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Patto di non concorrenza nullo per compenso inadeguato

La Corte di Cassazione ha confermato la nullità di un patto di non concorrenza a causa di un corrispettivo ritenuto inadeguato e non proporzionato al sacrificio richiesto al lavoratore. L’accordo limitava l’attività professionale dell’ex dipendente su quasi tutto il territorio nazionale. La Corte ha stabilito che il giudice di merito può valutare la congruità del compenso, dichiarando nullo l’intero patto se questo risulta manifestamente iniquo o sproporzionato, non essendo sufficiente che non sia meramente simbolico.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Patto di non concorrenza nullo per compenso inadeguato: l’analisi della Cassazione

Il patto di non concorrenza è uno strumento contrattuale cruciale nei rapporti di lavoro, ma la sua validità è subordinata a requisiti stringenti, tra cui l’adeguatezza del corrispettivo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questo principio, confermando la nullità di un accordo che, a fronte di un sacrificio significativo per il lavoratore, prevedeva un compenso non proporzionato. Analizziamo la vicenda e le importanti conclusioni dei giudici.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore della ricerca e selezione di personale aveva stipulato con un proprio dipendente un patto di non concorrenza della durata di quindici mesi. L’accordo prevedeva un vincolo molto esteso: il lavoratore si impegnava a non svolgere attività concorrenziale, in qualsiasi forma (autonoma, subordinata, societaria), su quasi tutto il territorio nazionale, ad eccezione di cinque regioni del Sud Italia (Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna).

Come contropartita, era stato previsto un corrispettivo mensile che, partendo da circa 255 euro, era aumentato nel tempo fino a raggiungere circa 537 euro. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dichiarato nullo il patto, ritenendo il compenso inadeguato rispetto all’ampiezza delle limitazioni imposte al lavoratore.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La società datrice di lavoro ha impugnato la decisione di secondo grado davanti alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Contraddittorietà della motivazione: La società lamentava una presunta contraddizione nel ragionamento della Corte d’Appello, che da un lato avrebbe riconosciuto l’autonomia contrattuale delle parti e dall’altro avrebbe sindacato l’equilibrio economico dell’accordo.
2. Violazione di legge sul patto di non concorrenza: Secondo la ricorrente, il patto poteva essere dichiarato nullo solo in caso di corrispettivo meramente simbolico, mentre nel caso di specie il compenso aveva una sua consistenza economica.
3. Errata applicazione del ‘fatto notorio’: L’azienda contestava la valutazione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto, come fatto notorio, la scarsità di opportunità lavorative nel settore specifico nelle regioni escluse dal patto, aggravando così la posizione del lavoratore.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la nullità del patto di non concorrenza e fornendo chiarimenti fondamentali sui poteri del giudice e sui requisiti di validità dell’accordo.

In primo luogo, i giudici hanno escluso qualsiasi contraddizione nella sentenza d’appello. La valutazione sulla congruità del corrispettivo non è in conflitto con l’autonomia contrattuale, ma ne rappresenta un limite imposto dalla legge a tutela del lavoratore e dei principi di buona fede e solidarietà sociale.

Sul secondo e più importante motivo, la Corte ha ribadito un orientamento consolidato (richiamando la sentenza Cass. n. 5540/2021). Per essere valido, il corrispettivo di un patto di non concorrenza non deve essere semplicemente ‘non simbolico’. Deve essere, invece, congruo, equo e proporzionato al sacrificio richiesto al lavoratore. La valutazione deve tenere conto di diversi fattori: l’ampiezza dell’oggetto della limitazione, l’estensione territoriale, la durata del vincolo e la conseguente riduzione della capacità di guadagno del lavoratore. Un compenso manifestamente iniquo o sproporzionato determina la nullità dell’intero patto.

Infine, riguardo al ‘fatto notorio’, la Cassazione ha precisato che la sua valutazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale valutazione può essere censurata in sede di legittimità solo se si basa su una nozione palesemente errata di notorietà. Nel caso specifico, ritenere che nel periodo 2015-2018 vi fossero scarse opportunità nel settore della selezione di profili manageriali in quelle specifiche regioni del Sud è stata considerata una corretta applicazione del concetto di comune esperienza, e quindi non sindacabile.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un monito per i datori di lavoro: la redazione di un patto di non concorrenza richiede un’attenta ponderazione di tutti gli elementi, in particolare del corrispettivo. Non è sufficiente prevedere una somma qualsiasi, purché non irrisoria. È necessario che l’importo sia realmente proporzionato al sacrificio imposto al lavoratore, altrimenti il patto rischia di essere travolto da una declaratoria di nullità, con la conseguenza che il datore di lavoro non solo perderà la tutela contro la concorrenza, ma dovrà anche restituire eventuali somme già percepite dal lavoratore a tale titolo.

Quando un patto di non concorrenza può essere dichiarato nullo?
Un patto di non concorrenza può essere dichiarato nullo se il corrispettivo pattuito è meramente simbolico, manifestamente iniquo o sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, tenendo conto dell’oggetto, della durata e dell’estensione territoriale del vincolo.

Il giudice può valutare l’adeguatezza economica del compenso in un patto di non concorrenza?
Sì, il giudice ha il potere e il dovere di valutare se il compenso sia equo e proporzionato. Questa valutazione va oltre la mera verifica che l’importo non sia simbolico e si estende alla sua effettiva congruità rispetto al sacrificio imposto al lavoratore.

Cosa si intende per ‘fatto notorio’ e come è stato utilizzato in questo caso?
Per ‘fatto notorio’ si intende un fatto che rientra nella comune esperienza e conoscenza in un dato contesto storico e geografico, che non necessita di specifica prova. In questo caso, i giudici hanno considerato un fatto notorio la scarsità di opportunità lavorative qualificate nel settore del lavoratore in alcune regioni del Sud Italia, utilizzando tale dato per valutare l’eccessiva gravosità del vincolo di non concorrenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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