Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13050 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13050 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20901-2023 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 81/2023 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/04/2023 R.G.N. 733/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Patto di non concorrenza
R.G.N. 20901/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
RILEVATO CHE
Con ricorso depositato al Tribunale di Pisa in data 4.9.2017 NOME COGNOME già dipendente della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (da ora RAGIONE_SOCIALE) con mansioni di private banker presso il Centro Private di Pisa, ha chiesto, per quanto ancora qui rileva, la declaratoria di nullità dei patti di non concorrenza sottoscritti il 23 settembre 2014 e il 23 giugno 2015, per violazione dell’art. 2125 c.c., stante l’indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo pattuito e del limite territoriale nonché per mancanza del limite di oggetto, oltre che per l’irrisorietà del corrispettivo.
Con ricorso e contestuale istanza ex art. 700 c.p.c., depositato innanzi al Tribunale di Siena in data 8.9.2017 la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ha invece agito per far accertare la violazione, da parte della Pachetti, del patto di non concorrenza stipulato il 23 giugno 2015 e per ottenere la condanna della lavoratrice al pagamento della penale di euro 117.000,00 (di cui euro 20.000,00 per l’inosservanza dell’obbligo di informare la Banca circa la nuova attività intrapresa dopo la cessazione del rapporto ed euro 97.000,00 per la violazione dell’obbligo di non concorrenza), o in subordine, alla restituzione delle somme (€ 25.072,16) ricevute quale corrispettivo dell’obbligo.
A seguito di declaratoria di incompetenza per territorio del Tribunale di Siena, il quale aveva precedentemente accolto l’istanza di inibitoria ex art.700 c.p.c., la causa veniva riassunta dinanzi al Tribunale di Pisa da BMPS che contestualmente svolgeva domanda riconvenzionale nel giudizio già incardinato dalla COGNOME.
Con sentenza n.91/2021, pubblicata il 24.3.2021, il Tribunale di Pisa, riunite le cause, ha dichiarato la nullità dei patti di non concorrenza impugnati dalla COGNOME e, in accoglimento della domanda svolta in via subordinata da BMPS, la ha condannata alla restituzione delle somme alla stessa versate a titolo di corrispettivo.
Con sentenza n. 81/2023, pubblicata il 14/04/2023, la Corte d’Appello di Firenze, su impugnazione di BMPS ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato le domande della COGNOME dichiarando la validità del patto di non concorrenza del 23 giugno 2015 e, accertata la violazione del patto da parte della lavoratrice, la ha condannata al pagamento della penale contrattualmente pattuita. In particolare la Corte ha affermato la validità del patto sulla base delle seguenti considerazioni: ‘ i limiti del patto, sia geografici sia soggettivi sia in riferimento all’oggetto, sono chiari e ben precisi, poiché l’ambito territoriale è limitato alla Regione Toscana e alle province fuori regione rientranti nel raggio di 250 chilometri dalla sede di lavoro di Pisa, mentre l’ambito soggettivo è limitato alla sola clientela precedentemente gestita e/o seguita dalla COGNOME; quanto l’ambito oggettivo, pur essendo ampia l’elencazione delle attività precluse, è ben determinato, essendo elencate analiticamente le attività precluse, che vengono a coincidere con le mansioni di fatto svolte dalla lavoratrice presso MPS quale private banker; tali limiti, sia dal punto di vista territoriale che delle attività precluse non risultavano eccessivi, non restando preclusa ogni attività lavorativa posto che la lavoratrice ‘ in base al patto avrebbe comunque potuto lavorare in qualunque attività bancaria diversa dalla intermediazione finanziaria su tutto il territorio nazionale e svolgere attività di intermediazione finanziaria fuori dalla Toscana e province entro 250 km, seppure con clienti diversi da quelli seguiti alle
dipendenze di MPS’ e che ‘l’obbligo di non concorrenza riguarda lo ‘svolgimento di attività’ in un determinato ambito territoriale, nel senso che il lavoratore non potrà svolgere detta attività in tale ambito, non potrà quindi avere ivi la sede di lavoro quale lavoratore dipendente o autonomo o nelle altre forme indicate (di impresa, per conto proprio o di terzi)’. La Corte d’appello, poi, riteneva legittima la previsione della durata del vincolo , ‘fissata in 12 mesi, quindi un termine pari ad un terzo del massimo consentito’ e determinato (o comunque determinabile sulla base di dati obiettivi), oltre che congruo e proporzionato rispetto al sacrificio richiesto, il corrispettivo pattuito per l’assunzione del vincolo, tenuto conto che: alla lavoratrice erano stati corrisposti importi di euro 9.000 l’anno (euro 750 lordi al mese), per oltre 38.000 euro complessivi; che era stabilito un importo minimo garantito di tre annualità, corrispondente a circa euro 27.000, pari al 50% della RAL, da ritenersi congruo anche in relazione alla durata di vigenza del patto (dodici mesi), variabile in relazione ad elementi oggettivi e facilmente determinabili; che era previsto espressamente, nel caso di cessazione del rapporto prima di tre anni dalla sottoscrizione del patto, il diritto del lavoratore a un importo calcolato sulla base dell’ultima erogazione mensile del corrispettivo moltiplicato per il numero dei mesi rimanenti al completamento del triennio, da corrispondersi dopo dodici mesi dalla cessazione del rapporto e verificato l’adempimento dello stesso. La Corte, infine, ha escluso la nullità del patto in relazione alla previsione di una facoltà di recesso attribuita al solo datore di lavoro. Affermata, dunque, la validità del patto di non concorrenza la Corte d’appello riteneva raggiunta la prova in ordine alla sua violazione da parte della lavoratrice .
