Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9064 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9064 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24393-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 463/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 06/10/2023 R.G.N. 144/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Rapporto di lavoro -patto di prova
R.G.N. 24393/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
CC
Rilevato che:
La Corte d’appello di Firenze ha accolto l’appello di NOME COGNOME e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro concluso l’1.5.2021 e l’illegittimità del licenziamento al medesimo intimato il 31.5.2021 dalla RAGIONE_SOCIALE con condanna di quest’ultima al pagamento di una indennità risarcitoria pari a 25 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, ai sens i dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015.
2. La Corte territoriale ha premesso che il COGNOME aveva prestato attività lavorativa presso il magazzino di protesi dell’Usl Toscana Nord Ovest a partire da luglio 2015 e in esecuzione dei seguenti contratti: con contratto a tempo determinato, sottoscritto con la somministrante Elpe, e presso la RAGIONE_SOCIALE, dal 16.7.2015 al 30.9.2015, con mansioni di ‘aiuto magazziniere’, 3° livello CCNL Pulizie; con contratto a tempo determinato, sottoscritto con la somministrante Elpe e presso la RAGIONE_SOCIALE, dal 1.10.2015 al 30.112015, con mansioni di ‘autista’, 3° livello CCNL Pulizie, contratto più volte prorogato sino al 29.2.2016, al 30.4.2016, al 31.7.2016, al 31.12.2016, al 31.8.2017 e al 31.12.2017; con contratto a tempo indeterminato stipulato con la somministrante Articolo 1 a far data dal 1.7.2018 ed utilizzatore RAGIONE_SOCIALE, inquadrato quale operaio magazziniere, 3° livello CCNL Pulizie; che a far data dal 1.5.2021 era stato assunto a tempo indeterminato dalla RAGIONE_SOCIALE (nel frattempo succeduta nell’appalto con la Azienda Usl avente ad oggetto ‘gestione, stoccaggio, consegna ausili protesici’), quale operaio
qualificato, sanificatore/manutentore, ausili ortopedici, sempre inquadrato nel terzo livello; che a tale contratto era stato apposto un patto di prova per la durata di 26 giorni di lavoro effettivo e, in data 31.5.2021, gli era stata comunicata la cessazione del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova. La Corte d’appello ha dato atto che l’assunzione del COGNOME da parte della LGR non era avvenuta ai sensi dell’art. 4 del c.c.n.l. Servizi di Pulizia del 2011 in quanto all’epoca il predetto era dipendente della società di somministrazione e non della società cessante nell’appalto; ha ritenuto che non vi fosse ragione di operare una differenziazione in quanto ‘sebbene il COGNOME non fosse dipendente in senso formale del precedente appaltatore, era comunque un soggetto che effettuava la prestazione in favore di RAGIONE_SOCIALE, utilizzatore effettivo della prestazione somministrata’ (sentenza, p. 7, terzo cpv.); ha accertato, tramite testimoni, che a far data dal 2015 il COGNOME aveva sempre svolto le stesse mansioni di magazziniere (solo occasionalmente quelle di autista) ed anche di sanificatoremanutentore e che l’attribuzione di quest’ultima qualifica nell’ultimo contratto non equivaleva all’assegnazione di compiti e mansioni nuove, diverse e più qualificate di quelle svolte in passato; ha ritenuto che la circostanza per cui il COGNOME era stato prima lavoratore somministrato presso la RAGIONE_SOCIALE ed era stato poi assunto come dipendente dalla RAGIONE_SOCIALE non giustificava di per sé l’apposizione del patto di prova dato lo svolgimento delle medesime mansioni che rendeva non necessario verificare la permanenza della idoneità professionale; che il patto di prova non poteva neppure giustificarsi in ragione dell’essere l’appalto, v into dalla LGR, regolato da un diverso capitolato poiché la società non aveva allegato e provato che ciò avesse determinato una diversa
organizzazione dei compiti e del ruolo del COGNOME, tanto da rendere necessario l’accertamento di una nuova e diversa idoneità professionale. Dichiarata la nullità del patto di prova, i giudici di appello hanno applicato la tutela di cui all’art. 3, comma 1, cit., in adesione all’orientamento di legittimità espresso da Cass. n. 20239 del 2023.
Avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso. È stata depositata memoria nell’interesse della società.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 50 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 4 c.c.n.l. RAGIONE_SOCIALE per avere la Corte d’appello ritenuto esistente un obbligo di assunzione del COGNOME senza patto di prova sebbene non fossero applicabili nei suoi confronti le citate disposizioni legali e contrattuali in quanto lavoratore non dipendente (bensì somministrato) del precedente appaltatore.
Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 4 c.c.n.l. per avere la Corte d’appello ritenuto applicabile nei confronti del COGNOME una delle clausole di cui alle lettere a) e b) del citato art. 4, sebbene egli fosse estraneo al loro ambito di applicazione in quanto lavoratore interinale.
Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 2096 c.c. per avere la Corte d’appello giudicato privo di causa e nullo il
patto di prova apposto al contratto concluso col COGNOME; patto, invece, legittimo a causa dell’inserimento del lavoratore in una nuova organizzazione aziendale, facente capo ad un nuovo datore di lavoro, con un diverso inquadramento professionale e differenti mansioni.
I primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione logica, sono inammissibili. Essi non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata che non ha inteso estendere al COGNOME, lavoratore somministrato presso le precedenti appaltatrici, la diretta applicazione delle citate clausole sociali ma, richiamati i principi di diritto sui presupposti per l’apposizione di un patto di prova in caso di successione di contratti, ha ritenuto insussistenti nel caso di specie detti presupposti e quindi illegittima l’apposizione del patto.
Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Nella giurisprudenza di questa Corte è costante l’affermazione secondo cui la causa del patto di prova va individuata nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro e sia il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto. Il datore di lavoro potrà accertare la capacità del lavoratore di svolgere diligentemente la prestazione nell’ambito dell’organizzazione aziendale e quest’ultimo, a sua volta, valuterà il contenuto e l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di concreto svolgimento del rapporto (Cass. n. n. 5016 del 2004; n. 15960 del 2005; n. 15059 del 2015).
È, di conseguenza, illegittimamente apposto un patto di prova che non sia funzionale alla causa appena descritta, di reciproca sperimentazione della convenienza del contratto, ad
esempio per essere questa già avvenuta con esito positivo nello svolgimento di un precedente rapporto di lavoro tra le stesse parti e nelle specifiche mansioni.
Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro tra le stesse parti, aventi ad oggetto mansioni analoghe, è ammissibile solo se, in base all’apprezzamento del giudice di merito, vi sia la necessità di ulteriori e indispensabili verifiche; ad esempio, vi sia la necessità per il datore di lavoro di verificare, oltre alle qualità professionali, anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (Cass. n. 15059 del 2015; n. 28252 del 2018; n. 28930 del 2018).
Il lavoratore che deduca la nullità del patto di prova, perché non funzionale alla causa della reciproca sperimentazione di convenienza del contratto, sopporta il relativo onere probatorio. Il difetto funzionale del patto può essere provato anche per presunzioni e può desumersi dalla sussistenza di un precedente rapporto di lavoro tra le parti, cioè dall’avere in precedenza il lavoratore prestato per un congruo lasso di tempo la propria opera per lo stesso datore di lavoro e con le specifiche mansioni, sia pure in seguito a distacco (così Cass. n. 12379 del 1998) oppure per effetto di somministrazione di lavoro.
La ripetizione del patto di prova nei confronti di un lavoratore assunto dopo una successione di contratti di lavoro è legittima qualora il nuovo rapporto di lavoro presenti decisivi elementi di novità e, ad esempio, si instauri con un diverso datore oppure sia inserito in una differente organizzazione produttiva anche se facente capo allo stesso datore o ancora
abbia ad oggetto mansioni diverse da quelle già svolte. Gli elementi di novità che si innestano nel nuovo rapporto di lavoro rendono logicamente plausibile l’esigenza di una nuova sperimentazione e quindi astrattamente configurabile la causa funzionale del patto medesimo.
15. In tali condizioni, ove il lavoratore deduca l’illegittimità del patto di prova, non può addossarsi alla parte datoriale l’onere di dimostrare le esigenze poste a base dell’apposizione del patto medesimo, non operando la presunzione di difetto funzionale del patto che discende dal pregresso svolgimento di rapporti di lavoro fra le stesse parti e con le stesse mansioni.
16. Nella fattispecie oggetto di causa, la RAGIONE_SOCIALE, subentrata nell’appalto prima facente capo alla RAGIONE_SOCIALE, ha assunto a tempo indeterminato (oltre ai lavoratori già dipendenti della società cessante, in adempimento della clausola sociale contenuta nel contratto collettivo applicato) il COGNOME che, a partite dal luglio 2015, era stato impiegato nel servizio oggetto di appalto (magazzino di protesi dell’Usl Toscana Nord Ovest) come lavoratore somministrato da diverse agenzie di somministrazione in favore del precedente appaltatore. L’esistenza di precedenti rapporti di lavoro (somministrato) del COGNOME, se pure aventi ad oggetto una prestazione resa nel medesimo servizio appaltato e, in base a quanto accertato dai giudici di appello, con le medesime mansioni, non priva il patto di prova apposto al contratto di lavoro con la LGR della sua causa, che è volta a valutare non solo l’idoneità del lavoratore allo svolgimento di quelle specifiche mansioni ma anche tutti gli altri elementi di qualificazione delle prestazione lavorativa, ivi compreso il vincolo fiduciario (Cass. n. 18268/2018).
17. A tali principi non si è attenuta la sentenza impugnata che ha dichiarato l’illegittimità del patto di prova considerando solo la identità delle mansioni svolte, senza altresì considerare, da un lato, la diversità della parte datoriale nell’ultimo rapporto di lavoro e, dall’altro, la dedotta diversità del servizio appaltato, con un capitolato di appalto autonomo, ‘ di nuova formulazione, con contenuti, clausole, condizioni, tempistiche e modalità di svolgimento del servizio assolutamente innovativi ‘, diversi da quelli praticati dal precedente appaltatore.
18. Deve invero ribadirsi il principio secondo cui, ove il patto di prova riguardi una prestazione con mansioni di eguale contenuto resa in successione in favore di differenti datori di lavoro nell’appalto e sia dedotta la diversità dell’appalto o della struttura aziendale del nuovo appaltatore, al fine di valutare la legittimità del patto di prova il giudice del merito non può limitare il suo accertamento alla identità delle mansioni del lavoratore, ma deve valutare la possibile sussistenza di un interesse del datore di lavoro di verificare, oltre alle competenze professionali, anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione ed al suo inserimento nella nuova struttura aziendale, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute ( Cass. n. 15059/015; Cass., 29 marzo 2018, n. 18268).
E tanto in ragione del contemperamento delle diverse esigenze ed interessi sottesi al risultato della prova, tanto più in presenza di datori di lavoro diversi.
Per le ragioni esposte, accolto il terzo motivo di ricorso e dichiarati inammissibili i primi due motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo
esame della fattispecie conformandosi ai principi di diritto richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nell’adunanza camerale del 4 febbraio 2025