Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 9258 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 9258 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24782/2020 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.ta in INDIRIZZO Roma, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME, elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 2169/2019 pubblicata in data 11/12/2019, n.r.g. 928/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- In data 24/10/2014 Intesa Sanpaolo Private Banking spa aveva stipulato con RAGIONE_SOCIALE un patto di non concorrenza per la durata di venti mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. Tale patto, nell’ambito territoriale della regione Lombardia , inibiva al RAGIONE_SOCIALE di acquisire i clienti – gestiti come private banker presso la stessa società -per
OGGETTO:
patto di non concorrenza – corrispettivo – valutazione di determinatezza o determinabilità – distinzione dalla valutazione della congruità
necessità
conto di altri intermediari finanziari e di svolgere mansioni di private banker per altro intermediario finanziario concorrente.
Il corrispettivo era previsto in euro 12.000,00 all’anno, da versare in due rate semestrali posticipate di pari importo nel corso del rapporto di lavoro.
La banca deduceva che, cessato il rapporto di lavoro per dimissioni del 14/11/2016, il COGNOME aveva violato il patto, poiché aveva iniziato a svolgere mansioni di private banker presso Allianz Bank Financial Advisors spa ed aveva sviato numerosi clienti a favore del nuovo datore di lavoro.
Adìva pertanto il Tribunale di Milano per ottenere l’accertamento della violazione del patto di non concorrenza e la condanna del sig. COGNOME al risarcimento del danno in misura pari alla clausola penale di euro 48.000,00 prevista nel patto, nonché dell’ulteriore danno patrimoniale pari ad euro 2.591.000,00 o, in subordine, ad euro 501.816,66 e del danno non patrimoniale pari ad euro 50.000,00.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale dichiarava la nullità del patto di non concorrenza per indeterminatezza del corrispettivo. Quindi rigettava le domande.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dalla banca.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
il Tribunale non ha negato la funzione autonoma del patto di non concorrenza, né ha fatto discendere la nullità del patto dal versamento del corrispettivo in costanza di rapporto di lavoro;
la nullità è stata dichiarata perché il corrispettivo è stato ritenuto indeterminato e indeterminabile sulla base delle clausole negoziali del patto, in quanto correlato alla durata del rapporto di lavoro e in mancanza di un minimo garantito;
tale valutazione va condivisa;
l’art. 8 del patto prevede l’efficacia triennale del patto e ciò significa che per tre anni le parti si sono vincolate a non modificarne le condizioni; solo questo è il significato possibile, posto che la durata del divieto di svolgere attività di private banker in società concorrenti in
Lombardia è pacificamente di venti mesi decorrenti dalla cessazione del rapporto di lavoro;
l’art. 4 del patto determina il corrispettivo in euro 12.000,00 ‘in ragione d’anno’;
di conseguenza in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio -come avvenuto nella specie -al dipendente non spetta l’intero importo di euro 36.000,00, bensì un importo non determinato né determinabile a priori , collegato alla durata in concreto del rapporto di lavoro;
invece il divieto di operare come private banker dura sempre venti mesi dopo la cessazione del rapporto di lavoro, a prescindere dal periodo di efficacia del patto medesimo;
l’indeterminatezza e quindi l’incongruità del corrispettivo emerge altresì dal tenore della clausola di cui all’art. 7, ai sensi del quale nell’ipotesi di modifica delle mansioni con assegnazione di mansioni diverse da quelle di private banker , il datore di lavoro non è più obbligato a versare il corrispettivo, ma in capo al dipendente permangono per dodici mesi ancora tutti gli obblighi previsti dal patto, fra cui il divieto di concorrenza per i venti mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro;
anche il comportamento complessivo successivo delle parti conferma che la banca eroga il corrispettivo nei limiti di quanto maturato sino alla data di cessazione del rapporto di lavoro;
non sussiste alcuna clausola che obblighi la banca a pagare il corrispettivo anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
4.- Avverso tale sentenza Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi.
5.COGNOME NOME ha resistito con controricorso e ha depositato memoria.
6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1322, 1325, 1343 ss. e 1419 c.c. in tema di causa contrattuale e collegamento negoziale, per avere la
Corte territoriale disapplicato il principio di autonomia del patto di non concorrenza rispetto al rapporto di lavoro subordinato, come delineato dalla Corte di legittimità.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta violazione degli artt. 2125 e 1346 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto nullo il patto a causa dell’incongruità del corrispettivo poiché pagato in costanza di rapporto di lavoro senza la previsione di un importo minimo garantito.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. per motivazione assente e per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, per avere la Corte territoriale affermato da un lato che il corrispettivo sarebbe indeterminato e indeterminabile e dall’altro che sarebbe incongruo.