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione la COGNOME affidato a quattro motivi.
La Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. replica con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la COGNOME deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2125 c.c. censurando la sentenza per non aver interpretato le norme nel senso che la pattuizione, interna ai patti di non concorrenza impugnati, di un diritto di recesso in favore del solo datore di lavoro invalida il patto di non concorrenza per violazione di norme inderogabili, come precisato da Cass. Sez. 6-Lav., n. 4032 dell’8 febbraio 2022.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione sempre degli artt. 1218 e 2125 cod. civ. nonché, ex art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. relativamente al distinto profilo dell’indeterminatezza ed indeterminabilità dei confini territoriali previsti dai patti non concorrenziali de quo evidenziando che, in base all’art. 2125 cod. civ., i confini del patto di non concorrenza debbono essere specificatamente individuati al momento della sottoscrizione del patto, laddove i patti oggetto di causa prevedevano che i confini del divieto concorrenziale potevano essere unilateralmente modificati dal datore di lavoro in ragione del trasferimento del dipendente ed erano privi di un ambito territoriale definito per l’individuazione dell’ipotesi di storno della clientela. Sullo specifico punto, peraltro, la Corte distrettuale non si è puntualmente pronunciata, in violazione dell’art. 112 c.p.c.
Con il terzo motivo di ricorso la COGNOME lamenta, ex art. 360 n. 4 c.p.c. la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 112 e 416 c.p.c. deducendo che BMPS, con la domanda riconvenzionale proposta in primo grado, aveva chiesto esclusivamente l’accertamento della violazione del patto di non concorrenza e la condanna al pagamento dell’importo previsto dalla clausola penale ma non anche l’accertamento della liceità del patto, con la conseguenza che le statuizioni relative all’accertamento della liceità del patto non erano consentite al Collegio giudicante, pena la violazione (in effetti inveratasi) degli artt. 112 e 416 c.p.c.
Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata, ex art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2125, 2697 e 2729 c.c. per aver ritenuto sussistente la prova della violazione del patto di non concorrenza in base a presunzioni, erroneamente qualificando come gravi, precisi e concordanti gli elementi dimostrativi della condotta inadempiente, ed in base all’erroneo convincimento che la ricorrente non avesse espressamente contestato di aver svolto, presso il nuovo datore di lavoro, mansioni sovrapponibili a quelle oggetto del patto di non concorrenza.
Il secondo motivo risulta fondato con conseguente assorbimento dei restanti.
5.1. Questa Corte ha, infatti, precisato che le clausole di non concorrenza sono finalizzate, da un canto, a salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi “esportazione presso imprese concorrenti” del patrimonio immateriale dell’azienda, trattandosi di un bene che assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle aziende concorrenti, e, d’altro canto, a tutelare il lavoratore subordinato, affinché le dette
clausole non comprimano eccessivamente le possibilità di poter indirizzare la propria attività lavorativa verso altre occupazioni, ritenute più convenienti (da ultimo, Cass. n. 9790 del 2020, conf. a Cass. n. 24662 del 2014). Il legislatore, proprio perché la regola è che, alla cessazione del rapporto, il lavoratore recuperi la piena ed assoluta libertà di collocare le proprie prestazioni in ogni settore del mercato e della produzione, ha, peraltro, dettato – nell’ambito della generale disciplina ex art. 2596 c.c. in tema di limitazioni (legali o volontarie) alla concorrenza – una specifica regolamentazione che porta a differenziare integralmente il lavoratore subordinato da tutti gli altri soggetti pur essi destinatari del divieto di concorrenza (cfr. al riguardo gli artt. 1751 bis, 2557, 2301 e 2390 c.c.), affinché detta libertà, pur se assoggettabile a condizionamenti in ossequio alla regola dell’autonomia contrattuale, non possa essere limitata in modo tale da compromettere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore, pregiudicandone ogni potenzialità reddituale. In ragione di ciò, l’art. 2125, co. 1, c.c., ha subordinato la validità del patto di non concorrenza a specifiche condizioni – espressamente indicate dalla norma – di forma, di corrispettivo, di limiti di oggetto, di tempo e di luogo, presidiando l’eventuale violazione con la più grave delle sanzioni negoziali: la nullità del patto.
