Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13048 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13048 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 4495-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 954/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/11/2021 R.G.N. 227/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Patto di non concorrenza
R.G.N. 4495/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 954/2021, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede che, decidendo sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato, in accoglimento della eccezione sollevata dalla resistente NOME COGNOME la nullità del patto di non concorrenza sottoscritto tra le parti in data 3.6.2016 e aveva condannato la lavoratrice alla restituzione dell’importo di euro 12.943,10 lordi corrisposto a titolo di patto di non concorrenza, respingendo nel resto le domande.
La Corte territoriale, ritenuto ammissibile il gravame, ha rilevato che l’obbligo previsto con il patto in capo alla lavoratrice ( ‘… per il periodo di mesi 15 (quindici) a decorrere dalla cessazione del contratto in essere con la scrivente società per qualsiasi causa avvenuta, a non svolgere alcuna attività in favore di società anche cooperative enti organizzazioni o persone fisiche che svolgono attività di ricerca e selezione del personale in base a quanto previsto dall’albo Ministeriale delle Agenzie PER IL Lavoro (sezione I e IV somministrazione di lavoro di tipo generalista e ricerca e selezione del personale). Si intendono in ogni caso in concorrenza le società italiane con autorizzazione definitiva, provvisoria, o in via di autorizzazione all’attività di ricerca e selezione del personale. L’obbligo di non concorrenza comporta che nessuna attività a favore dei soggetti di cui sopra possa essere svolto sia direttamente che indirettamente per interposta persona od ente attraverso qualunque tipo di rapporto di lavoro in forma autonoma o subordinata anche occasionale o gratuita ovvero in qualità di socio associato in partecipazione, socio con prestazioni accessorie sia quale amministratore o institore indipendentemente dalle mansioni oggetto della futura prestazione lavorativa. Ella non potrà svolgere la propria prestazione lavorativa nel settore produttivo sopra indicato e comunque per le società di quel paragrafo che precede nel seguente territorio: Italia esclude le regioni Molise, Basilicata, Calabria, Si cilia, Sardegna. Quale corrispettivo dell’obbligo di non concorrenza di cui al presente contratto la società le corrisponderà un compenso annuo pari ad euro 3.521,74 lordi. Tale compenso sarà corrisposto ogni mese con rate di uguale importo e di valore euro 293,47 lordi al termine del mese di competenza. In caso di inadempimento anche parziale delle obbligazioni che precedono ella sarà tenuta a restituire alla società l’intera somma percepita a titolo di corrispettivo del presente patto di non
concorrenza e sarà altresì tenuto al pagamento in favore della società, a titolo di penale, di una somma pari al quintuplo del corrispettivo percepito, salvo ogni ulteriore risarcimento del danno …’ ) risultava in palese contrasto con il limite inerente all’esaurimento della possibilità di occupazione del lavoratore, tenuto conto delle specifiche capacità professionali dello stesso, comportando una compressione della concreta professionalità della lavoratrice tale da annullarla nella sostanza, inoltre, ha considerato, per ritenere non congruo il corrispettivo pattuito rispetto alle forti limitazioni imposte alla lavoratrice, sia la concreta impossibilità per la stessa di svolgere qualunque attività nel settore in cui ha sviluppato le proprie capacità professionali e sia la circostanza che le inibizioni erano estese su tutto il territorio nazionale fatta eccezione per cinque Regioni, risultando eccessive sia nel tempo che nello spazio.
Avverso la sentenza di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2125 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente la Corte territoriale dichiarato nullo il patto di non concorrenza in quanto inibiva qualunque attività alla lavoratrice nel settore in cui aveva maturato una specifica professionalità, quando, invece, per essere nullo, il patto deve eleminare ogni potenzialità reddituale del dipendente, compromettendo l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore: tale circostanza non era ravvisabile, secondo parte ricorrente, nel caso di specie.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1346 e 2125 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale affermato che il corrispettivo del patto di non concorrenza deve essere determinato ex ante anche al
fine di consentire la valutazione di congruità e che non può essere ritenuto congruo il corrispettivo di un patto di non concorrenza che inibisce qualunque attività nel settore in cui la lavoratrice ha maturato una specifica professionalità, a prescindere dalla necessità di una rigorosa valutazione agganciata al sacrificio richiesto al lavoratore e ad ogni circostanza del caso concreto.
I motivi, da scrutinare congiuntamente per la loro interferenza, presentano profili di infondatezza e di inammissibilità.
In ordine al primo aspetto, deve rilevarsi che la gravata pronuncia è in linea con quanto affermato da questa Corte (per tutte Cass. n. 5540/2021) secondo cui, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede innanzi tutto che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 cc; se, poi, determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’ art. 2125 cc, che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportame nto richiesto rappresenta per il datore di lavoro e del suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell’intero patto alla eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha svolto proprio detti riscontri in ossequio ai principi statuiti in sede di legittimità.
Con riguardo al secondo profilo, va sottolineato che la Corte territoriale, con accertamenti di merito, insindacabili in questa sede perché adeguatamente motivati (come si dirà a proposito dell’esame del terzo motivo), ha in sostanza ritenuto che la lavoratrice non avrebbe potuto accettare offerte di lavoro da nessuna impresa operante in tutti i settori di cui si occupava la ricorrente e per lo svolgimento di qualsiasi mansione, quindi non soltanto del settore relativo alla ricerca e selezione di personale, ma anche in quello riguardante la somministrazione di lavoro, giungendo quindi alla
conclusione che il corrispettivo pattuito era esiguo in rapporto al sacrificio (eccessivamente penalizzante) richiesto e alla notevole riduzione delle possibilità di guadagno.
Con il terzo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per motivazione apparente in ordine alla indicazione degli elementi da cui è stato tratto il convincimento in merito alla mancanza di congruità del corrispettivo.
Anche tale motivo è infondato.
In tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
Nella fattispecie, la Corte territoriale, con argomentazioni adeguatamente motivate, ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto non congruo il corrispettivo pattuito nel ‘patto di non concorrenza’, valorizzando sia la completa impossibilità per la lavoratrice di svolgere qualunque attività nel settore ove aveva sviluppato le proprie capacità professionali, sia la circostanza che le limitazioni spaziotemporali, per l’esercizio della predetta attività, risultavano eccessive in quanto consentivano ben poche possibilità lavorative.
Si tratta di un ragionamento logico, che lascia comprendere l’iter decisionale seguito e che è quindi immune dal vizio denunciato.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 gennaio 2025