza che l’aveva condannata a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ed a corrispondergli le retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento all’effettiva reintegrazione e che pacificamente la RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato l’opzione in data 11 marzo 2015;
ha, quindi, valutato ed interpretato l’accordo stipulato tra le parti il 6.3.2014 (nonché le lettere di intenti stipulate in precedenza volte a disciplinare il rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti, con clausola di stabilità pari a 5 anni, nonché la concessione di un’abitazione); ha ritenuto che l’obbligo di erogare tutte le retribuzioni in caso di ‘recesso/revoca’ anticipata sforniti di giusta causa (rispetto al periodo quinquennale pattuito) operasse non esclusivamente
con riguardo al rapporto di lavoro bensì all’inadempimento di tutte le singole pattuizioni in esso contenute (fornendo una tutela rafforzata al lavoratore in caso di recesso dall’accordo in assenza di giusta causa);
la Corte, poi, una volta accertato il recesso senza giusta causa della RAGIONE_SOCIALE dall’accordo contrattuale (avendo la RAGIONE_SOCIALE stessa allontanato oralmente la COGNOME impedendole di rendere la prestazione lavorativa ed estromettendolo dall’abitazione), ha riconosciuto alla stessa le somme previste dal patto di stabilità (tutte le retribuzione come se il lavoratore avesse ‘lavorato per tutto il quinquennio’), essendo irrilevante (con riguardo alla risoluzione del rapporto di lavoro) l’esercizio della facoltà di opzione da parte della lavoratrice (essendosi ormai definitivamente realizzati i presupposti di operatività della clausola di stabilità) e dovendo sottolinearsi la differente natura dell’indennità sostitutiva rispetto a quella risarcitoria contrattualment e stabilita per il recesso dall’accordo contrattuale in carenza di giusta causa;
infine, il datore di lavoro è stato condannato a pagare le somme dovute quantificate mediante consulenza tecnica d’ufficio (espunti gli importi per ferie non godute), già comprensive della decurtazione riferita alle somme corrisposte (15 mensilità) quale indennità sostitutiva della reintegra;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la soccombente RAGIONE_SOCIALE con sette motivi, cui ha resistito l’intimata con controricorso;
entrambe le parti hanno comunicato memorie;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
i motivi del ricorso possono essere sintetizzati come di seguito;
1.1. col primo si denuncia si denuncia la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e 2 della legge n. 604 del 1966 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, travisato o comunque erroneamente interpretato la volontà delle pa rti desumibile dall’accordo concluso tra le parti il 6.3.2014;
1.2. il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto produttivo di effetti giuridici il licenziamento orale della RAGIONE_SOCIALE e, al contempo, privo di rilevanza risolutoria del rap porto di lavoro l’esercizio da parte della COGNOME dell’opzione di cui al comma 3 di detta disposizione;
1.3. col terzo mezzo si denuncia la violazione dell’art. 1383 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto alla dipendente il cumulo della penale prevista nell’accordo di stabilità (in caso di recesso anticipato non supportato da giusta causa ) con il risarcimento del danno previsto dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970;
1.4. con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 1384 c.c. in quanto la Corte territoriale avrebbe trascurato di ridurre l’ammontare dell’indennità risarcitoria stabilita dall’accordo contrattuale del marzo 2014;
1.5. col quinto mezzo si lamenta la violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. avendo, la Corte territoriale, erroneamente interpretato la volontà dei contraenti desumibile dall’accordo di stabilità, ritenendo esigibile in via anticipata e con pagamento da effettu arsi in un’unica soluzione il credito vantato dal
lavoratore (trascurando che detto credito maturava mese per mese, alla scadenza di ogni mensilità);
1.6. il sesto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, secondo comma, c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di prendere espressa e puntuale posizione sulle contestazioni mosse dalla parte datoriale in ordine al quantum calcolato dal CTU;
1.7. il settimo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1277 e 1382 c.c. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente riconosciuto la rivalutazione monetaria sulla somma riconosciuta alla COGNOME, senza considerare che la penale costituisce un debito di valuta (e pertanto non è suscettibile di rivalutazione monetaria);
il ricorso non può trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte su vicenda processuale parallela a quella presente e su ricorso per cassazione avente analoghe censure (cfr. Cass. n. 16066 del 2024, alla quale pure si rinvia per ogni ulteriore aspetto qui non esaminato);
2.1. i primi tre motivi di ricorso, valutabili congiuntamente per connessione, non meritano accoglimento;
come più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e
quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 28319 del 2017; conf.: Cass. n. 16987 del 2018; Cass. 30137 del 2021); la Corte territoriale ha accertato la violazione dell’accordo stipulato (nel 2014) dalle parti sia con riguardo al rapporto di lavoro sia in relazione al profilo abitativo, e coerentemente all’interpretazione offerta alle parole ‘recesso/revoca’ contenute nel patto, ha riconosciuto al lavoratore le somme ivi pattuite a fronte dell’inadempimento di entrambe le obbligazioni (concernenti non solo l’attività lavorativa ma anche l’alloggio); invero, l’ordine di ripristinare il rapporto di lavoro in applicazione dell’art. 18, comma 1, della legge n. 300 del 1970 e l’offerta di reintegrazione nel posto di lavoro rappresentano una fictio iuris che ricostituisce il contratto tra le parti ma che, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, non hanno cancellato ‘i presupposti di operatività della clausola già definitivamente concretatisi e come tali non passibili di essere annullati dall a mera rinuncia alla reintegra’ (pag. 9 della sentenza impugnata); la pronuncia è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte, in base al quale l’opzione del lavoratore tra reintegra nel posto di lavoro e indennità sostitutiva del preavviso costituisce un atto negoziale autonomo nell’esercizio di un diritto potestativo che deriva dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento (cfr. Cass. n. 5759 del 2019, ed ivi giurisprudenza citata); correttamente, dunque, la Corte di appello ha rilevato che l’atto interruttivo della
prestazione lavorativa andava rinvenuto nel licenziamento (illegittimo), mentre l’opzione effettuata dal lavoratore rappresentava solo una mera conseguenza degli inadempimenti posti in essere dal datore di lavoro;
coerentemente all’interpretazione del patto stipulato fra le parti -ossia che l’obbligo di erogare tutte le retribuzioni in caso di ‘recesso/revoca’ sforniti di giusta causa (rispetto al periodo quinquennale pattuito) operasse non esclusivamente con rigua rdo al rapporto di lavoro bensì all’inadempimento di tutte le singole pattuizioni in esso contenute -la Corte territoriale ha operato il cumulo delle somme previste dal suddetto patto con l’indennità risarcitoria dovuta ai sensi dell’art. 18, primo comma, della legge n. 300 del 1970, nel rispetto dell’autonomia negoziale delle parti che hanno inteso fornire una tutela rafforzata al lavoratore in caso di recesso dall’accordo in assenza di giusta causa (privandolo sia dell’attività lavorativa che dell’allogg io);
2.2. il quarto motivo non può trovare accoglimento;
questa Corte ha affermato che l’apprezzamento della eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, e della misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità se non negli aspetti relativi alla motivazione (Cass. n. 23750 del 2018);
nel caso di specie, la Corte territoriale ha fornito motivazione coerente con la ricostruzione esegetica del patto stipulato tra le parti, rilevando che ‘la somma individuata risulta già comprensiva della decurtazione riferita alle somme corrisposte quale indennità sostitutiva della reintegra e come tale emerge
adeguata rispetto all’inadempimento al patto che ineriva non solo la prestazione lavorativa, ma anche la disponibilità dell’abitazione sicché la riduzione invocata ex art. 1384 c.c., anche volendo reputare la natura di penale della clausola, non appare acc oglibile’;
2.3. il quinto motivo di ricorso è inammissibile perché, ancora una volta, sotto la veste formale della denuncia di violazione dei canoni ermeneutici nell’interpretazione di una clausola negoziale, nella sostanza si patrocina una diversa opzione esegetica nella lettura del patto che i giudici del merito hanno inteso nel senso che, in caso di inadempimento, l’erogazione delle somme dovesse avvenire con effetti immediati;
2.4. parimenti inammissibile il sesto motivo;
la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto dei rilievi avanzati alla Corte territoriale con riferimento all’elaborato formulato dal CTU, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c.;
2.5. il settimo motivo è infondato;
come già rilevato da Cass. n. 16066 del 2024 citata in premessa, ‘sulle somme riconosciute al lavoratore va sicuramente riconosciuto il cumulo tra interessi e risarcimento del danno da rivalutazione monetaria, previsto dall’art. 429, terzo comma, c.p.c., ove si tratti di crediti liquidati a titolo di risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, in quanto rappresentano pur sempre l’utilità economica che da questa il
lavoratore avrebbe tratto ove la relativa esecuzione non gli fosse stata impedita dall’ingiustificato recesso della controparte, profilo concorrente -nel caso di specie -con quello della privazione dell’abitazione, e l’obbligazione di fornire una abitazione al lavoratore rappresentava un adempimento accessorio alla prestazione principale (dello svolgimento di attività subordinata)’;
conclusivamente, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’AVV_NOTAIO che si è dichiarata antistataria;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’u lteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 6.000,00, oltre esborsi pari ad euro 200,00, spese generali al 15% ed accessori secondo legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 4 giugno 2024 .