6. Ciò premesso, deve ritenersi necessario che, ai fini del rispetto dell’art. 2125 c.c., i limiti di oggetto, di tempo e di luogo del patto di non concorrenza, siano determinati o, quantomeno, determinabili sin dal momento della conclusione di tale negozio giuridico in modo da consentire una corretta formazione del consenso delle parti in sede di stipula. La ratio della disposizione, chiaramente ispirata all’intento di bilanciare i contrapposti interessi delle parti, riposa, infatti, sull’esigenza che il lavoratore abbia sicura contezza, fin dall’assunzione
dell’impegno, della area geografica in relazione alla quale si esplicherà il vincolo, per assumere le determinazioni più opportune sulle scelte lavorative, le quali verrebbero ostacolate ove essa fosse soggetta alle determinazioni unilaterali della controparte.
Tali argomentazioni rendono, conseguentemente, non condivisibile l’assunto della Corte territoriale che, senza tener conto dello specifico rilievo di nullità svolto dalla lavoratrice sin dal ricorso, ha ritenuto i limiti geografici del patto ‘ chiari e ben precisi poiché l’ambito territoriale è limitato alla Regione Toscana ‘, in base ad una valutazione ex post e non, come corretto, ex ante . Il patto di non concorrenza in esame, stipulato tra le parti in causa in data 23 giugno 2015, prevedeva, infatti, quanto all’ampiezza territoriale, che il divieto di attività lavorativa in concorrenza si estendesse alla area geografica della Regione Toscana ovvero ‘ a quella della diversa Regione ove risulti ubicata la sede di lavoro in atto al momento della cessazione del rapporto di lavoro e anche a quella diversa procedente ove la diversa nuova assegnazione sia intervenuta da meno di un anno. In ogni caso l’area territoriale dell’obbligo di non concorrenza deve ritenersi comunque estesa a province ‘fuori Regione’ se rientranti nel raggio di 250 km dalla sede di lavoro ‘ e, quanto alle limitazioni di attività, impegnava il lavoratore ‘ anche dopo la cessazione di detto rapporto, e per un periodo di dodici mesi da tale cessazione, a non svolgere alcuna attività- direttamente o indirettamente, in forma autonoma, subordinata e/o imprenditoriale, per conto proprio e/o di terzia favore di Società di Gestione, di Assicurazioni, di Banche e di SIM di gestione ovvero intrinsecamente ordinate e funzionali alla intermediazione finanziaria, nei settori della gestione di portafogli finanziari della clientela anche istituzionale, della intermediazione finanziaria, e comunque in tale ambito in
concorrenza con la nostra società ‘. Come reso evidente dal tenore del patto, l’area geografica cui si estendeva il divieto era suscettibile non solo di modifica, circostanza già di per sé rilevante, in dipendenza di una diversa nuova assegnazione, ma anche di successivo ampliamento posto che, in caso di trasferimento del lavoratore, disposto da meno di un anno alla data di cessazione del rapporto di lavoro, all’area della Regione di ubicazione della sede di lavoro, estesa alle province fuori Regione nel raggio di 250 km, si sarebbe aggiunta l’area della regione ‘diversa precedente’.
Occorre, inoltre, evidenziare che, quand’anche si ritenesse determinato o determinabile al momento della stipula del patto un limite di luogo di tal fatta, si renderebbe, in ogni caso, necessario che la valutazione di congruità e proporzionalità del compenso pattuito venga effettuata rispetto alla limitazione delle possibilità lavorative dallo stesso imposta tanto in generale quanto con riguardo all’attribuzione al datore di lavoro della possibilità di ampliare senza sostanziali limitazioni l’ambito territoriale di estensione della clausola. Anche sotto tale aspetto la decisione impugnata non risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, e che il patto non
sia di ampiezza tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale; all’eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale consegue comunque la nullità dell’intero patto (cfr. Cass. n. 9790/2020, n. 5540/2021, n. 23723/2021, n. 33424/2022).
9. La trattazione di ogni altra doglianza resta assorbita.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere accolto in parte qua, con la cassazione della gravata sentenza e il rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di legittimità sopra esposti e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della