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Patto di non concorrenza: requisiti del corrispettivo

Un istituto bancario ha citato in giudizio un ex dipendente per la violazione del patto di non concorrenza. I tribunali di merito avevano dichiarato nullo il patto, ritenendo che il corrispettivo, legato alla durata del rapporto di lavoro, fosse indeterminato. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, chiarendo che la determinatezza (la possibilità di calcolare il compenso) e la congruità (la sua adeguatezza rispetto al sacrificio richiesto) sono due requisiti distinti e devono essere valutati separatamente. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata su questo principio.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Patto di non concorrenza: i requisiti del corrispettivo secondo la Cassazione

Il patto di non concorrenza è uno strumento contrattuale cruciale nel diritto del lavoro, che bilancia la tutela degli asset aziendali con la libertà professionale del lavoratore. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante chiarificazione sui requisiti di validità di tale accordo, concentrandosi sulla natura del corrispettivo dovuto al dipendente. La Corte ha stabilito una netta distinzione tra la ‘determinatezza’ e la ‘congruità’ del compenso, due concetti che i giudici di merito avevano erroneamente sovrapposto.

I fatti del caso

Un importante istituto bancario specializzato nel private banking aveva stipulato con un suo dipendente, un consulente finanziario, un patto di non concorrenza della durata di venti mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. L’accordo prevedeva un corrispettivo annuo di 12.000 euro, erogato in rate semestrali durante il rapporto di lavoro.
Dopo le dimissioni del lavoratore, l’istituto bancario lo citava in giudizio, accusandolo di aver violato il patto iniziando a lavorare per una banca concorrente e sviando numerosi clienti. La società chiedeva quindi il pagamento di una cospicua penale e il risarcimento dei danni.

La decisione dei giudici di merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato torto all’istituto bancario, dichiarando nullo il patto di non concorrenza. La motivazione principale era l’indeterminatezza e indeterminabilità del corrispettivo. Secondo i giudici, il fatto che il compenso fosse calcolato ‘in ragione d’anno’ e corrisposto durante il rapporto di lavoro, senza la previsione di un importo minimo garantito, lo rendeva incerto e non quantificabile a priori. Se il rapporto fosse cessato prematuramente, il lavoratore avrebbe ricevuto un importo inferiore, pur essendo vincolato per gli stessi venti mesi.

Il patto di non concorrenza e i motivi del ricorso in Cassazione

L’istituto bancario ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, un’errata applicazione delle norme e un vizio di motivazione. La difesa della banca sosteneva che la Corte d’Appello avesse confuso due profili di valutazione del corrispettivo completamente distinti: la sua determinatezza (un requisito oggettivo del contratto) e la sua congruità (un giudizio di adeguatezza del compenso).

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della banca, ritenendo fondata la censura. Gli Ermellini hanno chiarito che, per valutare la validità di un patto di non concorrenza, occorre seguire un iter logico preciso, analizzando due aspetti separatamente:

1. Determinatezza o Determinabilità (art. 1346 c.c.): In primo luogo, bisogna verificare se il corrispettivo sia ‘determinato o determinabile’. Questo significa controllare se il contratto fornisce criteri oggettivi che permettano di calcolarne l’importo. Un compenso variabile o legato alla durata del rapporto non è automaticamente ‘indeterminato’. Se i criteri per il suo calcolo sono chiari, il requisito è soddisfatto.

2. Congruità (art. 2125 c.c.): Solo dopo aver accertato che il compenso è determinabile, si passa a valutarne la ‘congruità’. Questo è un giudizio di merito volto a verificare che l’importo non sia meramente simbolico, manifestamente iniquo o sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore (in termini di limitazioni geografiche, di oggetto e di durata).

La Corte di Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello aveva commesso un errore logico, sovrapponendo i due piani. Aveva dichiarato la nullità per indeterminatezza basandosi su argomenti che, in realtà, attenevano alla congruità (come la potenziale esiguità del compenso in caso di cessazione anticipata del rapporto). Questa confusione ha viziato il ragionamento e ha impedito una corretta valutazione del caso.

Le conclusioni

La Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso attenendosi al principio di diritto enunciato: dovrà prima accertare se il corrispettivo fosse determinabile sulla base delle clausole contrattuali e, solo in un secondo momento, valutare se l’importo effettivamente maturato fosse congruo rispetto al vincolo imposto al lavoratore. Questa decisione riafferma l’importanza di una rigorosa distinzione tra i requisiti formali di validità di un contratto e la valutazione sostanziale della sua equità, specialmente in un ambito delicato come quello del patto di non concorrenza.

Un patto di non concorrenza con un corrispettivo legato alla durata del rapporto di lavoro è automaticamente nullo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la variabilità del corrispettivo legata alla durata del rapporto di lavoro non lo rende di per sé ‘indeterminato’ o ‘indeterminabile’. È necessario che il contratto preveda criteri oggettivi per il suo calcolo. La sua validità dipenderà poi da una valutazione separata sulla sua congruità.

Qual è la differenza tra determinatezza e congruità del corrispettivo?
La determinatezza è un requisito oggettivo (art. 1346 c.c.) che riguarda la possibilità di calcolare l’importo del corrispettivo sulla base di criteri chiari presenti nel contratto. La congruità è invece un giudizio di valore (art. 2125 c.c.) che stabilisce se l’importo, una volta calcolato, sia adeguato e proporzionato al sacrificio imposto al lavoratore.

Cosa succede se il corrispettivo del patto di non concorrenza è ritenuto non congruo?
Se il corrispettivo, pur essendo determinabile, risulta meramente simbolico, manifestamente iniquo o sproporzionato rispetto ai vincoli imposti (per oggetto, territorio e durata), l’intero patto di non concorrenza è nullo. La nullità travolge l’accordo nella sua interezza, liberando il lavoratore da ogni vincolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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