Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11766 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21243-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME, COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 217/2021 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/03/2021 R.G.N. 980/2018;
Oggetto
Patto di non concorrenza
R.G.N. 21243/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 30/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Bologna ha respinto il ricorso della banca Monte dei Paschi di Siena avverso la sentenza del medesimo Tribunale con cui era stata accertata la nullità del patto di non concorrenza (stipulato con l’ex -dipendente NOME COGNOME perché lo stesso prevedeva una limitazione dell’attività lavorativa e un’estensione territoriale eccessive a fronte di un corrispettivo esiguo se paragonato al sacrificio richiesto al lavoratore;
in particolare, nel merito e per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale ha fatto propria la statuizione del Tribunale secondo cui l’oggetto del patto si risolveva nella sostanziale impossibilità di svolgere alcuna attività lavorativa ne ll’ambito creditizio, assicurativo e finanziario, con assoluta e totale compromissione della capacità lavorativa per 12 mesi; ha rilevato che la clausola che consentiva alla Banca di modificare l’estensione territoriale del patto modificando la sede di la voro del lavoratore rendeva il patto nullo, rendendo imprevedibili a priori i limiti dell’operatività territoriale dell’obbligo interdittivo; ha osservato che anche l’estensione territoriale del patto risultava eccessiva a fronte del corrispettivo pattuito (10% della RAL), esiguo in proporzione alle limitazioni lavorative e territoriali previste;
3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre la banca con 5 motivi; resiste il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (art. 360, n. 4, c.p.c.) per aver la Corte d’Appello motivato la sentenza di rigetto attraverso l’integrale richiamo a sentenza del 29.10.2020, resa in causa che la Corte territoriale ha ritenuto identica a quella qui in esame;
2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione all’art. 2103 c.c., per avere la Corte territoriale dichiarato la nullità del patto di non concorrenza in controversia in ragione della indeterminabilità del limite territoriale ivi previsto, in relazione alla previsione dell’estensione del vincolo in caso di eventuale trasferimento del lavoratore nel corso del rapporto;
3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione all’art. 1419 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che la clausola relativa all’aggiornamento del limite territoriale di incidenza del vincolo -dichiarata nulla dalla sentenza -potesse determinare la nullità dell’intero accordo relativo al patto di non concorrenza, e non di una sola parte di esso;
4. con il quarto motivo, deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., , in punto di vizio motivazionale assoluto (motivazione apparente) circa le ragioni a fondamento della decisione (art. 360, n. 4, c.p.c.), per avere la Corte territoriale motivato per relationem il richiamo integrale ad altra sentenza completamente sovrapponibile, omettendo di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, offrendo una motivazione apodittica ed autoreferenziale;
con il quinto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 2125 c.c., anche in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 112 c.p.c., per avere ritenuto la Corte territoriale che il patto di non concorrenza comprimesse in maniera eccessiva la possibilità di esplicazione della professionalità del lavoratore senza svolgere l’esame complessivo del patto che sarebbe stata invece necessaria a tal fine;
il primo e quarto motivo, connessi perché entrambi concernenti la tecnica redazionale per relationem della sentenza impugnata, non sono fondati;
secondo la giurisprudenza di questa Corte, la sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ad altro precedente dello stesso ufficio, in quanto il riferimento ai “precedenti conformi” contenuto nell’art. 118 disp. att. c.p.c. non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile; in tal caso, la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione; ne consegue che non incorre nella violazione degli artt. 111 Cost., 118 disp. att. c.p.c., 132 c.p.c., la motivazione della sentenza che, richiamando testualmente un precedente del medesimo ufficio reso su una questione analoga, dopo aver esaminato specificamente le singole censure proposte dall’appellante, concluda nel senso che le argomentazioni della sentenza richiamata rispondono ai motivi d’impugnazione dedotti da parte appellante (Cass. n. 3367/2011, n. 29017/2021; cfr. anche Cass. n. 11227/2017, n. 21037/2018, n. 20883/2019, n. 21443/2022);
8. nel caso in esame, nella sentenza impugnata sono riportati la complessiva situazione processuale e i motivi d’appello, ed è possibile e agevole il controllo del percorso argomentativo della motivazione, essendo stato dato conto dell’identità contenutistica della situazione di fatto e di diritto tra il caso deciso dal precedente e quello oggetto di decisione;
il secondo, terzo e quinto motivo possono essere analizzati congiuntamente, in quanto connessi tra loro; essi risultano infondati;
10. la Corte territoriale ha osservato che i limiti di oggetto, di tempo e di luogo del patto di non concorrenza, al fine di consentire una corretta formazione del consenso delle parti in sede di stipula, devono essere determinati o, quantomeno, determinabili sin dal momento della conclusione di tale negozio giuridico;
11. con specifico rifermento all’art. 2103 c.c., ha individuato la ragione di indeterminatezza della previsione di delimitazione territoriale del vincolo di non concorrenza nella circostanza che il datore di lavoro, esercitando la propria facoltà di ius variandi con riferimento al trasferimento del lavoratore, poteva modificare, in via discrezionale ed unilaterale, l’area territoriale interessata dal divieto di prestare attività lavorativa in concorrenza;
12. il patto di non concorrenza in esame, q uanto all’ampiezza territoriale, si estendeva alla Regione Emilia-Romagna ovvero ‘ a quella della diversa Regione ove risulti ubicata la sede di lavoro in atto al momento della cessazione del rapporto di lavoro e anche a quella diversa procedente ove la diversa nuova assegnazione sia intervenuta da meno di un anno. In ogni caso l’area territoriale dell’obbligo di non concorrenza deve ritenersi comunque estesa a province ‘fuori Regione’ se rientranti nel
raggio di 250 km dalla sede di lavoro ‘; quanto alle limitazioni di attività, impegnava il lavoratore ‘ anche dopo la cessazione di detto rapporto, e per un periodo di dodici mesi da tale cessazione, a non svolgere alcuna attività- direttamente o indirettamente, in forma autonoma, subordinata e/o imprenditoriale, per conto proprio e/o di terzi- a favore di Società di Gestione, di Assicurazioni, di Banche e di SIM di gestione ovvero intrinsecamente ordinate e funzionali alla intermediazione finanziaria, nei settori della gestione di portafogli finanziari della clientela anche istituzionale, della intermediazione finanziaria, e comunque in tale ambito in concorrenza con la nostra società ‘;
13. ritenendo la misura del compenso sproporzionata rispetto alla limitazione delle possibilità lavorative imposta dal patto, tanto in generale quanto con riguardo all’ attribuzione al datore di lavoro della possibilità di ampliare senza sostanziali limitazioni l’ambito territoriale di estensione della clausola, la decisione impugnata risulta conforme a, e coerente con, la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, e che il patto non sia di ampiezza tale da comprimere
l ‘ esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale; consegue comunque la nullità dell’intero patto all’eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale (cfr. Cass. n. 9790/2020, n. 5540/2021, n. 23723/2021, n. 33424/2022);
14. entro tale perimetro di diritto, la questione, centrale nella presente controversia, della sproporzione tra compenso e sacrificio si profila come tipicamente di merito; così come risulta congruamente e logicamente motivata l’affermazione di merito circa la compromissione del requisito della determinabilità dell’oggetto in forza della possibilità di trasferimento del lavoratore (che, invece, avrebbe dovuto portare a una eventuale rinegoziazione del patto);
15. in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo;
16. al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, e dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 30 gennaio 2025.