Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13049 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13049 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5690-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1513/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/01/2022 R.G.N. 998/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Patto di non concorrenza
R.G.N. 5690/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 1513/2021, ha confermato, sia pure con motivazione diversa, la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede che, dichiarando la nullità del patto di non concorrenza sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE con NOME COGNOME il 30.1.2015 e condannando quest’ultimo alla restituzione degli importi percepiti per effetto del patto medesimo (oltre accessori), aveva respinto le domande di accertamento della violazione dell’obbligo di non concorrenza e di condan na del lavoratore al pagamento delle somme di euro 115.073,00 prevista a titolo di penale.
La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, premesso che le parti in data 30.10.2015 contestualmente al contratto di lavoro avevano sottoscritto un patto di non concorrenza per la durata di mesi quindici (consistente nell’obbligo a non svolgere, sia direttamente che indirettamente per interposta persona o ente, sotto forma di lavoratore autonomo o subordinato, anche in via occasionale o gratuita, ovvero in qualità di socio, associato in partecipazione o socio con prestazioni accessorie, amministratore o institore, attività lavorativa in favore di società, anche cooperative, enti o organizzazioni o persone fisiche che svolgono ricerca e selezione del personale in base a quanto previsto dall’albo ministeriale per le Agenzie di Lavoro, indipendentemente dalle mansioni oggetto della futura prestazione lavorativa, nell’intero territorio nazionale, ad eccezione delle Regioni Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) ha rilevato che il corrispettivo del patto, pari ad euro 255,73 lordi al termine del mese di competenza via via incrementato in concomitanza dell’aumento della retribuzione fino a raggiungere la somma di euro 537,50 nell’ottobre del 2018, non risultava in grado di assicurare un compenso equo e proporzionato al sacrificio imposto e che, avuto riguardo al disposto di cui all’art. 2125 cc e in relazione alle concrete circostanze del caso, era possibile, al fine di garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti, rilevare la nullità della clausola.
Avverso la decisione di secondo grado la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME
La società ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per contraddittorietà insanabile tra due parti della motivazione, per avere la Corte di appello prima richiamato l’autonomia contrattuale delle parti nella determinazione dello schema pattizio e per poi avere ritenuto di sindacare la presunta violazione dell’equilibrio economico dell’accordo.
Il motivo è infondato.
Nell’impianto decisorio della Corte territoriale non è ravvisabile alcuna insanabile contraddizione perché, come sottolineato anche dal controricorrente, da un lato, la modalità di erogazione del corrispettivo e, dall’altra, la congruità del corrispettivo stesso rappresentano l’oggetto di due distinte valutazioni che il giudice di merito può compiere e che, nella fattispecie in esame, sono state svolte con adeguata motivazione avendo riguardo, in ordine alla seconda, agli esatti parametri normativi rappresentati dai principi di solidarietà sociale e di buona fede contrattuale.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 2125 cc, per avere la Corte di appello ritenuto nullo il patto di non concorrenza quale conseguenza della presunta incongruità del corrispettivo: si sostiene che ai giudici di seconde cure era consentito il sindacato sul patto unicamente lì dove il corrispettivo pattuito fosse stato simbolico e privo di una effettiva consistenza economica.
Anche tale motivo è infondato.
La gravata pronuncia è in linea con quanto affermato da questa Corte (per tutte Cass. n. 5540/2021) secondo cui, al fine di valutare
la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede innanzi tutto che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1 346 cc; se, poi, determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 cc, che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e del suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell’intero patto alla eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha svolto proprio detti accertamenti in ossequio ai principi statuiti in sede di legittimità.
Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 115 cpc per avere la Corte di appello posto alla base di una delle ragioni a sostegno della decisione un fatto notorio non corrispondete al vero e, cioè, che l’attività del lavoratore, che svolgeva ma nsioni di addetto alla ricerca e selezione dei profili di medio e alto management, gestione portafoglio clienti e sviluppo dei contatti commerciali, fosse stata totalmente pregiudicata dalla limitata estensione territoriale alle sole REGIONI Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna dove, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte meneghina, esistevano attività aziendali anche di medie e grandi dimensioni.
Anche tale motivo non è meritevole di accoglimento.
Il ricorso alle nozioni di comune esperienza attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sussistenza di un fatto notorio può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione una inesatta nozione del notorio, da intendere come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo, e non anche per inesistenza o insufficienza di motivazione, non essendo il giudice tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, laddove, del resto, allorché si assuma che il fatto considerato
come notorio dal giudice non risponde al vero, l’inveridicità del preteso fatto notorio può formare esclusivamente oggetto di revocazione, ove ne ricorrano gli estremi, non di ricorso per cassazione (Cass. n. 13715/2019).
Nella fattispecie de qua, i giudici di seconde cure hanno ritenuto nozione di comune esperienza, nel mercato del lavoro degli anni 2015-2018 (oggetto di giudizio), il profilo del livello occupazionale basso e della scarsità di opportunità per attività di ricerca nel personale di media e alta professionalità nelle suddette Regioni, di talché, non venendo in rilievo una inesatta nozione del notorio, ogni altro sindacato di legittimità su tale aspetto è precluso.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 gennaio 2025
La Presidente
Dott.ssa NOME