Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11767 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11767 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16617-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 27/2023 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 02/02/2023 R.G.N. 241/2022;
Oggetto
Patto di non concorrenza
R.G.N. 16617/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Bologna ha respinto il ricorso della banca Monte dei Paschi di Siena avverso la sentenza del medesimo Tribunale con cui era stata accertata la nullità del patto di non concorrenza (stipulato con l’ex -dipendente NOME COGNOME perché lo stesso prevedeva una limitazione dell’attività lavorativa e un’estensione te rritoriale eccessive a fronte di un corrispettivo esiguo se paragonato al sacrificio richiesto al lavoratore;
in particolare, nel merito e per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale ha fatto propria la statuizione del Tribunale secondo cui l’oggetto del patto si risolveva nella sostanziale impossibilità di svolgere alcuna attività lavorativa ne ll’ambito creditizio, assicurativo e finanziario, con assoluta e totale compromissione della capacità lavorativa per 12 mesi; ha rilevato che la clausola che consentiva alla Banca di modificare l’estensione territoriale del patto modificando la sede di la voro del lavoratore rendeva il patto nullo, rendendo imprevedibili a priori i limiti dell’operatività territoriale dell’obbligo interdittivo; ha osservato che anche l’estensione territoriale del patto risultava eccessiva a fronte del corrispettivo pattuito (€ 6.500 annui lordi), esiguo in proporzione alle limitazioni lavorative e territoriali previste;
3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre la banca con 8 motivi; resiste il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, n. 4, c.p.c.), per avere la Corte territoriale emesso una sentenza con motivazione apparente, costituita dal richiamo al ragionamento del primo giudice e al fatto asseritamente notorio attinente alla circostanza della marcata vocazione creditizia dell’area del Centro-Nord, senza l’indicazione delle ragioni in relazione alle quali tale fatto inciderebbe sulla formazione del convincimento della Corte circa la nullità del patto e rileverebbe rispetto ai motivi d’impugnazione;
con il secondo motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 115, secondo comma, c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) per avere la Corte territoriale considerato l’area geografica sottoposta al patto di non concorrenza come con marcata vocazione creditizia, come fatto notorio rientrante nella comune esperienza;
i primi due motivi, connessi, non sono fondati;
in primo luogo, perché, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata “per relationem” ove contenga espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, facendone proprie le argomentazioni in punto di diritto, e fornisca, pur sinteticamente, una risposta alle censure formulate, nell’atto di appello e nelle conclusioni, dalla parte soccombente, risultando così appagante e corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle due sentenze (Cass. n. 11227/2017, n. 21037/2018, n. 20883/2019, n. 21443/2022; cfr. anche Cass. n. 3367/2011, n. 29017/2021);
5. in secondo luogo, perché, in tema di prova, il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio (da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo) e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda (Cass n. 4182/2024, n. 134715/2019);
6. con il terzo motivo, parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione agli artt. 1346 e 2103 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.) per avere la Corte territoriale ritenuto la nullità del patto di non concorrenza anche sulla base della indeterminabilità della delimitazione territoriale;
7. il motivo è inammissibile;
8. in realtà le ragioni di doglianza, per come concretamente articolate con il motivo in esame, investono direttamente la valutazione del giudice di merito in punto di compatibilità del vincolo assunto con la necessità di non compromettere la possibilità del lavoratore di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita; investono, inoltre, la valutazione di congruità del corrispettivo pattuito e di determinatezza dello stesso, valutazioni che costituiscono oggetto di apprezzamento riservato al giudice del merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (Cass. n. 13358/2022, n. 7835/ 2006);
9. con il quarto motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione agli artt. 1346 e 2956 c.c. nonché all’art. 1369 c.c., per avere la Corte territoriale individuato nel divieto
di sviamento della clientela gestita per conto di MPS in corso di rapporto (divieto di storno) una estrinsecazione del patto di non concorrenza, da vagliare alla stregua del paradigma normativo dell’art. 2125 c.c., invece che come obbligazione autonoma;
