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Patto di prova: quando è legittimo nel cambio appalto

Un lavoratore, impiegato per anni nello stesso appalto tramite diverse aziende, viene assunto dal nuovo appaltatore con un patto di prova e successivamente licenziato. La Corte di Cassazione ha stabilito che un patto di prova può essere legittimo, anche a parità di mansioni, se sussistono significative novità nel contesto lavorativo, come un nuovo datore di lavoro o una diversa organizzazione aziendale, che richiedono una nuova valutazione della convenienza del rapporto per entrambe le parti. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Patto di Prova nel Cambio Appalto: Legittimo anche con le Stesse Mansioni?

La stipula di un patto di prova all’inizio di un rapporto di lavoro è una prassi comune. Ma cosa accade quando un lavoratore, che ha svolto per anni le stesse mansioni nello stesso luogo, viene assunto da una nuova azienda subentrata nell’appalto? Può il nuovo datore di lavoro imporre un nuovo periodo di prova? Con l’ordinanza n. 9064/2025, la Corte di Cassazione offre un’importante chiave di lettura, stabilendo che la legittimità del patto non dipende solo dalle mansioni, ma dal contesto complessivo del nuovo rapporto di lavoro.

I Fatti del Caso

Un lavoratore aveva prestato servizio continuativamente dal 2015 presso il magazzino di una struttura sanitaria pubblica. Il suo rapporto era passato attraverso diverse forme contrattuali e datori di lavoro, tra cui agenzie di somministrazione e diverse società appaltatrici. Nel 2021, una nuova società vince l’appalto per la gestione del magazzino e assume il lavoratore con un contratto a tempo indeterminato che prevede un periodo di prova. Al termine di tale periodo, l’azienda comunica la cessazione del rapporto per mancato superamento della prova.

Il lavoratore impugna il licenziamento, sostenendo la nullità del patto di prova, dato che le sue capacità professionali per quelle specifiche mansioni erano già state ampiamente verificate negli anni precedenti. La Corte d’Appello gli dà ragione, dichiarando illegittimo il recesso e condannando la società al risarcimento. L’azienda, tuttavia, ricorre in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il patto di prova

La Suprema Corte ribalta la decisione della Corte d’Appello, accogliendo il ricorso della società. I giudici di legittimità chiariscono un principio fondamentale: la valutazione della validità di un patto di prova in un contesto di cambio appalto non può limitarsi alla mera verifica dell’identità delle mansioni svolte in passato.

Le Motivazioni

La causa del patto di prova, spiega la Corte, risiede nell’interesse di entrambe le parti a sperimentare la convenienza del rapporto. Per il datore di lavoro, non si tratta solo di accertare le capacità tecniche del dipendente, ma anche di valutarne il comportamento, la personalità e la capacità di integrarsi nella nuova struttura aziendale. Questi elementi sono suscettibili di mutare nel tempo e, soprattutto, possono essere percepiti diversamente da un nuovo soggetto datoriale.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva erroneamente considerato solo la continuità delle mansioni, senza dare il giusto peso ad altri fattori cruciali:
1. La diversità del datore di lavoro: Il lavoratore si trovava a interagire con una nuova organizzazione aziendale, con procedure, gerarchie e dinamiche interne potenzialmente diverse.
2. La diversità del contratto d’appalto: Il nuovo appalto poteva presentare clausole, condizioni e modalità di svolgimento del servizio “assolutamente innovative” rispetto al precedente, richiedendo al lavoratore un diverso approccio e nuove forme di adattamento.

Di conseguenza, anche se le attività materiali (es. gestione del magazzino) erano le stesse, il contesto organizzativo e contrattuale era radicalmente cambiato. Questo cambiamento giustifica l’interesse del nuovo datore di lavoro a effettuare una verifica completa attraverso un nuovo periodo di prova.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce che, in caso di successione di appalti, un patto di prova è legittimo qualora il nuovo rapporto di lavoro presenti decisivi elementi di novità. Non è sufficiente che le mansioni siano identiche a quelle già svolte. Il giudice deve compiere una valutazione più ampia, considerando la diversità del datore di lavoro, la differente organizzazione produttiva e le nuove condizioni contrattuali dell’appalto. La ripetizione del patto di prova, pertanto, non è automaticamente nulla, ma deve essere giustificata da un concreto e rinnovato interesse delle parti alla sperimentazione reciproca del rapporto lavorativo.

Un patto di prova è sempre nullo se il lavoratore ha già svolto le stesse mansioni per un precedente datore di lavoro?
No. Secondo la Corte, la semplice identità delle mansioni non è sufficiente a determinare la nullità del patto. La legittimità dipende dalla presenza di elementi di novità nel rapporto di lavoro che giustifichino una nuova sperimentazione reciproca tra le parti.

Quali fattori possono giustificare un nuovo patto di prova in caso di cambio appalto?
I fattori rilevanti includono la diversità del datore di lavoro, l’inserimento del lavoratore in una nuova e diversa organizzazione aziendale e la presenza di un nuovo capitolato d’appalto con condizioni, modalità e tempistiche innovative rispetto al precedente.

Cosa deve valutare il giudice per decidere sulla legittimità di un patto di prova in questi casi?
Il giudice non può limitarsi a verificare se le mansioni sono le stesse. Deve valutare se sussiste un interesse del nuovo datore di lavoro a verificare, oltre alle competenze professionali, anche il comportamento, la personalità e la capacità di inserimento del lavoratore nella nuova struttura aziendale, considerando tutti gli elementi di novità del rapporto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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