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. per motivazione assente e per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, per avere la Corte territoriale affermato da un lato che le parti per tre anni si erano vincolate a tenere ferme le condizioni del patto e, dall’altro, che la banca non era tenuta ad adempiere al suo obbligo di pagare il corrispettivo sino alla scadenza naturale del patto.
C on il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1372, 2125, 1362, 1363, 1366, 1367, 1460 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato l’art. 8 del patto, ritenendo che il significato di tale clausola fosse quello di impegnare le parti a non modificare le condizioni del patto e che nessun obbligo vi sarebbe stato per la manca di pagare il corrispettivo dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1460, 1362 c.c., 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il mancato pagamento del corrispettivo una volta cessato il rapporto di lavoro fosse elemento idoneo ad inficiare la portata della clausola n. 4 del patto anzi che un’eccezione di inadempimento, violando i termini di tale eccezione espressamente fatta
valere da essa banca.
Con il settimo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362, 1363, 1418, 1419, 1325, 2105, 2103 e 2125 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che l’incongruità del corrispettivo emergesse dalla clausola di cui all’art. 7 del patto.
Con l’ottavo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 132, co. 2, n. 4), c.p.c. per avere la Corte territoriale richiamato due propri precedenti ai sensi dell’art. 18 disp.att.c.p.c. senza riprodurne i contenuti minimi mutuati.
2.- Per motivi di priorità logico-giuridica, deve essere esaminato in primo luogo il terzo motivo. Esso è fondato.
Il Collegio intende dare continuità alla pronuncia di questa Corte n. 5540/2021 in controversia analoga, anche per la compiuta ricostruzione dogmatica e sistematica dell’istituto del patto di non concorrenza, nonché all’ulteriore ordinanza n. 33424/2022.
Al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c., ossia determinatezza o almeno determinabilità.
Una volta accertato che esso sia determinato o quanto meno determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell’intero patto all’eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale (Cass. n. 9790/2020).
Nella sentenza impugnata vengono in rilievo soltanto questioni che attengono al corrispettivo in favore del lavoratore e alla sua determinabilità.
Orbene, in tema di determinabilità questa Corte ha ripetutamente
affermato che il patto di non concorrenza, anche se è stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale, per cui il corrispettivo con esso stabilito, essendo diverso e distinto dalla retribuzione, deve possedere soltanto i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c. (Cass. n. 16489/2009) e, quindi, deve essere determinato o determinabile.
Per affermare la nullità del patto, espressamente comminata dall’art. 2125 c.c., è poi necessaria una rigorosa valutazione in ordine alla sussistenza di un corrispettivo in favore del prestatore che risulti manifestamente iniquo o sproporzionato in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed a ogni circostanza del caso concreto.
I due vizi astrattamente configurabili operano, quindi, su piani diversi: la nullità per indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo spettante al lavoratore, quale vizio integrato dal difetto del requisito prescritto in generale dall’art. 1346 c.c. per ogni contratto; la nullità per violazione dell’art. 2125 c.c. per mancata pattuizione di un corrispettivo ovvero, per ipotesi equiparata dalla giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui esso sia simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato.
Orbene, la sentenza impugnata reca un ‘ anomalia motivazionale, per essere pervenuta ad affermare la nullità del patto in modo improprio, senza accertare se il corrispettivo pattuito (pacificamente esistente) fosse da considerare simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, ed operando una sovrapposizione tra la questione della determinabilità del corrispettivo e quella della sua congruità, che invece rappresentano profili del tutto diversi e distinti. La variabilità del corrispettivo rispetto alla durata del rapporto di lavoro non significa che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi, a tal fine dovendo tenersi anche conto del fatto che la banca ha contestato che la cessazione del rapporto effettivamente avesse influenza sull’ammontare dovuto . Dunque la sentenza impugnata non tiene adeguatamente distinte le due cause di nullità del patto di non concorrenza che operano giuridicamente su piani diversi: un vizio sotto l’aspetto della determinatezza o determinabilità dell’oggetto e l’altro sotto il profilo dell’ammontare del corrispettivo simbolico o manifestamente iniquo o
sproporzionato. Tale sovrapposizione genera incertezza sull’iter logico seguito per la formazione del convincimento dei giudici d’appello , precludendo a questa Corte un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del loro ragionamento.
La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio al giudice d’appello indicato in dispositivo che dovrà procedere a nuovo esame, valutando distintamente la questione della nullità per mancanza del requisito di determinatezza o determinabilità del corrispettivo pattuito tra le parti e poi verificando che il compenso, accertato come determinato o determinabile, non fosse simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue possibilità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresentava per il datore di lavoro, così come dal suo ipotetico valore di mercato. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità ex art. 385, co. 3, c.p.c.
3.- Restano in tal modo assorbiti tutti i restanti motivi del ricorso per cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in