10. con il quinto motivo, deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 2125 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte raffrontato l’obbligazione del divieto di sviamento di clientela a un dato normativo ad essa non riferibile, non tenendo distinte due cause di nullità che operano giuridicamente su piani diversi, generando incertezza sull’ iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudicante, precludendo un effettivo control lo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento;
11. con il sesto motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione agli artt. 1325, 1343 e 1418 c.c., nonché dell’art. 1369 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte territoriale fatto discendere l’invalidità del pa tto di non concorrenza dall’irragionevolezza dell’obbligo di non storno;
il quarto, quinto, e sesto motivo, connessi perché tutti riguardanti, sotto diverse angolazioni, il divieto di sviamento (o storno) di clientela, non sono fondati;
ferma l’autonomia concettuale tra il divieto di storno di clienti e il divieto di svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con la società datrice, anche al termine del rapporto di lavoro (sottolineata da Cass. n. 22247/2021, richiamata da parte ricorrente), occorre rilevare che, nel caso in esame (come evidenziato da parte controricorrente) l’indipendenza delle due clausole in questione (patto di non concorrenza e divieto di storno di clienti) non emerge dal dato
testuale, che àncora, quanto a durata ed estensione territoriale, e senza previsione di autonomo corrispettivo, il divieto di storno di clientela al patto di non concorrenza;
14. la Corte territoriale, pertanto, ha operato un’interpretazione complessiva delle clausole del patto di non concorrenza del tutto plausibile alla luce dei canoni di interpretazione (tra cui quelli di interpretazione complessiva e sistematica) tale da condurre, nel caso concreto, alla declaratoria di nullità dell’intero assetto degli interessi coinvolti, come modulati nel patto in esame;
15. vanno rammentati, in proposito: a) il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità), secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, quella data dal giudice non deve invero essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra; b) il principio, parimenti consolidato, secondo cui, posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in un ‘indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla
base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. n. 3964/2019, n. 4460/2020, n. 27702/2020, n. 9461/2021, n. 33425/2022, n. 9093/2023, n. 14270/2024);
16. con il settimo motivo, parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione agli artt. 2697 c.c. e 112 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente analizzato l’estensione dell’obbligo di non concorrenza assunto dal lavo ratore senza interpretare la clausola di delimitazione spaziale per mezzo delle altre, al fine di verificare se, avuto riguardo al corrispettivo per il patto, alla durata e all’oggetto del vincolo, l’ambito territoriale fosse congruo e lasciasse al lavoratore un margine di attività ragionevole, avuto riguardo agli interessi di entrambe le parti;
17. con l’ottavo motivo, deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione all’art. 1419 c.c. e all’art. 2697 c.c., nonché agli artt. 414 e 434 c.p.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte territoriale ritenuto che la clausola relativa all’aggiornamento del limite territoriale di incidenza del vincolo -dichiarata nulla dalla sentenza -potesse determinare la nullità dell’intero accordo relativo al patto di non concorrenza, e non di una sola parte di esso;
18. il settimo e ottavo motivo, connessi, non sono fondati;
ritenendo la misura del compenso sproporzionata rispetto alla limitazione delle possibilità lavorative imposta dal patto, tanto in generale quanto con riguardo all’ attribuzione al datore di lavoro della possibilità di ampliare senza sostanziali limitazioni l’ambito territoriale di estensione della clausola, la decisione impugnata risulta conforme a, e coerente con, la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, al fine di valutare
la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, e che il patto non sia di ampiezza tale da comprimere l ‘ esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale; consegue comunque la nullità dell’intero patto all’eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale (cfr. Cass. n. 9790/2020, n. 5540/2021, n. 23723/2021, n. 33424/2022);
20. in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
21. al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, e dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 30 gennaio 2025.